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[OT] Attualità e Cultura
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mi.greco
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RE: [OT] Attualità e Cultura

Nulla di nuovo sotto il cielo!
Michele Greco

19-07-2012 12:40
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RE:  [OT] Attualità e Cultura

mi.greco ha Scritto:

Nulla di nuovo sotto il cielo!
Michele Greco


Figurati, manco si trova il fondo allo squallore .........!
http://www.ilgiornale.it/news/interni/co...-vita.html

"Così il luciferino Pannella è riuscito a rubarmi la vita"
Danilo Quinto si converte e subito viene trasformato in impostore: "Ho portato 45 milioni di euro in 10 anni: vi racconto come li sperperava"
Stefano Lorenzetto - Dom, 22/07/2012 - 10:31

Il re è nudo. Nudo come quella volta che ricevette un attonito Gaetano Quagliariello, facendosi trovare in ammollo nella vasca da bagno a piagnucolare: «Vorresti dimetterti proprio ora e lasciarmi così? Non ti rendi conto del dolore che mi dai?», e l'attuale senatore del Pdl non riuscì a dire nulla, «capii solo che dovevo sottrarmi e scappare», avrebbe confessato anni dopo. È devastante il ritratto di Marco Pannella che esce dalle 208 pagine del libro Da servo di Pannella a figlio libero di Dio, scritto da Danilo Quinto, per dieci anni tesoriere del Partito radicale, edito da Fede & Cultura e dedicato alla «più formidabile macchina mangiasoldi della partitocrazia italiana», così il sottotitolo, «una famiglia allargata dove tutto ciò che era privato diveniva anche pubblico, dove ci si accoppiava e ci si cornificava fra di noi, dove il massimo della gratificazione era salutare Pannella baciandolo sulle labbra quando si presentava alle riunioni mano nella mano con l'ultimo dei suoi fidanzati ventenni e lo imponeva come futuro dirigente o parlamentare».Anche Quinto a un certo punto della propria vita ha capito che doveva svincolarsi dall'abbraccio soffocante del suo attempato pigmalione e fuggire.

Alla fine c'è riuscito. Ma a che prezzo: «Tre gradi di giudizio nel tempo record di quattro anni, con una sentenza della Cassazione che, pur riducendomi la pena di oltre la metà e concedendomi il beneficio della non menzione, mi condanna a 10 mesi per appropriazione indebita, consentendo a Pannella di darmi pubblicamente dell'impostore, dell'estorsore e del millantatore. Peggio di Luigi Lusi, insomma».Il leader radicale dimentica di aggiungere che dev'essere anche un vero cretino, questo Quinto, che dal 1995 al 2005 ha procurato al partito finanziamenti per ben 45 milioni di euro, ne ha maneggiati 19.651.357 di entrate e 20.976.086 di uscite, eppure si sarebbe degnato di mettersi in tasca solo un misero 0,32% di questo fiume di denaro, cioè 206.089,23 euro, «spese effettuate con la carta di credito, facenti parte del mio stipendio, sulle quali ho persino pagato le tasse, tutte regolarmente contabilizzate, oggetto di ricevute e dichiarate nei bilanci approvati dai vari congressi», ma sulle quali la magistratura in primo grado ha evitato di ordinare una perizia nonostante l'imputato non si rifugiasse nella prescrizione, e sarebbe arrivato a sgraffignare l'astronomica somma di 2.151,77 euro nell'ultimo anno in cui era in carica, e oggi è costretto a vivere della sua povertà: «Non possiedo una casa e neppure un'auto, non ho un conto corrente, sono indebitato fino al collo, ho dovuto abbandonare Roma e rifugiarmi nella natia Bari, mantengo la famiglia con un contratto a progetto da 1.200 euro al mese che scadrà il 31 dicembre, non avrò mai diritto alla pensione».Peccato che Pannella si sia accorto solo dopo vent'anni che il suo collaboratore di fiducia era «un impostore dedito ad attività truffaldina», nonostante la conclamata bravura nel reperire tutti i mesi i soldi per pagare gli stipendi ai 150 dipendenti del Partito radicale. Una resipiscenza sopraggiunta peraltro solo il giorno in cui Quinto ha avviato una causa per vedersi riconosciuto dai giudici il dovuto, e cioè 6 milioni di euro, poi ridotti a 2: «Vent'anni di lavoro occasionale per 13-14 ore al giorno, senza contratto, senza contributi versati all'Inps, senza ferie, con presenza in sede anche il sabato, la domenica, a Natale, a Capodanno, a Pasqua. Aggiunga il mancato riconoscimento del rapporto subordinato, il mancato adeguamento dello stipendio al ruolo dirigenziale e la mancata corresponsione del Tfr». La causa è pendente davanti alla Corte d'appello di Roma.Quinto, 56 anni, giornalista, un esame mancante alla laurea in giurisprudenza, s'è persuaso che il re nudo sia la personificazione di Satana e assicura d'averne avuto una controprova il giorno in cui, dimessosi dall'incarico di tesoriere, andò a ritirare le sue poche cose nella storica sede romana dei radicali, in via di Torre Argentina, dove ha lavorato, ma sarebbe più esatto dire vissuto, dal 1987: «Mi ero fatto accompagnare da padre Francesco Rivera, un esorcista. All'uscita mi disse: “Sai, Danilo, ho avvertito molto forte la presenza del diavolo in quelle stanze. Ringrazia Dio che ti ha salvato”».La salvezza s'è presentata a Quinto con le sembianze di Lydia Tamburrino, un soprano originaria di Cassino cresciuta alla scuola di Franco Corelli, Placido Domingo e Montserrat Caballé, una credente dalla fede adamantina che l'allora tesoriere del Pr conobbe in una villa sull'Appia Antica, a una proiezione privata del film Diario di Matilde Manzoni di Lino Capolicchio, regista col quale la cantante lirica aveva esordito a Lucca in Bohème. «Fu un colpo di fulmine. Quando annunciai a Pannella che stavo per sposarmi, ammutolì. Come osavo? Non avevo chiesto il suo permesso! “È una che conosciamo?”, borbottò. Alla mia risposta, commentò con tono di scherno: “Ah, allora potrà fare degli spettacoli per noi”. Da quel despota che è, già considerava anche Lydia di sua proprietà. Non credo proprio, lo raffreddai. Lì cominciò la guerra per annientarmi».Profumo d'incenso e odore di zolfo, si sa, non vanno d'accordo. Forse Pannella aveva fiutato il pericolo che quella donna incarnava. Infatti sarebbe stata lei a convincere il marito che non doveva più lavorare per il Partito radicale, a farlo riaccostare alla confessione dopo 30 anni, a riportarlo a messa tutte le domeniche. «Al nostro matrimonio religioso non venne nessuno degli amici con i quali avevo condiviso un ventennio di vita, a parte l'ex segretario Sergio Stanzani, che si presentò all'aperitivo e solo per un quarto d'ora».Avrà temuto le ire del capo.«Sergio era succube di Pannella. Quando nel 1995 fu deciso che gli esponenti radicali dovevano denudarsi pubblicamente al teatro Flaiano di Roma, era terrorizzato: “Se non lo faccio, Marco non mi candiderà alle prossime elezioni”. Gli consigliai di andarsene in vacanza per evitare il ricatto. Ma il richiamo manipolativo del capo era troppo forte. Che tristezza vedere un uomo di 72 anni nudo in palcoscenico contro la sua volontà, con le mani sul pene, rannicchiato dietro un albero stilizzato. Se ci pensa bene, il corpo è al centro di tutta l'ideologia pannelliana, che vuole decidere come disporne e decretarne la morte, come garantirne la trasformazione nel corso della vita per assecondare le più disparate identità sessuali, come abusarne con sostanze che lo devastano. In una parola, non rispettarlo, consumarlo».I digiuni estremi bene non fanno.«Estremi ma furbi. Il suo medico di fiducia mi svelò che quando Pannella decise di bere la propria urina davanti alle telecamere del Tg2, la sera prima la fece bollire e conservare in frigo per attenuarne il sapore».In compenso nel 2002 persino il presidente della Repubblica si preoccupò delle condizioni di salute del guru e chiamò in diretta Buona domenica per indurlo a sospendere lo sciopero della sete.«Povero Carlo Azeglio Ciampi! Conservo il nastro di una riunione di partito - c'era questa mania di far registrare tutto, degna del Kgb - in cui Pannella gli dà della testa di cazzo. Un déjà vu. Marco è stato il grande elettore di Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale, salvo definirlo “don Rodrigo, eversore e fuorilegge” quattro anni dopo, invitandolo a “fare un passo indietro, fino al limite della galera”».Se è per quello, costrinse con accuse false il povero Giovanni Leone alle dimissioni e poi andò a chiedergli scusa poco prima che morisse.«Ora coccola Giorgio Napolitano e ne loda “la davvero straordinaria, quotidiana, pubblica, sapiente opera e fatica”. Però negli ultimi giorni ha cambiato musica. Siccome, stando a Italia Oggi, il mio libro avrebbe stoppato la campagna per la sua nomina a senatore a vita, si lamenta a Radio Radicale perché il capo dello Stato non è un liberale, è un ex comunista di cultura togliattiana. Lui fa sempre così: quando vuole ottenere qualcosa, minaccia».Pannella è iscritto alla massoneria?«Non penso. Però mantiene con essa rapporti strettissimi. Del resto Giorgio Gaber nel monologo L'abitudine diceva: “Io, se fossi Licio Gelli, mi presenterei nelle liste del Partito Radicale”. Il capo della P2 fu sul punto d'essere candidato dal Pr come una qualsiasi Cicciolina. A questo scopo suo figlio Maurizio ebbe una serie d'incontri con Pannella in un albergo romano di via Veneto. Posso testimoniare che Gelli junior è stato un grande finanziatore del partito».Che altro può testimoniare?«Che Radio Radicale ripianava i debiti della Lista Pannella col denaro ricevuto dallo Stato. Non poteva farlo, era contro la legge. Con una convenzione ad hoc e senza gara d'appalto, Radio Radicale dal 1998 incassa 10 milioni di euro l'anno per mandare in onda le sedute parlamentari che potrebbero essere trasmesse gratis dalla Rai. In più la legge sull'editoria le garantisce altri 4,3 milioni di euro in quanto organo della Lista Pannella, che peraltro non ha eletti in Parlamento. Ho denunciato tutto questo allo stesso procuratore della Repubblica che mi ha rinviato a giudizio. A tutt'oggi non mi è stata neppure comunicata l'archiviazione dell'esposto. Come se non l'avessi mai presentato».Perché i radicali erano indebitati?«Pannella spende patrimoni per le sue carnevalate. La sola campagna Emma for president del 1999 per candidare la Bonino al Quirinale ci costò 1,5 miliardi di lire. All'annuncio che Marco voleva la sua cocca sul Colle, lei svenne o fece finta di svenire, non s'è mai capito bene, durante una riunione notturna in un albergo di Monastier, nel Veneto. Ha sperperato un mare di quattrini nel disegno megalomane e fallimentare del Partito Transnazionale, che aveva 20 sedi nel mondo, da Baku, nell'Azerbaigian, a New York, dove mi spedì a lavorare per sei mesi. Fu lì che vidi i solidissimi rapporti esistenti fra la Bonino, frequentatrice con Mario Monti del Gruppo Bilderberg, e lo spregiudicato finanziere George Soros, il quale nel 1999 prestò un miliardo di lire ai radicali. E fu lì che lessi il fax inviato da Pannella alla stessa Bonino quando la fece nominare commissaria europea nel 1994: “Cara principessa, ora tutti s'inchineranno ai tuoi piedi”».Oltre che spendaccione, che tipo è Pannella?«Un pusillanime. Nell'ultimo colloquio che abbiamo avuto, teneva gli occhi bassi. Riaffermando la mia fede cristiana, riconquistavo la libertà, e questo gli metteva paura. Pur sapendo quale vendetta mi attendeva, ho provato molta pena per lui. Qualche tempo dopo Lydia lo ha incontrato per strada nei pressi di via del Tritone. Pannella le ha voltato le spalle fingendo di guardare le vetrine d'un negozio di strumenti d'acconciatura per donna. E dire che allora non portava la fluente coda di capelli bianchi che oggi tiene annodata lungo la schiena. Non ha avuto il coraggio di girarsi neppure quando mia moglie ha recitato ad alta voce, perché lui sentisse, il Padre nostro e l'Ave Maria».Solo pusillanime?«Intelligente. Grande manipolatore. Ha attraversato 50 anni di politica italiana stando sempre nel ventre caldo della vacca, la partitocrazia, fingendo d'esserne fuori e di combatterla. La sede vera del Partito radicale è casa sua, in via della Panetteria, vicino alla Fontana di Trevi, frequentata assiduamente dai tre o quattro uomini che ha amato nel corso della sua vita. L'approvazione e l'esaltazione dell'omosessualità e della bisessualità non solo è connaturata al mondo radicale, ma rappresenta lo strumento attraverso il quale si formano le carriere politiche».Eppure cita in continuazione le Sacre Scritture.«E che cosa sa fare il diavolo, se non cercare malamente d'imitare Dio? Da anni usa una sua foto, scattata durante un incontro con Papa Wojtyla al quale partecipavano il dc Flaminio Piccoli e molti altri parlamentari, per vantarsi d'aver avuto un filo diretto con Giovanni Paolo II. Sostiene persino che il Pontefice ascoltava le sue concioni a Teleroma 56. Mi dispiace che Giovanni Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano, sia andato a farsi intervistare da Radio Radicale per confermare quest'amicizia inesistente. Fa il paio con la stoltezza di don Gianni Baget Bozzo, pace all'anima sua, che lo venerava e diceva di lui: “Pannella in realtà è una figura interna alla cristianità italiana, non è un politico: è un profeta”».Lei sta demolendo la persona alla quale ha consacrato metà della sua vita.«Lo so, e mi considero per questo un grande peccatore, che ha alimentato l'opera di devastazione che Pannella ha compiuto sull'identità cristiana di questo Paese. Ha confuso la libertà col desiderio. Ha portato l'Italia a non distinguere più il bene dal male. Ha distrutto milioni di vite umane con l'ideologia abortista. Per questa ragione combatte la Chiesa. Nella sua intelligenza luciferina, sa che gli sopravviverà».Questo è sicuro.«Prigioniero di un delirio d'onnipotenza, a 82 anni sta evitando i conti con una categoria che non gli appartiene: la morte. Dovrebbe pregare, come fa mio figlio che di anni ne ha appena 7».(605. Continua)stefano.lorenzetto@ilgiornale.it





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RE: [OT] Attualità e Cultura

"Non prendo ordini da una donna": facchino musulmano si licenzia

La vicenda, raccontata dal Gazzettino, è successa al famoso hotel Danieli. L'uomo non sopportava che il suo capo fosse una donna. Dopo le dimissioni, è tornato a lavoro e ha ottenuto pure una mediazione


Nico Di Giuseppe - Lun, 23/07/2012 - 10:40

Prendere ordini da una donna? Insopportabile. Una situazione insostenibile per un facchino dell'hotel Danieli di Venezia, uno degli alberghi più famosi del mondo frequentato da personaggi illustri, capi di Stato e celebrità dello spettacolo.

E così, come raccontato da Il Gazzettino, l'uomo egiziano non ha retto il peso della subordinazione nei confronti della governante, suo diretto superiore e ha preso carta e penna rassegnando le dimissioni.

La direzione dell'hotel ha provato a spiegare al musulmano come fosse difficile cambiare la situazione dal momento che la sua capa lavorava lì da anni. Ma il facchino non ha voluto sentirne e ha lasciato il suo posto di lavoro.

Non contento, complice la crisi economica, il "ribelle" è tornato sui suoi passi, dopo una vana ricerca di un altro impiego. E fortuna ha voluto che l'albergo lo riaccogliesse a braccia aperte trovando pure una mediazione. Quale? Durante i suoi turni di lavoro, oltre alla governante, sarà presente un collega maschio che farà da "collegamento", comunicando all'egiziano le mansioni da svolgere. Insomma, una sorta di filtro umano.


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RE: [OT] Attualità e Cultura

http://www.loccidentale.it/node/117953

Bufale "storiche" dalle Olimpiadi passate
Alle Olimpiadi di Berlino davvero Hitler si rifiutò di dare la mano a Ow
ens?


di Giovanni Marizza 30 Luglio 2012



È tempo di Olimpiadi e con esse tornano a galla anche certe ben riuscite bufale. Ad esempio le Olimpiadi di Berlino, svoltesi nella prima metà di agosto del 1936, sono nell’immaginario collettivo quelle di Jesse Owens, l’atleta statunitense di colore a cui Hitler si rifiutò di stringere la mano. Nulla di più falso.
Adolf Hitler, inizialmente, non era entusiasta di ospitare a Berlino le Olimpiadi, “quell’indegno festival organizzato dagli ebrei”, ma poi cambiò idea quando i suoi collaboratori gli fecero notare che l’occasione poteva essere propizia per propagandare la grandezza della Germania e la modernità e superiorità del nazionalsocialismo, soprattutto se Leni Riefenstahl, una delle migliori registe cinematografiche del Reich, avesse immortalato i Giochi sulla pellicola di celluloide. Per ottenere questi risultati era necessaria un’organizzazione capillare, scenari grandiosi e cerimoniali suggestivi, cose che vennero realizzate con grande maestria.
Negli Stati Uniti molti erano perplessi a causa dell’opportunità propagandistica che veniva offerta alla Germania e si sviluppò anche un movimento di boicottaggio ai Giochi olimpici. Lo stesso Presidente Roosevelt era favorevole a questo movimento e per meglio rendersi conto della situazione mandò a Berlino un suo inviato, il miliardario ultraconservatore Avery Brundage, che in futuro sarebbe diventato il presidente del CIO, il Comitato Internazionale Olimpico. Ma Brundage, con grande scorno di Roosevelt, tornò in patria entusiasta dell’operato dei tedeschi.
Hitler non badò a spese: fece costruire uno stadio della capienza di 100.000 spettatori vicino ad un campo di parata dove si potevano riunire addirittura mezzo milione di persone. La cerimonia di inaugurazione si tenne il 1° agosto, in un tripudio di svastiche, con 120.000 persone che gridavano freneticamente “Heil Hitler!”
Il solenne cerimoniale culminò con l’ingresso nello stadio del tedoforo che portava la fiaccola olimpica, l’ultimo dei 3.075 staffettisti che si erano dati il cambio ogni mille metri lungo i 3.075 chilometri fra Atene e Berlino. Da allora, quella procedura si sarebbe ripetuta ad ogni Olimpiade. Ma questo non fu l’unico “primato” organizzativo. Le undicesime Olimpiadi passarono anche alla storia perché furono le prime riprese dalla televisione e per il bollettino “Olympia Zeitung” stampato in 14 lingue con una tiratura quotidiana di 300.000 copie. Il numero dei partecipanti superò ogni precedente cifra: 4.066 di cui 328 donne in rappresentanza di 49 nazioni. Un altro fatto nuovo fu l’eccezionale flusso turistico alimentato dai Giochi: più di 2.000 treni speciali portarono a Berlino centinaia di migliaia di stranieri e dai locali pubblici sparirono i cartelli con la scritta “gli ebrei sono indesiderati”.
Particolare cura fu dedicata alla preparazione tecnica degli atleti tedeschi, che il regime voleva che prevalessero su tutte le altre nazioni, per completare anche dal punto di vista sportivo il trionfo delle Olimpiadi berlinesi. E così tutti gli atleti della rappresentativa tedesca andarono in ritiro per tre mesi nella Selva Nera, per prepararsi degnamente.
E i risultati furono aderenti alle aspettative del Terzo Reich: la Germania si classificò prima vincendo 88 medaglie, di cui 33 d’oro, 26 d’argento e 29 di bronzo. Gli USA si dovettero accontentare del secondo posto con un numero complessivo di 56 medaglie (24 d’oro, 20 d’argento e 12 di bronzo). Al terzo posto l’Italia con 22 medaglie, di cui 8 ori, 9 argenti e 5 bronzi, anche se il terzo posto, in base agli odierni criteri di classificazione, spetterebbe all’Ungheria che guadagnò un numero complessivamente minore di medaglie rispetto all’Italia (16) ma 11 di queste erano d’oro. Seguivano la Svezia con 20 medaglie, Finlandia e Francia con 19 ciascuna, Giappone con 18, Olanda con 17, Svizzera con 15, Gran Bretagna con 14, Austria con 13, fino a concludere con Filippine e Portogallo con una sola medaglia di bronzo a testa. Le potenze di quello che da lì a quattro anni sarebbe diventato l’Asse, dunque, si aggiudicarono oltre il 40% del medagliere complessivo.

Ma veniamo alle medaglie che più ci interessano, quelle di Jesse (diminutivo di James) Cleveland Owens. Il nostro era un atleta di colore, nato il 12 settembre 1913 a Oakville in Alabama, da Henry e Emma Owens, ultimo di dieci figli. Alle Olimpiadi del ’36 vinse quattro medaglie d’oro: nei 100 e 200 metri piani, nel salto in lungo e nella staffetta 4x100.
Nella gara del salto in lungo chi si classificò quarto con la misura di 7,73 e mancò il podio di un soffio fu l’italiano Arturo Maffei, un grande dell’atletica italiana, nato a Viareggio il 9 novembre 1909, che iniziò la sua brillante carriera sportiva nel 1926 nel calcio, come portiere di una squadra parrocchiale di Peretola. Maffei vinse otto titoli di campione d’Italia fra il 1930 e il 1940, vestì per 25 volte la maglia della nazionale e partecipò due volte ai campionati europei. Quando ottenne il quarto posto a Berlino fu proprio Jesse Owens a congratularsi con lui e a definirlo il “miglior stilista” della competizione.

Ed è proprio Maffei a smascherare la diceria delle presunte mancate congratulazioni di Hitler a Owens.

Maffei, infatti è stato testimone oculare dell’episodio e ci racconta nei minimi dettagli come si svolse la faccenda della stretta di mano. Le cose andarono esattamente così. Alla fine della gara del salto in lungo Hitler volle congratularsi personalmente con gli atleti; scese dalla tribuna e si presentò al cospetto di Owens, a meno di un metro da lui. Il fatto stesso che Hitler scese dalla tribuna per incontrare Owens fa di per sé giustizia della diceria secondo la quale il dittatore “non volle salutare un negro”. Se non avesse voluto farlo, avrebbe abbandonato lo stadio senza incontrare gli atleti, o semplicemente sarebbe rimasto in tribuna.
Ma c’è dell’altro. Hitler, dunque, arrivato davanti a Owens lo salutò per primo, alzando il braccio destro nel saluto nazista. Owens non poteva certo rispondere con il braccio teso e perciò allungò la mano verso Hitler. Costui, vedendo che Owens gli allungava la mano, abbassò il braccio teso e allungò a sua volta la sua mano verso quella dell’atleta, per stringergliela. Ma proprio in quell’attimo Owens, forse ricordandosi di essere un militare, portò la mano destra alla fronte salutando Hitler con il classico saluto militare mentre il dittatore tedesco rimase per un attimo con la mano tesa. “A questo punto, decidete voi chi non diede la mano a chi”, conclude Maffei.
Ma se c’è una testimonianza che toglie ogni dubbio, è quella dello stesso Owens, che descrive nelle sue memorie anche ciò che accadde dopo la premiazione: “Dopo essere sceso dal podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d’onore per rientrare negli spogliatoi. Il Cancelliere tedesco mi fissò, si alzò e mi salutò agitando la mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto. Penso che giornalisti e scrittori mostrarono cattivo gusto inventando poi un’ostilità che non ci fu affatto. E ancora: “Hitler non mi snobbò affatto, fu piuttosto Franklin Delano Roosevelt che evitò di incontrami. Il presidente non mi inviò nemmeno un telegramma”.
Owens e Hitler, dunque, si incontrarono, si salutarono, scambiarono anche qualche parola e vollero pure stringersi le mani. Se quelle due mani non si incontrarono materialmente, ciò non è dovuto al fatto che una era bianca e l’altra era nera, ma fu dovuto semplicemente al caso, ai diversi modi di salutare tipici dei due. L’episodio in sé, pertanto, è un episodio assolutamente normale, banale, banalissimo per non dire insignificante, e oggi nessuno ne parlerebbe se nel frattempo non fosse scoppiata un’altra guerra mondiale.
Cinque anni e mezzo dopo le Olimpiadi di Berlino, infatti, con l’attacco giapponese a Pearl Harbor, USA e Germania entravano in guerra fra di loro. A quel punto si poteva già fare una previsione: con la vittoria degli USA, Hitler sarebbe passato alla storia (fra le tante altre cose) come quel razzista che si rifiutò di dare la mano a Owens; con la vittoria della Germania, invece, Owens sarebbe stato ricordato da tutti come quello screanzato che non volle dare la mano a Hitler. Come noto, l’ipotesi che si verificò fu la prima e oggi tanti sono convinti, a torto, che Hitler si rifiutò di incontrare Owens, un “povero negro” che veniva dal paese della democrazia.
Democrazia? Quanto la democrazia americana fosse razzista, Jesse Owens lo sapeva meglio di chiunque altro. Lo sapeva fin dal 1922, quando frequentava la Fairmont Junior High School di Cleveland, naturalmente in una classe di bambini di colore, perché negli USA c’era la segregazione razziale. Lo sapeva fin dal 1930, quando frequentava la East Technical School, naturalmente in una classe di ragazzi di colore, perché negli USA c’era la segregazione razziale. Lo sapeva fin da quando frequentava la Ohio State University, naturalmente in una classe di studenti di colore, perché negli USA c’era la segregazione razziale. Lo sapeva fin da quando si allenava nell’atletica leggera. Poco prima di attraversare l’Atlantico per partecipare alle Olimpiadi di Berlino sperimentò a sue spese cos’era il razzismo, quella volta che in un ristorante solo gli atleti bianchi poterono mangiare, mentre a Jesse e agli altri atleti di colore il cibo fu negato “perché erano negri”, perché negli USA c’era la segregazione razziale.
Da notare, poi, che mentre a Berlino venivano celebrate le Olimpiadi, in Spagna aveva luogo la guerra civile, con folta partecipazione straniera, sia dalla parte dei repubblicani che dei nazionalisti. Fra i 40.000 stranieri provenienti da 39 nazioni che combatterono nelle brigate internazionali contro le truppe regolari di Franco, c’erano anche parecchi americani, tutti democratici, tutti antifascisti, tutti libertari. Eppure, gli statunitensi di pelle bianca erano inquadrati nei battaglioni “Lincoln” e “Washington”, mentre quelli di colore erano inquadrati in un battaglione a parte. Da notare anche che dopo lo sbarco americano a Nettuno le tombe del cimitero statunitense vennero fatte scavare ai soldati di colore.
E dopo la seconda guerra mondiale Jesse vide l’abolizione della segregazione razziale nelle forze armate americane solo nel 1948, dodici anni dopo che Hitler gli tese la mano, ma non ancora sugli autobus, perché nel 1955 Rosa Parks, una donna nera, osò salire su un autobus per bianchi a Montgomery in Alabama e fu arrestata. Diciannove anni dopo che Hitler gli tese la mano.
E Jesse riuscì a vedere dichiarata incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole americane solo nel 1954, ma soltanto sulla carta, perché tre anni dopo il presidente Eisenhower dovette mandare mille soldati a Little Rock in Arkansas per consentire a nove studenti neri di entrare a scuola. Era il 1957, ventuno anni dopo che Hitler gli tese la mano. E Jesse riuscì a vedere il primo “studente negro” entrare in un’università americana solo nel 1962; quello studente era uno che si chiamava James come lui, era James Meredith, che entrava nella scuola non da solo ma accompagnato da trecento poliziotti, mentre veniva accolto a sputi e con un lancio di pietre da parte degli studenti bianchi. Questo accadeva ventisei anni dopo che Hitler gli tese la mano. E per potere esercitare il diritto di voto per la prima volta Jesse Owens dovette aspettare il 1968, dopo 55 anni di vita, 192 anni dopo l’adozione della Costituzione americana, 12 anni prima di morire, 32 anni dopo che Hitler gli tese la mano.
Ma noi restiamo convinti che fosse una bufala quella della stretta di mano rifiutata.


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Così l'Italia frena i turisti cinesi
Sono innamorati del Belpaese, possono spendere molto, ma burocrazia e inefficienza li tengono lontano


Gian Micalessin - Ven, 03/08/2012 - 08:50

Più dei cinesi per ora si lamentano i ticinesi. «I torpedoni con a bordo turisti cinesi che entrano in Italia dal Canton Ticino vengono bloccati e gli occupanti perquisiti. La Guardia di Finanza cerca oggetti di valore acquistati in Svizzera, su cui far pagare l'Iva al 21%. Agli sbigottiti turisti viene fornita l'indicazione di farsi rimborsare in aeroporto: una prassi che notoriamente non funziona mai». Così Lorenzo Valla, deputato svizzero della Lega Ticinese, denunciava due settimane fa il trattamento riservato dall'Italia a un turismo che la Svizzera e altri paesi considerano assai ghiotto.Secondo Giancarlo Dall'Ara - docente di marketing del turismo e autore del libro Come accogliere i turisti cinesi in Italia - le forche caudine di Chiasso sono solo l'estremo affronto riservato dal nostro Paese a un turismo dalle smisurate potenzialità: «L'Italia scoraggia già alla fonte i turisti di Pechino imponendo complesse procedure per la concessione del visto - spiega Dall'Ara a Il Giornale.

Vittoria Mancini, presidente dell'associazione Italia-Cina, è sulla stessa linea: «I turisti cinesi continuano a essere molto attratti dall'Italia, ma raccontano di procedure per ottenere i visti assai intricate, che non facilitano l'impresa». Problemi confermati da Valeria Luo una cinese cresciuta in Italia, collaboratrice dei principali tour operator di Shangai. «Qui - racconta Valeria - ci sono troppe domande di turisti per l'Italia e troppo poco personale al consolato per sbrigare tante richieste, quindi bisogna presentare le domande almeno due mesi prima della data di partenza». «Queste osservazioni non sono soltanto esagerate, ma false - insorge da Pechino il primo segretario dell'Ambasciata Italiana Sergio Maffettone. Nel 2011 - spiega a Il Giornale - i nostri consolati hanno rilasciato un quarto di tutti i visti Schengen emessi in Cina. E quest'anno le cifre sono in aumento». Parole confermate dalla Farnesina secondo cui i tempi «dall'appuntamento al rilascio del visto per turismo» sono «in media una settimana» senza «significative differenze tra i visti di gruppo (ADS) e i visti individuali». Secondo il ministero degli Esteri, insomma, i tempi dei nostri consolati sono ormai identici a quelli degli altri Paesi europei «perché legati a procedure standard previste dal sistema Schengen».Dall'Ara, forte della sua esperienza di studioso del fenomeno, sfodera però altri dati: «Un cinese per venire in Italia deve scegliere se attendere due mesi un visto collettivo attraverso un tour operator oppure chiedere un visto individuale. La seconda opzione attira soprattutto i viaggiatori con buona capacità di spesa, ma i nostri consolati impiegano anche tre mesi per accontentarli. Per questo i cinesi si rivolgono alla Germania e poi utilizzano il visto Schengen per venire in Italia. Ma a quel punto hanno già speso gran parte dei soldi. Questo è uno spreco, vista la loro propensione alla spesa».I ragionamenti di Dall'Ara si basano sui numeri. Oggi l'Europa attira circa 3 milioni di viaggiatori asiatici, destinati a diventare 5 milioni nel 2020. Secondo un identikit della Camera di commercio italiana in Cina, hanno tra i 25 e i 54 anni, livello di istruzione elevato e arrivano dalle aree urbanizzate dove si concentra la crescita economica. Hanno insomma portafogli gonfi e sarebbero pronti a svuotarli nel Belpaese «perché - ricorda Dall'Ara - l'Italia è la meta più sognata nell'immaginario del viaggiatore cinese». A conti fatti restiamo però, la terza meta dopo Francia e Germania. La preferenza è anche questione di voli. Alitalia ha cinque voli alla settimana da Pechino a Roma, ma nessun volo diretto su Milano, servita solo da Air China. Quindi per un turista cinese è molto più conveniente arrivare nel nord Italia sfruttando la varietà di scelte offerte in termini di costi e orari degli aeroporti di Francoforte, Monaco e Parigi. «Ma così rinunciamo a un sacco di entrate - sottolinea Dall'Ara -. I 2.800 manager spediti in viaggio premio a Milano in maggio dalla Perfect China, un azienda del Guangdong, hanno speso 4.000 euro a testa di shopping oltre ai 18 milioni di euro pagati dall'azienda». A queste argomentazioni il nostro ministero degli Esteri ribatte ricordando «i circa 130mila visti rilasciati nel primo semestre 2012, con un aumento intorno al 25% rispetto allo stesso periodo del 2011, con punte che a Pechino hanno raggiunto circa il 40%». Questi passi avanti sono per il primo segretario Maffettone «la conseguenza delle modifiche introdotte nel 2010 con l'arrivo dell'ambasciatore Massimo Iannucci, quando la raccolta della documentazione per le richieste di visto è stata affidata, in linea con gli altri Paesi europei, a due agenzie esterne riservando dell'ambasciata solo la fase decisionale».Anche qui non manca la polemica. Nell'innovazione qualcuno individua un possibile conflitto d'interessi in quanto la fondazione Italia-Cina di Cesare Romiti, una delle due vincitrici dell'appalto, ha tra i propri «consiglieri strategici» proprio l'ambasciatore Massimo Iannucci. La Fondazione chiusa per ferie non fornisce chiarimenti. La Farnesina, sentita da Il Giornale, preferisce guardare al sodo e ricorda come i dati «confermano chiaramente che la Fondazione Italia Cina, selezionata secondo le procedure previste dalla normativa vigente, stia facendo un ottimo lavoro». Maffettone, invece, evidenzia da Pechino i risultati economici dell'outsourcing: «Se ogni visto genera affari per 3.000 euro, il nostro lavoro garantisce oggi circa un miliardo di euro d'entrate. Senza considerare i 70 euro a visto che producono 15 milioni di euro all'anno. Quindi le nostre scelte funzionano e generano redditi». Dall'Ara replica ricordando il caso degli Usa, dove le previsioni attribuiscono al nuovo turismo in arrivo da Cina e Brasile la capacità di garantire entro il 2020 850 miliardi di dollari d'entrate e un milione e 300mila nuovi posti di lavoro: «A gennaio Obama, dopo aver visto quelle cifre, intimò di abbassare da tre mesi a tre settimane i tempi dei visti per brasiliani e cinesi. I consolati americani si sono adeguati all'ordine in due mesi. E senza ricorrere ad agenzie esterne».


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RE: [OT] Attualità e Cultura

Lo "Spettacolo" continua, le repliche sono puntuali ed "inesorabili".Lo spettacolo che va in scena, ormai da più di un anno, sui palcoscenici di tutta Europa e, in ripresa diretta, di tutto il mondo, pur registrando un continuo calo di spettatori, continua inesorabilmente.
La regia è sempre la stessa, gli attori gli stessi, il testo lo stesso, gli spettatori gli stessi.
"La Crisi Europea", titolo altisonante, un po' vicino alla favola di Pinocchio, alla sue bugie, al suo naso incredibile, non è soltanto la crisi dell'economia ma è, aggiungerei soprattutto, la crisi della identità e del pensiero sia esso umanistico che scientifico.
Lo spettacolo inscenato dalla politica economica di chi "può", è diventato noioso e ripetitivo, direi prevedibile.
Geppetto di turno, il burattinaio, la Merkel: inesauribile giocoliera che muove i fili di tanti burattini alla ricerca dello "zecchino d'oro".Oramai, attaccati alla televisione col naso all'insù, gli italiani sono trascinati, ora dalle deludenti olimpiadi, ora dall'enfasi della farsa spettacolare d'una commedia europea che ignora la fine, pur essendo annunciata di giorno in giorno.
Un incubo, una frustrazione disarmante.
Stiamo diventando dei perfetti handicappati muniti di protesi elettronica e di sciacquacessi musicali.E la crisi? Finchè ci sarà il calciomercato e l'Olimpiade del muscolo, la crisi può aspettare.
Intando la Merkel, fedele al Dna del suo popolo, "sempre primo della classe, conquistatore, costi quel che costi (agli altri), inflessibile e insensibile ai problemi umanistici della convivenza sociale", si prepara a non farsi sfuggire l'acquisto di "gioielli" economici di quei paesi in evidente crisi; affare che risulterebbe impossibile se questi paesi fossero aiutati a risollevarsi e non essere costrelli a eventuali svendite.
La Germania chiede all'Europa servilismo in una Europa che stenda ad essere unita anche sulle carte geografiche.
Intanto alla crisi economica fa eco la crisi del pensiero e delle identità.
In un altra parte del mondo, dove la storia segnò i confini tra la cultura orientale e quella occidentale, a Matera, si è cercato d'analizzare la crsi del pensiero ed i suoi danni: l'indifferenza, la delusione, l'apatia, la stanchezza, la mancanza di creatività e d'idee, con l'organizzare le "Olimpiadi del Pensiero" che, da come è stato segnalato e spiegato dalla stampa ufficiale, non solo non si è ancora conclusa, ma continua a suscitare interesse, attenzione e qualche polemica di chiara incomprensione ancora oggi.
Voluta dalla Stampa Federale Europea, le Olimpiadi del Pensiero, col suo suggestivo sottotitolo Vite Parallele è nata nella elaboriosa Masseria del Pantaleone che, per l'occorrenza ha aperto una Sala Multimediale destinata ad una sezione rappresentativa della Basilicata della Stampa Federale Europea.
Già è stata allestita una mostra d'arte contemporanea del noto pittore Tommaso Cascella e nel calendario futuro leggiamo nomi come Agostino Bonalumi, Walter Valentini, Matteo Basilè, Bruno Ceccobelli. E' previsto un ampio programma musicale e di teatro abbinato a tavole rotonde e confronti sui temi più scottanti delle attualità scentico-umanistiche del nostro paese oltre all'attivazione d'un laboratorio didattico scientifico volto al progresso delle scienze e dell'arte.
Intanto Angelo Loperfido che ha messo a disposizione la sua azienza "Masseria del Pantaleone" perchè vi sia un rapporto continuo della sua terra con i problemi salienti del paese, si augura che si approda a qualche soluzione o al risveglio dell'entusiasmo e della "curiosità" giovanile, assopiti dalla delusione e dalla indifferenza .

Michele Greco

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RE:  [OT] Attualità e Cultura

mi.greco ha Scritto:

Lo "Spettacolo" continua, le repliche sono puntuali ed "inesorabili".Lo spettacolo che va in scena, ormai da più di un anno, sui palcoscenici di tutta Europa e, in ripresa diretta, di tutto il mondo, pur registrando un continuo calo di spettatori, continua inesorabilmente.
La regia è sempre la stessa, gli attori gli stessi, il testo lo stesso, gli spettatori gli stessi.
"La Crisi Europea", titolo altisonante, un po' vicino alla favola di Pinocchio, alla sue bugie, al suo naso incredibile, non è soltanto la crisi dell'economia ma è, aggiungerei soprattutto, la crisi della identità e del pensiero sia esso umanistico che scientifico.
Lo spettacolo inscenato dalla politica economica di chi "può", è diventato noioso e ripetitivo, direi prevedibile.
Geppetto di turno, il burattinaio, la Merkel: inesauribile giocoliera che muove i fili di tanti burattini alla ricerca dello "zecchino d'oro".Oramai, attaccati alla televisione col naso all'insù, gli italiani sono trascinati, ora dalle deludenti olimpiadi, ora dall'enfasi della farsa spettacolare d'una commedia europea che ignora la fine, pur essendo annunciata di giorno in giorno.
Un incubo, una frustrazione disarmante.
Stiamo diventando dei perfetti handicappati muniti di protesi elettronica e di sciacquacessi musicali.E la crisi? Finchè ci sarà il calciomercato e l'Olimpiade del muscolo, la crisi può aspettare.
Intando la Merkel, fedele al Dna del suo popolo, "sempre primo della classe, conquistatore, costi quel che costi (agli altri), inflessibile e insensibile ai problemi umanistici della convivenza sociale", si prepara a non farsi sfuggire l'acquisto di "gioielli" economici di quei paesi in evidente crisi; affare che risulterebbe impossibile se questi paesi fossero aiutati a risollevarsi e non essere costrelli a eventuali svendite.
La Germania chiede all'Europa servilismo in una Europa che stenda ad essere unita anche sulle carte geografiche.
Intanto alla crisi economica fa eco la crisi del pensiero e delle identità.
In un altra parte del mondo, dove la storia segnò i confini tra la cultura orientale e quella occidentale, a Matera, si è cercato d'analizzare la crsi del pensiero ed i suoi danni: l'indifferenza, la delusione, l'apatia, la stanchezza, la mancanza di creatività e d'idee, con l'organizzare le "Olimpiadi del Pensiero" che, da come è stato segnalato e spiegato dalla stampa ufficiale, non solo non si è ancora conclusa, ma continua a suscitare interesse, attenzione e qualche polemica di chiara incomprensione ancora oggi.
Voluta dalla Stampa Federale Europea, le Olimpiadi del Pensiero, col suo suggestivo sottotitolo Vite Parallele è nata nella elaboriosa Masseria del Pantaleone che, per l'occorrenza ha aperto una Sala Multimediale destinata ad una sezione rappresentativa della Basilicata della Stampa Federale Europea.
Già è stata allestita una mostra d'arte contemporanea del noto pittore Tommaso Cascella e nel calendario futuro leggiamo nomi come Agostino Bonalumi, Walter Valentini, Matteo Basilè, Bruno Ceccobelli. E' previsto un ampio programma musicale e di teatro abbinato a tavole rotonde e confronti sui temi più scottanti delle attualità scentico-umanistiche del nostro paese oltre all'attivazione d'un laboratorio didattico scientifico volto al progresso delle scienze e dell'arte.
Intanto Angelo Loperfido che ha messo a disposizione la sua azienza "Masseria del Pantaleone" perchè vi sia un rapporto continuo della sua terra con i problemi salienti del paese, si augura che si approda a qualche soluzione o al risveglio dell'entusiasmo e della "curiosità" giovanile, assopiti dalla delusione e dalla indifferenza .

Michele Greco


forse dovevi postarlo qui:
http://www.nuclearmeeting.com/forum/show...hp?tid=380

o più semplicemente nel settore o thread dedicato : Laboratorio di Idee


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RE: [OT] Attualità e Cultura

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/c...27812.html

"Così la Sardegna fa fuggire i turisti"

Il lettore (con barca) scappa in Corsica dove c'è gasolio meno caro, porti economici e cani in libertà


Massimiliano Spina - Lun, 06/08/2012 - 09:17


Premetto di essere un amante della vacanza in barca, frequento da molti anni la Sardegna che amo, sostengo e promuovo tra i miei co­noscenti, soprattutto il suo nord, la Gallura, l'Asinara, la Costa Smeral­da, l'arcipelago de La Maddalena. Sono anche molto nazionalista e po­co incline all'esterofilia. Quest'an­no però con la mia barca a motore di 15 metri la vacanza l'ho passata per i primi quindici giorni nel sud della Corsica, tra Porto Vecchio e Bonifa­cio e le sue numerose anse e isolette, prima di spostarmi in Sardegna, do­ve ora mi trovo.

Purtroppo la differenza è schiac­ciante. Cominciamo col dire che in Corsica il gasolio costa 1,45 euro al li­tro, contro l’1,85 della Sardegna: 40 centesimi in più significa 4 euro in più ogni 10 litri. Considerando che imbarco 2000 litri la spesa è di 800 euro ogni pieno!!! Avrò anche la bar­ca, ma mica trovo i soldi per strada... A Porto Vecchio ho pagato 70 euro a notte, a Bonifacio, tra i posti più chic della Corsica, 104. In Italia mi han­no chiesto 187 euro a Porto Ottiolu, (un porticciolo poco frequentato, 50 chilometria sud di Olbia) 208 eu­ro a Marina di Puntaldia, davanti Ta­volara, 380 euro a Porto Rotondo:non oso pensare quanto mi avreb­bero chiesto a Porto Cervo... Ma di­co io, passi per Porto Rotondo e Por­to Cervo, che sopravvivono, mezzi vuoti, grazie a russi, arabi e ai sem­pre più rari ricchi nostrani, ma co­me può permettersi un Porto Ottio­lu semisconosciuto, carino quanto vuoi, a chiedere quasi il triplo di un porto còrso? I risultati sono eviden­ti: i nostri porti sono semivuoti, gli operatori dell'indotto si lamenta­no, i cartelli vendesi/affittasi non si contano. Bisogna tenere presente che una barca lascia una scia di de­naro proporzionale alla sua dimen­sione (ormeggio, gasolio, manuten­zione, spesa, shopping, ristoranti, escursioni, biglietti aerei, nave), ed è quindi un tesoretto da non lasciar­si sfuggire.

Si lamentano ma non fanno nul­la: i prezzi sono gli stessi di due o tre anni fa, quando l'economia ancora correva, neanche un centesimo di sconto. Mia moglie ha bisogno del centro estetico a La Maddalena? Il sabato pomeriggio è chiuso. Lavore­ranno tanto d'inverno?... In Corsica c'è il Parco Marino delle Bocche di Bonifacio, zona soggetta a restrizio­nidipescaeadivietidiinquinamen­to assortiti, ma si va dappertutto. Gratis. Qui abbiamo il Parco de La Maddalena a pagamento: o meglio dopo aver pagato l'ormeggio la not­te devo ripagare per farmi il bagno di giorno circa 30 euro senza nulla in cambio. I gavitelli per l'ormeggio gratuiti sono pochissimi, quindi o calo la mia ancora («rovinando» il fondale, ma visto che pago posso...) o devo pagare ulteriormente i con­cessionari che hanno messo le loro boe. Così in un giorno pago tre volte: per la notte, per il Parco e per la boa. Per inciso il megaporto de La Mad­dalena realizzato in occasione del G8 è deserto. Poveri soldi nostri...

Aggiungiamopoicheilsottoscrit­to è unità ci­nofila della Scuola Italia­naCanidaSalvataggio, quelladelca­ne di Totti, e volontario della Prote­zione civile, quindi mai andrei in va­canza senza il mio cane. Le spiagge dellaSardegnasonoovunquevieta­te ai cani, salvo una piccola spiaggia a Caprera, ovviamente a pagamen­to. In barba alla normativa generale che lascia la possibilità ai comuni di riservare tratti di spiaggia ai nostri piccoli amici. In Corsica TUTTE le spiagge sono aperte ai cani, eppure non troverete un solo escremento sulla sabbia (proprio come sui no­stri marciapiedi italiani...). Lascia­mo perdere il lato affettivo della co­sa: non pretendo che tutti amino i ca­ni, ma guardiamo il business? Apri­re le spiagge, o parti di esse, ai cani, richiamerebbe i loro padroni che so­no tanti. E invece sapete dove van­no? In Corsica. Addirittura nei bar còrsi quando mi siedo al tavolino mi portano, senza che io l’abbia ri­chiesta, una ciotola con l'acqua. A Budoni, quattro case sperdute lun­go la provinciale sarda, sono entra­to dal barbiere per tagliarmi i capel­li. Dentro non c'era nessuno, ma non mi hanno fatto entrare lo stesso perchè avevo il cane (forse avevano pauracheperdesseilpelo?...). Ilbar­biere ha rinunciato così al guada­gno, per poi lamentarsi magari di non avere clienti. Libero di farlo, ma anche io sono libero di portare i miei soldi altrove.Per concludere e a proposito di sprechi vorrei fare un accenno ai mezzi navali che incontro massic­ciamente in Sardegna, ma non solo: Guardia Costiera, Finanza, Polizia, Carabinieri, Vigili del Fuoco, Poli­ziaProvincialeeperfinoCorpoFore­stale, che è come trovare la Capita­neria di Porto a Vipiteno. Tutti costi moltiplicati. In Corsica incontro, e solo quando serve, unicamente i mezzidellaSnsm(SocietàNaziona­le di Salvataggio in Mare).

Ecosìsonoinpartenza. Imieiulti­mi dieci giorni di vacanza tornerò a passarli in Corsica, spenderò molto menoeilmiocanecorreràfelicesul­la spiaggia. E mi taglierò finalmente i capelli. Con l'amaro in bocca...


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http://it.euronews.com/2012/08/08/spagna...-alimenti/

Spagna: cassonetti sigillati a Girona per impedire recupero alimenti
08/08 14:54 CET

La Spagna in crisi sigilla i cassonetti. Accade a Girona, vicino Barcellona, dove l’amministrazione comunale ha deciso di mettere i lucchetti ai bidoni dei rifiuti nei pressi dei supermercati. Perché un fenomeno prima riservato ai senza fissa dimora – quello di frugare tra i rifiuti per trovare da mangiare – si è allargato anche ai nuovi poveri: famiglie monoreddito e anziani.

“Tanti prodotti deperibili vengono gettati via anche se possono essere consumati ed essere di grande aiuto. Questi prodotti sono quello che queste persone cercano. Tuttavia, il governo regionale e la Caritas e tutti gli agenti sociali spesso li rifiutano”.

La polizia municipale avrà il compito di censire i nuovi poveri e, in collaborazione con i grandi distributori, fornire un pacco di aiuti alimentari.

La municipalità ha attivato contemporaneamente un servizio di informazione pubblica per indirizzare coloro che ne hanno bisogno verso le mense pubbliche.

In Spagna, con la disoccupazione vicina al 25%, la classe media è piombata nella povertà e il Paese affronta il secondo periodo di recessione degli ultimi quattro anni.


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http://www.ilgiornale.it/news/cronache/c...28780.html


Il capo degli esattori? Non pagava multe e tasse
La difesa del dirigente: "Pignorato da Equitalia? Dimostra che sono corretto"
Fausto Biloslavo - Ven, 10/08/2012 - 09:03

A Trieste il direttore dell'agenzia del­le imposte comunali non ha pagato le tasse, a tal punto che gli è stato pignora­to lo stipendio.
Non solo: è riuscito, gra­zie a dei cavilli, a evitare fino all'ultimo pure le multe, che prendeva al volante della macchina messa a disposizione co­me benefit dalla società di riscossione. Con la mannaia di Equitalia sulla testa degli italiani nulla di nuovo sotto il sole, se non fosse che Paolo Cavazzoni firma la riscossione delle multe e dei tributi co­munali richiesti ai cittadini di Trieste.

«Mi rendo conto che la storia fa noti­zia, ma approfondendo salta fuori la mia correttezza» si difende con il Giorna­le il direttore di Esatto spa, l'agenzia del­le imposte comunali del capoluogo giu­liano. Il Piccolo , quotidiano di Trieste, ha tirato fuori per primo la vicenda para­dossale delle multe. Quando le prende qualsiasi triestino ti arrivano a casa con la firma di Cavazzoni per la riscossione. Il direttore aveva a disposizione, come benefit, un'Audi station wagon grigia targata DJ036ML. E poteva utilizzarla sia per lavoro, che privatamente, tutto l'anno. Oggi è al volante di una Volkswa­gen Tiguan, sempre intestata all'agen­zia Esatto. Nel 2008, a Gorizia, corre trop­po e si becca una multa per eccesso di ve­locità.

La contravvenzione non viene pa­gata. «Non lo sapevo la multa è arrivata in Comune» spiega Cavazzoni. In prati­ca la sede legale dell'agenzia è presso il municipio, ma quella operativa da un'al­tra parte e incredibilmente, anche se tut­ti sanno cosa sia Esatto, la multa torna in­dietro. Alla fine, un anno dopo, Equita­lia intima all'agenzia diretta da Cavazzo­ni il pagamento forzato. Non solo: mi­naccia di mettere le ganasce a un motori­no di Esatto. A questo punto il direttore è con le spalle al muro e la multa, che è lie­vitata a 566,31€, viene pagata e trattenu­ta dal suo stipendio. «Dimostra la mia correttezza. Ho dovuto sborsare una ci­fra maggiorata», sostiene Cavazzoni. Peccato che per gran parte delle multe dei 22 mezzi dell'agenzia, prese dei di­pendenti, non risultano«inghippi»simi­li. E tantomeno per un altro funzionario che ha il benefit della macchina. La seconda contravvenzione garibal­dina del direttore è stata presa a Mode­na perché «il veicolo accedeva abusiva­mente nella zona a traffico limitato senza autorizzazione», si legge nel verbale pubblicato dal Pic­colo .

Solita storia sulle difficoltà di notifi­ca e alla fine lo stesso direttore scrive su carta intestata di Esatto per chiedere l'annullamento. E si appella, ovviamen­te, al superamento dei termini di notifi­ca di 90 giorni. Peccato che la multa da 76 aumenti a 170 €, perché non è stata pa­ga­ta subito e arrivi a casa del rappresen­tante legale della società. Cavazzoni, che fa riscuotere le multe, non ha alcuna intenzione di pagarla. «In questo caso non c'è il rischio di una riscossione coat­tiva perché è stato presentato riscorso- spiega al Picco­lo - Noi applichiamo la legge su noi stessi come sugli altri». Il Giornale , però, scopre, che il preci­so direttore dell' agenzia delle impo­ste comunali, due an­ni fa, si è ritrovato con lo stipendio pignorato per non aver pagato delle imposte. Nell'otto­bre 2010 Equitalia chiede il pignoramen­to a Esatto perché Cavazzoni «è debito­re per imposte, tasse ed accessori, rego­larmente iscritte nei ruoli resi esecutivi della somma di euro 5650,90». Alla ri­chiesta di spiegazioni il direttore rima­ne per un attimo interdetto, ma poi spie­ga: «Si trattava di un'imposta di registro sull'eredità di mio padre, che poi ho pa­gato ». Peccato che prima di arrivare al pi­gnoramento dello stipendio, proprio lui che notifica multe e tasse, non abbia sal­dato le cartelle esattoriali di Equitalia.


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