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[OT] Attualità e Cultura
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Toungue  RE: [OT] Attualità e Cultura

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Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
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RE: [OT] Attualità e Cultura

http://www.ilgiornale.it/news/cultura/ga...60975.html

Gattonando nel vuoto, dentro la bolla dell'arte
Sospesi a 30 metri d'altezza, su una membrana trasparente di sei millimetri Il successo (quasi come Picasso) di un'installazione "vissuta" dal pubblico
Luigi Mascheroni - Sab, 01/12/2012 - 09:19

Da là in cima, chi sta sotto appare un insetto in fuga. E quelli che stanno in alto, visti da sotto, sembrano ragni a caccia di una preda. Tra Kakfa e Fuller. Chi l'ha provata, uscendo, dice che è un'esperienza mentale.

O «una prova fisica». O «una cosa davvero divertente». O «pazzesca». O «qualcosa di adrenalinico, mi capisci?».
Pazzesca, divertente, adrenalinica, è un'opera che puoi vedere da fuori, da sotto, da sopra, da dentro, un'installazione in cui puoi entrare, da cui puoi uscire, dentro la quale cammini, gattoni, rotoli, ti lanci, rimbalzi, un allestimento che «vivi», che usi, che senti. Un po' è arte, un po' è gioco, un po' è moda. Un po' è vita.
Una struttura gigantesca, accessibile ai visitatori, montata in un enorme capannone, dentro cui sono stesi tre strati sovrapposti di superficie trasparente, sospesi tra i 27 e i 34 metri d'altezza, dell'ampiezza complessiva di 1.200 metri quadrati e gonfiati da 7mila metri cubi d'aria. Una bolla colossale. Un capolavoro «in quota». Un bungee jumping d'artista.
Il primo paragone che ti viene in mente, quando ci sei «dentro», è quello con i gonfiabili per bambini che vedi al mare, o alle fiere. Soltanto molto più grande, trasparente, su tre livelli, e a 30 metri d'altezza. L'altra differenza, è che è vietato ai minori. I bambini giocano, i grandi fanno una performance.
Performance riuscitissima dell'argentino Tomàs Saraceno, artista 39enne di culto, famoso per la stanza-ragnatela realizzata alla Biennale di Venezia del 2009, la struttura fluttuante di pellicola trasparente (schiuma di plastica spazio-temporale che avvolge il corpo del pubblico) si chiama On Space Time Foam e dal 26 ottobre campeggia in un'ala dell'HangarBicocca, a Milano: una mostra-evento che è una sfida artistica, tecnologica e antropologica. Metafora di un sistema sociale instabile in perenne cambiamento, utopia di un mondo senza gerarchie dove il sopra e il sotto sono relativi, e parabola tecnologic-art della farfalla il cui battito provoca un uragano dall'altra parte del mondo, la mostra, aperta da un mese, ha già superato i 40mila visitatori, una media di 2mila persone al giorno che sono arrivate qui per vederla e per viverla. Si mettono in coda, entrano a gruppi di 15, si tolgono le scarpe, ripongono negli armadietti spille e cinture, e entrano nella bolla. Ci camminano sopra e ci gattonano dentro, per 15 minuti, in un silenzio surreale rotto dai fruscii e i sospiri. Poi si cambia turno. Tempo d'attesa: in settimana mezz'ora-un'ora, nel weekend anche due o tre.
In termini assoluti l'installazione site-specific di Tomàs Saraceno ha superato la mostra di Degas a Torino (9.600 visitatori), Raffaello verso Picasso a Vicenza (14mila) è vicinissima a Vermeer alle Scuderie del Quirinale a Roma (20.124, media giornaliera 2.400) e non sfigura neppure di fronte a Picasso a Palazzo Reale, a Milano, che è in cima alla classifica settimanale delle mostre italiane: 33mila visitatori, 3.900 al giorno. Per fare un'esempio: l'esposizione permanente «Cantiere del '900» delle Gallerie d'Italia in Piazza Scala, inaugurata lo stesso giorno dell'opera all'HangarBicocca, ha avuto 37.500 spettatori. Entrambe gratuite, una è nel cuore di Milano l'altra in periferia. La prima espone i grandi maestri del '900 italiano, l'altra è arte esperienziale-emozionale. «Per un'installazione di arte contemporanea, i numeri di On Space Time Foam sono da guinness», conferma l'organizzazione.
Aperto peraltro solo da giovedì a domenica, vietato a persone che soffrono di attacchi di panico, claustrofobia, vertigini, a donne incinte e a chi supera i 100 chili di peso, l'allestimento di Tomàs Saraceno, frutto di mesi di progettazione e test statici, curato da Andrea Lissoni e finanziato dalla Pirelli, appassiona e incuriosisce, alimentando un corto circuito di passaparola e entusiasmo. Attira i giovani, che pure faticano a distinguere l'aspetto ludico da quello artistico («il target di riferimento sono i 20-25enni, che ci vengono in gruppi, a coppie, anche alla sera come dopocena prima di andare nei locali», conferma una ragazza dello staff), signore di mezza età art-oriented o semplici curiose (ieri un gruppo di cinque amiche quarantenni, in pausa pranzo intellettuale, erano in coda «per provare una cosa nuova, e anche per stare insieme»), vip della tv e dello sport e arzilli studenti dell'Università della Terza età: «La persona più agée che si è “lanciata”? Uhm... C'è stata una signora di 85 anni - viene in mente a una delle due guide alpine incaricate della sicurezza -. Appena entrata nella bolla, è scivolata giù un paio di metri, si è spaventata... L'abbiamo aiutata, pensavamo rinunciasse. Invece è tornata dentro, e si anche divertita...».
Divertimento, disagio, spaesamento, sospetto, leggerezza. Camminando carponi sulla superficie di plastica fluttuante che si alza e si abbassa sotto il peso delle persone in movimento, come se si passeggiasse tra le nuvole, o in un acquario sospeso, tra ragnatele tecnologiche e cloud computing, si prova cosa significa stare in equilibrio tra cielo e terra. Quando sei in mezzo al gigantesco telo di plastica, a 20 metri di distanza dal punto solido più vicino, a 30 metri d'altezza, su una membra di sei millimetri, sopra il cemento dell'hangar, senza alcuna rete fisica né mentale, speri che gli ingegneri di Tomàs Saraceno abbiamo fatto bene i conti, e i materiali Pirelli rispondano ai criteri di affidabilità nei quali hai sempre creduto. Per il resto ti muovi gattoni, ascolti gli scricchiolii dei cavi e vivi il tuo quarto d'ora da protagonista dentro l'opera d'arte. «È come essere in un mondo instabile - dice Riccardo, vent'anni, venuto qui con gli amici - Tu vuoi andare in una direzione, ma il tuo movimento è condizionato da quello degli altri, a seconda di come si muovono. Insomma, capisci che non sei tu che decidi tutto». Così in un'opera d'arte, esattamente come nella vita.


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RE: [OT] Attualità e Cultura

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Feticisti, dandy e sadici Le «libidini» da bibliofili
Si eccitano per una rilegatura e vivono alla ricerca di rarità e prime edizioni. Ma un volume si deve amare come un fratello. Anche se ha i suoi difetti...
Marcello Veneziani - Lun, 03/12/2012 - 08:38

C'è una tarma dal volto umano che si chiama bibliofilo. In gergo scientifico si chiama lepisma, ma è noto anche come tarlo, muffa, larva o più leggiadramente pesciolino d'argento. Il bibliofilo divora la carta ma non la distrugge, anzi la tutela e la venera, soprattutto se antica e rilegata.

I bibliofili sono una setta esoterica che applica il gusto estetico al senso storico, in un curioso intreccio di bellezza ricercata e gerontofilia antiquaria. Luigi Mascheroni ha compiuto un viaggio tra le tarme più veraci e voraci della bibliofilia nel suo Scegliere i libri è un arte, collezionarli è una follia, edito da Biblohaus (pagg. 176, euro 15; prefazione di Mario Baudino e cura di Massimo Gatta, in libreria dal 7 dicembre). Da Andreotti a Cesare De Michelis, da Alfredo Castelli a Philippe Daverio, Mascheroni ritrae una ventina di accaniti bibliofili, raccoglie le loro voci, fa la storia e la patologia della loro passione; ma alla fine si svela l'intima complicità del biografo con i suddetti e col loro nobile vizio. Non so quanto nei bibliofili la passione del libro poi coincida col piacere della lettura, e questo è l'antico conflitto tra i lettori forti e i collezionisti di libri.

Alcuni tra gli autori incontrati da Mascheroni sono anche lettori assidui, ma chi ama un libro non è detto che si appassioni al suo contenuto; a volte i bibliofili sono raffinati feticisti e somigliano più al collezionista di ossa che all'erudito, più al dandy che all'umanista. Io non potrei dirmi un bibliofilo se per amor dei libri s'intende la cura per i volumi, la ricerca delle prime edizioni e la collezione di perle preziose. L'amor mio per i libri è troppo carnale per essere quello di un bibliofilo e troppo mentale per commuoversi davanti a una rilegatura antica e pregiata. Maltratto i libri che più amo, li sottolineo, e leggendone molti all'aperto, spesso ne recano le impronte. Amo, è vero, la biblioteca; ma vicende personali (di cui c'è traccia pure in questo libro) mi hanno alla fine vaccinato, fino a farmi disamorare. Ora so distaccarmene e perfino privarmi di interi filoni non congeniali; anche se quando qualcuno vuol devolvermi la sua biblioteca dismessa si riaccende la “libridine” e la gioiosa attesa dell'incontro libresco imprevisto.

Almeno la metà dei bibliofili ritratti da Mascheroni li conosco e molti di loro li considero amici; invidio il loro fiuto e il possesso di alcune rarità, e ammiro la loro cura e ricerca. Ma c'è chi di un libro ama la sua esistenza e chi invece la sua essenza; chi venera la sua età e i tempi che ha attraversato, magari restandone indenne; e chi invece cerca di sentire nel fruscio delle pagine la sua anima e cerca di sorprendere nel tomo un'idea discinta che si veste di carta. Col passare del tempo anche il libro stampato, ridotto a esemplare raro, conquista l'aura delle opere d'arte irriproducibili. Le copie spariscono e la superstite si assume l'onore di coincidere con l'originale. Qualcuno sostiene che chi ama il libro come pensiero, al contrario del bibliofilo, dovrebbe gioire della sua progressiva evanescenza a favore dell'e-book, e del suo diventare pura visione senza corpo. Come Plotino si vergognava di avere un corpo, così il lettore spirituale dovrebbe sentirsi liberato dalla presenza fisica del volume e gioire del suo ridursi a pura entità concettuale, incorporea. Lasciando dunque ai bibliofili doc il dolore per il libro smaterializzato nel web. Ma per i veri lettori, come per i veri bibliofili, la bellezza fisica di un'opera è il primo gradino per accedere alla sua bellezza intellettuale. Il suo corpo è la sua custodia, il suo presagio. Tramite la sua presenza fisica, si accede alla sua sostanza metafisica. C'è chi vorrebbe procedere alla cremazione dei fratelli maggiori, conservando la loro cenere in una più agile urna, l'e-book, la chiavetta, o semplicemente affidando il loro ricordo alla clemenza della rete che tanto contiene e troppo ricorda, anche robaccia. Ma l'esperienza tattile del libro, lo sostiene anche Mascheroni, è insostituibile; non basta vedere un testo su uno schermo, bisogna toccare il suo corpo plasmato dal tempo, sentire la sua età, il suo odore, la loro cartilagine, anche quando è in preda all'osteoporosi, perché i libri sono umani anche in quello. È detestabile l'espressione libro usato, che è brutta quasi quanto supporto cartaceo. Certo il libro, più che all'auto, somiglia al tappeto di seta: più è vissuto e più ha valore. Dico valore affettivo, storico, non antiquario o commerciale. Meglio chiamarlo libro vissuto anziché usato. Perché i libri sono vita raccolta in carta e pensieri; e averli letti, toccati, chiosati, li rende più veri e più vivi. Ogni lettore aggiunge uno strato di vita. Certo, poi ci sono i libri abusati o logorati dal tempo, squinternati e ridotti a una degradante vecchiaia. Ma i libri che odorano di vita e lettori, i libri tramandati, sono ancora più ricchi, crescono con l'uso. Su questo, i bibliofili interrogati da Mascheroni sarebbero contrari: per loro il libro vale di più se i lettori non hanno violato il suo corpo.

Vivo in una piccola casa con mille fratelli maggiori. Ma non occupano molto spazio perché i loro corpi sono di carta; chi mezzo, chi un intero ripiano, chi lo spazio di un libro. I fratelli maggiori sono gli autori dei libri che gremiscono la biblioteca. Sono fratelli a volte più antichi di Cristo, come Omero e i filosofi greci; altri sono più vicini nei secoli, qualcuno l'ho conosciuto e taluno è vivente. Tra loro c'è pure uno scaffale con ventisei costole mie, i libri procreati da me, figlioli immaginari. Mi piace organizzare con i mille fratelli feste a sorpresa, soprattutto d'autunno e d'inverno, e passare serate in affollata solitudine, fermandomi ora con un fratello maggiore ora con un altro per una rimpatriata e una riscoperta; a volte ricordando insieme qualcosa, a volte rubando loro un pensiero, una parola, un'atmosfera.

E' bello avere compagni di solitudine. Non c'è settimana che non si leggano annunci di morte per il libro di carta stampata. Funerali anticipati, a volte con una punta di sadico compiacimento e di barbarie nascosta nella tecnica ipermoderna on line. Talvolta i sadomaso sono autori di libri che si compiacciono di soffrire facendo soffrire. Mi auguro che finisca prima l'uomo del libro, e che il postlibro riguardi i postumani, non noi umani. Piace il sapere fluttuante nell'etere, i libri disincarnati sul video e i saperi visti e toccati sul display; ma abbiamo bisogno di avere più fonti di sapere e di vita, anche quelle più antiche. Amanti del libro e della lettura, bibliofili, bibliomani e biblionauti, colti o solo feticisti, difendiamo uniti i Mille Fratelli in carte e ossa e i loro Libri Vissuti.

Carta canta, non sopprimete quel canto.


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RE: [OT] Attualità e Cultura

Pedali: "Le mie radici? Sono nella musica nera"
In Popin Jazz è affiancata da star del jazz come Fresu, Dado Moroni, il giovane Cafiso e Tamburini: "È la sintesi del mio percorso musicale e del mio amore per i vari generi"
Antonio Lodetti - Lun, 03/12/2012 - 09:00

Ha inciso diversi album, nel 2003 ha partecipato a Sanremo Giovani e la sua canzone, "Vorrei", è stata la più trasmessa dalle radio.

Ha cantato un po' ovunque - persino al Madison Square Garden di New York - ma non molti hanno sentito parlare di Daniela Pedali, gran voce in bilico tra pop, soul e jazz. Ora ci riprova con "Popin Jazz", il nuovo cd che la vede affiancata da star del jazz come Paolo Fresu, Dado Moroni, il giovane Francesco Cafiso, Marco Tamburini.

Punta molto su questo disco.

Si, è la sintesi del mio percorso musicale e del mio amore per i vari generi. Una serie di canzoni che attraversa trasversalmente tutti gli stili con un occhio particolare alla fusione tra pop e jazz.

Si può definire easy jazz?

Piuttosto io parlerei di soul jazz, visto che le mie radici sono nella musica nera. E' un lavoro con cui volevo dire qualcosa di più profondo e personale.

Come ha fatto a coinvolgere stelle come Fresu e Moroni?

E' stato un processo naturale, hanno ascoltato il progetto e si sono subito sentiti coinvolti nel reinterpretare brani come Eleanor Rigby dei Beatles, Billy Jean di Michael Jackson o Se mai, versione italiana di Smile di Charlie Chaplin, che avevo già inciso nel mio album precedente.

Come nasce artisticamente Daniela Pedali?

Da bambina, quando cantavo da sola nella mia stanza, ero felice e mi sentivo me stessa. Da allora non ho più smesso e ho deciso di trasformarla in una professione. Ho partecipato a diversi concorsi e ho tentato diverse strade finchè il produttore Angelo Valsiglio mi ha scoperto e mi ha permesso di incidere il primo album.

È stata anche in tv?

A 16 anni ho partecipato a Re per una notte, il programma su Italia 1 di Gigi Sabani che anticipava i talent show e poi a Derstinazione Sanremo di Pippo Baudo e Claudio Cecchetto, lo show che mi ha permesso di partecipare a SAnremo Giovani nel 2003. Ma a Sanremo il successo non è arrivato. Quei tre minuti sul palco di Sanremo sono stati un'emozione unica perchè il Festival fa parte della nostra cultura. E' stata un'esperienza entusiasmante e non è vero che non abbia avuto successo. Il mio brano è stato il più trasmesso dalle radio tra quelli dei giovani e poi è arrivato il successo internazionale.

Cioè?

Subito dopo il Festival ho firmato un contratto in America con la Sony Discos, ho registrato un disco in spagnolo per il mercato latinoamericano e ho fatto una tournee massacrante, a volte persino due concerti al giorno. Un'esperienza che mi ha insegnato molto. Poi ho avuto successo in Russia, Ucraina e il pezzo Swords, che ho inciso con gli inglesi London Beat, è arrivato a sorpresa in testa alla classifica in Danimarca.

Quali sono le sue radici musicali?

Ascolto da sempre il soul e il rhythm'n'blues di Ray Charles, Aretha Franklin, Otis Redding e le grandi cantanti di jazz, ma la vera folgorazione mi è arrivata col primo disco di Whitney Houston. Da allora ho continuato a coltivare le radici nere ma cercando di amare sempre più me stessa per trovare una strada personale. Insomma vorrei essere originale e non imitare nessuno.

Che cos'è per lei la musica?

La musica, soprattutto il jazz, per me sul palco si diventa cronaca, scambio di energie, istintività, dialogo e comunicazione con il pubblico. Un groviglio di emozioni.

Come mai non ha provato anche lei con i reality e con i talent show?

Preferisco seguire la strada dei concerti e dei dischi ora che è avviata. Devo dire che i reality, ad un certo punto, hanno messo in crisi la mia carriera.

Come mai?

Perché ormai tutto passa solo da lì. E' giusto e bello che ci siano e che aiutino tanti ragazzi ad emergere, ma non devono diventare il canale esclusivo per avere visibilità ed entrare nel mondo discografico. Meno male che poi mi sono ripresa e ora punto molto su Pop In Jazz.

Daniela Pedali ha un sogno?

Ne ho mille perché sono esuberante, ma forse il più grande, legato alla mia carriera, è quello di vedere una folla sterminata che canta con me una delle mie canzoni.


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"Premio Adrenalina", la mostra tra simbolismo e tecnologia
All'esposizione finale della prima edizione del Premio Adrenalina, la creatività incontra i nuovi mezzi tecnologici nell'esposizione "La nuova era tra simbolismo e tecnologia"
Francesca Riggio - Mar, 20/11/2012 - 09:32



Pittura e fotografia ma anche installazioni e body art all'esposizione finale della prima edizione del Premio Adrenalina. La creatività incontra i nuovi mezzi tecnologici in una esposizione dal titolo: "La nuova era tra simbolismo e tecnologia". L'evento che si svolge a Roma, presso La Pelanda- Centro di Produzione culturale fino al 2 dicembre 2012 vuole offrire uno spazio innovativo per la libera espressione dell'arte, in tutte le sue forme. Il curatore dell'evento, nonchè direttore artistico Fernando Colloca ha spiegato così il progetto.

Come nasce l'idea di istituire il premio Adrenalina?

Adrenalina nasce nel 2009 come progetto non come premio: l'idea era quella di dare l'opportunità ai giovani di sviluppare la propria creatività. Il nome del progetto è emblematico, richiama l'idea dell'unica "sostanza" naturale che noi produciamo e che è il motore propulsivo della nostra creatività. Vogliamo insomma lanciare ai giovani un messaggio positivo: non servono le droghe per sentirsi liberi, per esprimersi. L'iniziatiava è un connubio tra arte e attenzione al sociale, al mondo della gioventù. Inoltre altra caratteristiche del progetto è l'attenzione al recupero degli spazi industriali abbandonati che facciano da suggestiva cornice all'evento artistico.

Quando Adrenalina si "trasforma" anche in premio?


Il premio nasce quest'anno visto il successo che il progetto aveva avuto nel 2009, quando decidemmo di esporre nell'Ex Mercato ebraico del pesce, uno spazio allestito ad hoc per l'occasione. Grazie alla grandissima partecipazione abbiamo pensato di istituire anche un premio per i 60 artisti che esporranno. Adrenalina inoltre si è rinnovata, quest'anno abbiamo allargato la fascia d'età dei partecipanti. Non esporranno più solo artisti under 35, ma chiunque abbia desiderio di esprimersi.

Come si sviluppa l'iniziativa?

Sessanta artisti internazionali esporranno le loro creazioni, che spaziano dalla pittura alla fotografia, fino alle installazioni e alla body art. In quanto curatore e direttore artistico della mostra ho intenzionalmente evitato di porre dei paletti e dei limiti alla espressività; la mia volontà è quella di dare spazio a tutte le forme possibili di arte, da quelle tradizionali a quelle più moderne che sfruttano la potenzialtà della tecnologia. Non a caso il tema della esposizione è " La nuova era tra simbolismo e tecnologia".

Perchè avete istituito anche un premio online?

Questa è stata una provocazione. Siamo consapevoli che oggi la comunicazione avviene soprattutto sul web e ci sembrava "attuale" dare la posibilità ache agli utenti della rete di dare la loro valutazione sulle opere. Sappiamo comunque che il voto in rete può essere anche "comprato" dai centralini, e che quindi non sempre corrisponde alla verità e al pensiero colletivo.


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