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[OT] Attualità e Cultura
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Charade77
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RE:  [OT] Attualità e Cultura

giorgio_luppi ha Scritto:

Heila' ragazzi, come va li' in riva al fiume?
Vi state annoiando?  Ho l'impressione che, da quando non avete piu' nessuno da insultare, siate sopraffatti da una noia mortale. Solo il mitico Cher che continua a postare articoli di giornale e nulla piu'.
Se volete dico qualcosa al Bellotti cosi' movimentiamo un po' le lunghe serate invernali.
Un augurio di Buon Natale e felice Nuovo Anno Nucleare a tutti.
Giorgio.


In riva al fiume si sta più che bene ,e senza gli spara-cazzate gratuiti fra i piedi ,si studia ,ci si informa , si approfondiscono temi seri di scienza e tecnologia.
Tranquillo , nessuno sente la mancanza nè il bisogno di venditori ambulanti di eco-energie-inutili ... chissà che il nuclear-meeting ritorni tra i pochi "fazzoletti del web" privi di "elementi inquinanti".
Felice anno nuovo anche a te ... ti aspetto con argomenti seri e un poco più fondati ...


"Seduti sulla riva del fiume"

"Se un giorno diranno di me che nel mio lavoro ho contribuito al benessere ed alla felicità del mio collega, allora sarò soddisfatto." George Westinghouse
02-01-2012 18:12
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RE: [OT] Attualità e Cultura



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Siamo uomini, non salvadanai


di Marcello Veneziani - 04 gennaio 2012, 08:00


Ma che miseria cominciare l'anno festeggiando il decennale dell’Euro e continuare nei giorni. Roba da usurai. Commemoriamo semmai il decennale in cui l'Europa si ridusse a un soldo bucato.

Era grande l'Europa, da millenni, grande ma divisa. Grandi le opere, i leader e le imprese. E proprio nel secolo che finì in moneta grandiosi testi narrarono lo spirito europeo e il suo declino. Poi tutto fu monetizzato e si ridusse al lancio di una monetina, come si fa per decidere il campo di gioco o chi tira per primo.

Non fraintendete, era buona l'idea della moneta unica; ma era infame pensare che l'unione europea potesse nascere dalla moneta unica. Per tutto il novecento le grandi menti d'Europa avevano pensato la Tecnica: Junger e Heidegger, Spengler, Anders e Gehlen, il Circolo di Vienna e i neopositivisti, e su altri versanti Fermi, Maiorana, von Braun. Il sanguigno Bernanos scriveva «lo spirito europeo e il mondo delle macchine ». Profetizzarono che i nuovi cesari sarebbero venuti dall'Economia e dalla Tecnica.

Poi un giorno spuntò al potere, tomo tomo cacchio cacchio, il Tecnico, Mario Monti, mentre il Leviatano economico partoriva i suoi Draghi. In Europa schizzava lo spread dappertutto, la vita cedette alla borsa, il bund bund fu il gioco erotico della tecno-Europa: e la porca Italia di Berlusca, castrata dai tedeschi, mutò il maiale in salvadanaio. L'Europa passò alla cassa, altrimenti detta feretro. Ma siamo uomini, non salvadanai; e non voglio pensare in che fessura c'infilano gli euro prelevati dalle tasse.


Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
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Tutti conoscono il declino,
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RE: [OT] Attualità e Cultura



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Se il diritto è solo la volontà dei politici, la libertà viene meno e l’economia frana


di Carlo Lottieri 5 Gennaio 2012


È del tutto ingiustificabile la decisione, assunta con l’approvazione dell’ultima manovra, di non rendere più convertibili in euro le ultime lire possedute dagli italiani, che fino a poche settimane fa si era detto convertibili fino a fine febbraio. Ma questa rapina è solo la riprova di un dato elementare che non riusciamo ad accettare: e cioè che lo Stato moderno non è l’essenza del diritto, ma la sua negazione.
Proprio in questi giorni – su un altro quotidiano – mi è capitato di affermare ogni resistenza di fronte ad un’agenzia arrogante come Equitalia deve avvenire secondo i principi del diritto, e non già violandoli (come fa chi adotta metodi terroristici). Nel sommario, però, il mio pensiero è stato sintetizzato sostenendo che un’azione di contrasto deva sempre avvenire nel rispetto della legge.
Perché riporto questo episodio? Perché mostra come ormai siamo portati a credere che la legge coincida con il diritto, e che non vi sia altro diritto al di fuori della Gazzetta Ufficiale.

È per tale ragione che lo Stato si rimangia così spesso la parola: come fa con i pensionati, come ha fatto con i titolari dei capitali “scudati”, come fa in altre circostante. Il legislatore pensa che se il diritto è la sua volontà, quello che ieri era legge oggi può non esserlo più. Ma in questa situazione non solo viene meno ogni protezione alle libertà, ma la stessa vita economica è minata dalle fondamenta.

Chi intraprende ha bisogno di avere dinanzi a sé un orizzonte relativamente stabile. Se oggi compio taluni investimenti sulla base di talune leggi, non posso veder sfumare ogni mio progetto perché un qualsiasi diktat ha cambiato le regole.

Lo Stato che non rispetta le norme che esso stesso si è dato è allora la forma più patologica di un degrado generale, connesso al declino crisi dell’idea tradizionale del diritto: strettamente legata a una nozione di diritto naturale, oggettivo, non manipolabile, e anche storicamente definito dalle pratiche sociali.

Lo Stato italiano che deruba i titolari delle vecchie lire ci obbliga dunque a riflettere su una delle radici principali del disastro in cui ci troviamo.
(Tratto da l'Unione Sarda)


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RE: [OT] Attualità e Cultura



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Racconti non autorizzati
Saldi di fine Nazione: il Prof, la donna e l'uomo col nasone


di John Galt6 Gennaio 2012

In rappresentanza del proprio Paese, un noto professore, rassicurato dalle parole di ammirazione rivoltegli da due importanti capi di stato stranieri, espone, nel corso di una attesissima conferenza stampa, le misure economiche assai drastiche prese dal suo governo per risanare il bilancio nazionale. Si tratta di una vera e propria frustata centralista che si rivela, tra l'altro, una ghiotta occasione, per quel docente, di sbarazzarsi di una oramai poco gratificante etichetta di studioso liberale. Ma ampi sorrisi e calorose strette di mano nascondono, spesso, l'infida trappola di appetiti insaziabili. Se ne accorgeranno presto i connazionali dell'improvvisato statista.

***

Il professorone attraversò il corridoio con passo deciso ed entrò nella stanza dove i due capi di stato lo attendevano ansiosi. "Fatto tutto?", domandò la donna. "Tutto", rispose l'accademico, un lampo di soddisfazione ad accendergli lo sguardo. "Un compito immane, al quale non esistevano alternative", aggiunse la terza persona presente all'incontro, un tizio basso con un gran naso, guardando di sottecchi la sua collega statista. "No, non aveva davvero alternative. Ma si è dimostrato all'altezza e non ci ha deluso?", aggiunse quest'ultima, ricambiando con un sorriso il cenno dell'uomo.

Eccitato come uno scolaretto che riceve la migliore pagella dell'istituto direttamente dalle mani del preside, il docente assaporava intensamente quel momento.

Egli sentiva che il destino lo stava finalmente risarcendo di lunghi anni di dolorosa retroguardia, spesi in infinite simulazioni di rispettoso apprezzamento per le sciocche sparate di politicanti grossolani e vanesi, così distanti dal suo modo di essere.

Per non dire di quella odiata etichetta di liberale, soffocante crisalide che imprigionava la farfalla di una vivida coscienza centralista; scomoda camicia di forza che il nostro indossava, con la rigida e stanca coerenza di un gentiluomo d'altri tempi, sin dai giorni, oramai lontani, in cui aveva ricoperto un importante ruolo nel consesso sovranazionale cui il suo Paese apparteneva.

E gli capitava, ogni tanto, di provare una certa invidia (tutta quella che la sua leggendaria sobrietà poteva consentirgli, naturalmente) nel leggere come molti rinomati pensatori sapevano sublimare in inchiostro progressista e patriottico la insopportabile puzzetta proveniente dal vasto popolo e crasso di bottegai, artigiani ed operai in frenetico affaccendarsi in strade e piazze ed officine malsane.

E per 'maneggiare' quella variegata umanità bastavano ad essi poche, lucidissime categorie etiche (migliori e peggiori, per esempio. Oppure onesti e ladri. O, ancor meglio, lettori notturni e manovali diurni).
"Quei brillanti intellettuali hanno ragione: chi è testa e chi è braccio. Chi conosce il bene comune e chi deve essere educato, in nome di esso, ad affrancarsi dalla propria, naturale, ingordigia.
E, per quanto mi riguarda, non posso essere parte di una élite ed, al contempo, fingermi liberale: è ora di smetterla con questa recita",

rimuginava tra sé e sé l'accademico, mentre, ansiosamente, attendeva l'occasione giusta per sciogliere i lacci che lo legavano a quella tanto odiata fama di libertario.

Ed il momento si presentò quando gli fu offerto di assumere su di sé il peso della redenzione nazionale, dopo anni di deriva populista ed amorale.

"Professore, è con noi?" chiese la donna. "Ehm certo, certo" rispose lui. "A che pensava?" intervenne quello piccolo con il nasone. "A quanto sia denso di significati questo momento", aggiunse il nostro. "Eh professore", il suo Paese aveva proprio bisogno di un uomo come lei.

Chi altri, se non una prestigiosa personalità avrebbe potuto condurre i suoi riottosi concittadini sulla impervia via del risanamento?" lo rassicurò l'uomo. L'accademico annuì meccanicamente. Sentiva un incontenibile moto d'orgoglio prendergli la gola e dovette trattenersi dal parlare per non tradire l'emozione.

"Accadde anche quando abbandonaste la vostra moneta per abbracciare quella comune: solo un brillante negoziatore (ed un vivace economista), quale fu, nell'occasione, il vostro rappresentante, avrebbe potuto fissare, per voi, quel favorevolissimo tasso di cambio.

Era un vero furbacchione: se non fossimo stati più che attenti ci avrebbe fregati di sicuro!". Il nostro dovette bere un bicchiere d'acqua per riaversi e non svenire: il confronto con quel suo rinomato predecessore era troppo anche per lui.

"Senta professore" intervenne la donna, mentre i tre stavano raggiungendo la sala stampa "ma è proprio sicuro che i suoi connazionali non faranno resistenza ai provvedimenti che lei ha annunciato? In fin dei conti, mi pare che siamo di fronte ad una discreta tosatura. Sa, per noi è importante avere la certezza della loro totale sottomiss... ehm... della loro convinta partecipazione. Degli artigiani e dei piccoli industriali, in particolare: quelli che hanno messo in piedi quel vivace sistema produttivo che ci fa così gola... ehm... che tutto il mondo vi invidia.

Lanciare false certezze sarebbe controproducente per il bene comune".
L'accademico la guardò con intensa riconoscenza. Percepiva vivida, nelle parole della propria interlocutrice, la sincera preoccupazione per le sorti del Paese che egli rappresentava. "Non si dia pena," disse "chi è testa e chi è braccio". La signora non fu sicura di avere capito bene, ma le bastò, per tranquillizzarsi, la carica emotiva con cui si sentì osservata dal docente. Quello piccolo con il nasone trotterellava vicino a lei: si guardarono per un istante e venne istintivo ad entrambi darsi nascostamente un cinque.

La conferenza stampa fu un successo per l'accademico. Applausi durante il suo discorso, applausi alla fine di esso. Applausi per ciascuna delle numerose domande dei tanti giornalisti presenti ed applausi ad ogni risposta che egli, con garbo, forniva.

I nostri tre protagonisti erano al settimo cielo. Era come se ciascuno di essi avesse compreso qualcosa: il docente fu certo di aver svolto con bravura i compiti a casa, come, spiritosamente, aveva ribattezzato la spremitura omicida dei propri connazionali, mentre gli altri due (l'uomo basso con il nasone e la donna) avevano capito che, da quel momento in avanti, mangiare una mozzarella, bere un bicchiere di prosecco od immergersi nell'acqua di efficientissimi centri termali sarebbe stato un gesto autenticamente patriottico.

Così, mentre il professorone, ipnotizzato da uno tsunami di flash, continuava a godersi, commosso, il suo momento, i due statisti si allontanarono con discrezione dal palco e dettero l'ordine che un manipolo di motivatissimi esecutori stava attendendo impaziente. Pochi istanti ancora ed alcuni potenti elicotteri si alzarono in volo dal vicino aeroporto, sollevando, tutti insieme, un enorme striscione di materiale plastico e dirigendosi verso la catena di montagne che, per millenni, aveva difeso il Paese dell'accademico dalle invasioni straniere. Non ci volle molto a fissare quella banda ad alcuni, altissimi tralicci che, nei giorni precedenti, le autorità avevano fatto montare su un numero di alte cime. Il fronte dello striscione era rivolto verso nord, cosicché il suo messaggio era visibile solamente da quella direzione.

La insolita operazione non mancò, ovviamente, di sollevare vivo interesse anche tra i connazionali del nostro, che, non potendo leggere direttamente la scritta esposta, si attaccarono ai telefonini e ad Internet per saperne di più. Ma ciò che vennero a sapere trasformò rapidamente quella genuina curiosità in autentico panico: lì, a migliaia di metri d'altezza, visibili fino ai lontani bordi settentrionali del continente steso ai piedi delle montagne, alcune parole, violentate dallo schiaffo della tempesta, fissavano, per sempre, il destino di quel popolo: "Sales - Ausverkauf - Soldes - Saldi".

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RE: [OT] Attualità e Cultura



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I furbetti del governo: case, doppi incarichi e... le vacanze gratis


di Stefano Zurlo - 08 gennaio 2012, 10:30

Un governo di tecnici: duri e puri. Un governo trasparente. Un governo battezzato nel fonte battesimale della società civile, dell’università, della magistratura, lontano dagli intrighi di palazzo. Ci eravamo illusi.

Anche i migliori, anche quelli nati senza peccato originale, anche loro hanno qualche macchiolina nel curriculum sfavillante, qualche privilegio, qualche opacità, come si dice con una brutta parola.

Anche loro sfruttano i voli di stato, per tornare a casa dopo un incidente sugli sci, come il ministro della difesa Giampaolo Di Paola: lussazione alla spalla e aereo pronto a Verona; anche loro avrebbero dovuto mettere in vetrina i loro guadagni, ma evidentemente fanno fatica a rintracciare i cedolini; anche loro si sono dimostrati pronti a battagliare per salvare i doppi stipendi, (o almeno uno stipendio e un quarto o uno e mezzo) argomento d’attualità per Antonio Catricalà, Corrado Clini, Filippo Patroni Griffi. Filippo Patroni Griffi è il ministro con due cognomi e due stipendi: quello di titolare della Funzione pubblica e l’altro, incredibile ma legittimo, di presidente di sezione del consiglio di stato, in aspettativa da una vita.

Sì, perché Patroni Griffi ha collezionato poltrone importanti nella pancia dello Stato ma una leggina, fatta ad hoc per i magistrati amministrativi come lui, gli permette di incassare l’indennità per il lavoro in freezer. Niente male. Patroni Griffi è un supertecnico e da supertecnico ha vinto, dopo cinque sentenze, una battaglia spettacolare. Spettacolare come la casa con vista sul Colosseo. Spettacolare come il prezzo pagato nel 2008 per acquistare quei 109 metri catastali al primo piano di uno stabile di via monte Oppio: 177.754 euro. Come ha fatto Patroni Griffi? Semplice, ha ingaggiato una feroce battaglia contro lo Stato e il ministero dell’economia, padrone del palazzo, e li ha piegati, passando attraverso i colleghi del Tar, poi per quelli del Consiglio di stato e poi per la Corte costituzionale.

Giulio Tremonti e il sottosegretario Maria Teresa Armosino si erano inventati una legge ad domum, come l’ha chiamata Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, pur di non essere costretti a svendere l’immobile situato in una zona strepitosa della capitale. Ma non c’è stato niente da fare. I magistrati amministrativi, con l’aiuto di due periti che lavoravano fianco a fianco con Angelo Balducci, quello della cricca, hanno stabilito che lo stabile di via monte Oppio era una casa popolare e non un immobile di pregio, come gridava l’Armosino. Risultato: il miracolo che ha dissanguato lo Stato. Patroni Griffi ha spuntato 1.630 euro al metro quadro, quando a pochi metri di distanza Claudio Scajola, aiutato però da una robusta iniezione di denaro degli onnipresenti amici della cricca, ha acquistato a 8.500 euro al metro quadro. Cinque volte di più. Attenzione: chi era l’avvocato che ha aiutato Patroni Griffi nella delicatissima ed estenuante partita contro lo Stato? È Carlo Malinconico, oggi strategico sottosegretario alla Presidenza del consiglio, ieri presidente della Federazione italiana editori giornali e prima ancora tante altre cose. Bene, anzi male: qualche anno fa Malinconico era incappato in una singolarissima disavventura: era andato in vacanza in un hotel a cinque stelle del’Argentario, in una suite da 1.500 euro a notte, e alla fine aveva trovato l’amara sorpresa. Qualcuno, vai a sapere chi, aveva già saldato il conticino da 9.800 euro. Un dramma. Ieri al Giornale che chiedeva lumi, Malinconico ha dato una spiegazione ancora più singolare: «Volevo pagare, ma qualcuno l’aveva già fatto e quando ho mi sono rivolto al direttore per sapere chi fosse, mi ha risposto che non poteva dirlo per rispetto della privacy». Il vero benefattore, si sa, vuole rimanere anonimo.

E Malinconico aveva bevuto l’amaro calice. Peccato che l’imprenditore Francesco de Vito Piscicelli abbia raccontato a Marco Lillo del Fatto quotidiano, lo stesso giornalista che ha ricostruito la soap opera della casa di Patroni Griffi, di essere stato lui a saldare la vacanza da cartolina. E Piscicelli è uno degli amici di Balducci e della solita cricca. Sia chiaro: Patroni Griffi e Malinconico non sono indagati, ma lo stile, le frequentazioni, le spiegazioni (almeno nel caso del sottosegretario) pongono più di un punto di domanda. E confermano un sospetto antico e perfino banale: anche il tecnico non vive sotto una campana di vetro. La cricca aveva i suoi gangli nel corpo dello Stato: magistrati contabili, grand commis, dirigenti, superdirettori.

Tecnici puri, che pensavano ai fatti loro.

Questo è il loro governo. Duri e puri, si diceva. Duri sì, ma con il contribuente. Puri mica tanto. Trasparenti nemmeno: Monti ci ave assicurato che tutti i componenti del governo avrebbero messo in rete redditi e patrimoni. Stiamo ancora aspettando. E intanto il comma 6 del decreto salva-Italia salva i super-stipendi di chi arriva dalle file della pubblica amministrazione: la vecchia indennità resta intatta, purché non superi quella dei parlamentari che è di 5.246 euro. E i contributi per la pensione sono tarati sull’ultima busta paga percepita prima di andare in aspettativa. Questo sì che è un governo tecnico.


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Incredibile, ora sei razzista se dici di essere italiano


di Cristiano Gatti - 10 gennaio 2012, 09:30

Mai più vantarsi del made in Italy. Questo tricolore che tanto sbandieriamo, soprattutto negli ultimi mesi di enfasi unitaria, sta diventando scomodo. Abbiamo vissuto anni in cui il solo pronunciare la parola patria e mettere alla finestra una bandiera diventava oggetto di caccia all’uomo: era, quella, la stagione di una certa egemonia, che eliminava come nostalgie fasciste anche le più elementari espressioni di identità nazionale.

In seguito la storia ha un po’ camminato. Prima gli slanci repubblicani e risorgimentali di Ciampi, poi tutto il fritto misto del centocinquantesimo anniversario, in qualche modo hanno ripulito la bandiera dalle sovrastrutture ideologiche, restituendole la sua missione originaria di unire, non certo di dividere. Un buon lavoro di tutti quanti. Ma potrebbe essere inutile. La luna di miele sembra già finita: improvvisamente, esibire il tricolore e proclamarsi italiani procura una nuova patente, nemmeno così nuova, nemmeno così originale, più che altro buona per tutti gli usi e per tutte le occasioni: razzismo. Né più, né meno.

È L’Eco di Bergamo a raccontare l’esperienza surreale di Antonino Verduci, macellaio in Treviglio, vetrina direttamente sul centro storico. Non è ben chiaro come e perché, ma ad un certo punto le sue vendite hanno cominciato a scendere in modo preoccupante, per via di un’inspiegabile nomèa nata attorno al negozio: è gestito da marocchini musulmani, si raccontava in giro, magari vende carne particolare che arriva da chissà dove.

Stanco di passare per quello che non è, bravo o cattivo che sia come venditore, comunque non straniero, il macellaio ha dunque deciso di avviare una personalissima campagna pubblica, «per fare chiarezza, per evitare qualsiasi equivoco»: sul vetro del suo negozio sono comparsi un tricolore e un cartello molto chiaro, «Macelleria italiana».

In modo istintivo e artigianale, la mossa del macellaio è un po’ quella che si vedono costretti ad adottare i costruttori di biciclette nostri per distinguersi dall’invasione dei prodotti asiatici: «Bicicletta tutta made in Italy», scrivono sui loro telai. Lo stesso fanno gli scarpari, i sarti, gli stessi fornitori di alimentari. Contro la marea dei prodotti più o meno taroccati, più o meno sottocosto, e comunque di provenienza esotica, l’ultima frontiera delle nostre aziende è puntare tutto sulla propria italianità, che per fortuna significa ancora qualcosa.

Questa l’intenzione del macellaio trevigliese, ma evidentemente anche l’intenzione più elementare, in questa era di perbenismo conformista e di buonismo tanto al chilo, diventa un boomerang pericoloso. Neppure il tempo di farsi la vetrina made in Italy e il macellaio si ritrova messo al muro, al muro più odioso dell’epoca moderna, quella rete dei social-network dove tanta bella gente sfoga tutta la sua furia inquisitrice, fustigatrice, moralizzatrice, senza mai esporsi e rimetterci in proprio. Il popolo di Facebook, come viene troppo rispettosamente definito, prontamente lancia la sua fatwa: «Orrore», «Macellaio razzista», «Boicottiamolo», «Ricorda la scritta negozio ariano ai tempi del nazismo», e via bombardando. Italiani e marocchini, più italiani che marocchini, tutti a lapidare il razzista del tricolore. In nome della vigilanza permanente antirazzista, il pessimo soggetto va perseguitato pubblicamente. Magari, dipingiamogli un marchio indelebile sullo stipite o sulla saracinesca: a suo tempo funzionava….

Diciamolo: forse dovremmo smetterla di dare tanto peso all’eminente popolo della rete. Sinceramente, sta diventando un termometro troppo autorevole per tutto, dalla politica al costume, dalla cultura alla giustizia. Stiamo attribuendo a questa massa informe e anonima, che lancia i suoi siluri da chissà dove, il ruolo di ago della bilancia su qualunque fenomeno e su qualunque questione. Anche in questo caso, la denuncia contro il macellaio razzista mobilita anime troppo equivoche e sfuocate, perché davvero l’Italia intera debba sentirsi così malmessa. Purtroppo, però, vale la famigerata regola: infanga infanga, qualcosa resterà. Così, alla riapertura del lunedì mattina, la macelleria tricolore si ritrova in qualche modo sotto protezione, con passaggi di volanti della Polizia a scanso di effetti collaterali

Anche questo è un segno dei tempi: dal lontano pregiudizio verso le insegne «Macelleria islamica» siamo arrivati alla «Macelleria italiana» sotto scorta. Bello: potremo tutti raccontare ai nostri nipoti che ad un certo punto, chissà come, dichiararsi italiani significò essere razzisti. Purtroppo, noi c’eravamo.


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"Repubblica" folgorata sulla via di San Mario


di Luigi Mascheroni - 16 gennaio 2012, 09:19


Sacro Monti, Santo subito. E la libera stampa progressista intonò il Te Deum laudamus.
Ieri Miguel Gotor, in un’untuosa analisi misteriologica sulla prima pagina di una Repubblica folgorata sulla via di San Mario, nella sua narrazione apologetica dell’incontro fra Monti e il Papa, cantando i miracoli del nuovo premier che «incarna lo spirito del tempo», ha intonato per quattro volte il termine più usurato del già di per sé liso governo Monti.


«Monti è apparso attenersi a un invisibile registro di sobrietà e laicità»... «la sobrietà si esprime nella gestualità che assume la forma di una confidenziale, ma rispettosa riverenza»... «la laicità e la sobrietà promanano già dal primo incontro col Papa, davanti alla sua biblioteca privata» ... «una maggiore sobrietà e senso dell’opportunità traspaiono anche dal rituale scambio dei doni». Se l’autore avesse usato un’altra volta la parola sobrietà, in nome del noto principio pedagogico secondo il quale a ogni predica moralistica corrisponde una reazione di forza uguale e contraria, finita la lettura avremmo organizzato immediatamente un festone nel più depravato night club della città. Con dieci olgettine.

Ora, non è la ripetizione di un termine di per sé sobrio come «sobrietà» a nauseare. Ma piuttosto la cortina d’incenso sparsa ad abundantiam da Repubblica (e anche da altra Stampa in verità) attorno alla ieratica figura dell’Uomo della Provvidenza. Che, incredibilmente, alla fine dell’articolo si capisce non essere il Papa. Ma Monti. Loden in excelsis Deo.

Da vent’anni si stigmatizza la tendenza a compiacere il padrone da parte dei media di Berlusconi. Ma, al confronto della prosa ossequente riservata da Miguel Gotor al Professore, anche il pezzo più servile verso il Cavaliere mai apparso sulle colonne del Giornale apparirebbe come una critica impietosa. «Sobrietà e laicità... valori che certo appartengono allo stile dell’uomo», «la forma è sostanza e nulla rivela di più che lo scarto esistente tra una plurisecolare cerimonialità e l’inclinazione dell’individuo, il suo personale contributo al teatro della vita»...

«È l’incontro tra due professori, il teologo tedesco e il più tedesco dei nostri uomini di governo»... «un franco sorriso, un reciproco sguardo dritto negli occhi»... «Monti tiene la schiena dritta (sic!) perché sa di essere, in quel momento, non un privato cittadino o un fedele cattolico in visita al Papa, ma il capo del governo italiano»... «Non ha nulla da farsi perdonare o da nascondere e dunque non necessita di esibizioni barocche, né si profonde in servili (gulp!) pronunciamenti come Berlusconi»...

Repubblica che loda la laicità di Monti. È la santificazione radical chic di un vecchio sagrestano democristiano. L’ordinazione progressista di un frate questuante. Misteri della fede.

Tutto concorre alla canonizzazione in vita del Sacro Monti di Varese.
Tutto attorno a lui è esente da colpe e paradisiaco. Dal loden all’Eden.

«Monti - recita la litania del cronista evangelico Miguel Gotor - è solito muovere accademicamente le mani per accompagnare il fluire dei suoi concetti come se volesse rafforzarli». Ma attenzione, ecco la Rivelazione. «Ora però, davanti al Papa, le mani sono immobili sul grembo - come la Vergine, ndr - accenna un movimento ma le riallunga subito sui braccioli per poi riportarle intrecciate davanti a sé: questa volta non deve spiegare, vuole soprattutto ascoltare».

Non come quel satiro di Berlusconi «che, in analoga occasione, nel 2008, si esibiva in un baciamano degno di un vassallo: le mani giunte a ghermire (sob!) quelle del pontefice, il busto proteso in avanti, il capo esageratamente chino, le labbra irritualmente poggiate sulle mani di Benedetto XVI»...

Vade, retro.
Persino la signora Monti viene trasfigurata, secondo il medesimo misurato registro: «Elsa, a differenza di Veronica Lario, e come già la cattolica Flavia Prodi, la moglie del premier non porta il velo, bensì ha il capo scoperto e indossa un rigorosissimo tailleur nero con gonna sotto il ginocchio».
E in dono il Professore portò il suo Libro.

Ite, missa est.

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I pigmei, il genero-stregone e la suocera

di Marcello Veneziani 15 gennaio 2012, 11:21

Raccontava l’antropologo Maurice-Godelier che quando scoppiava un conflitto tra i pigmei ’mbuti della Nuova Guinea, uno stregone-pagliaccio del villaggio attirava su di sé le ostilità di tutti, inscenando una pantomima e spegnendo così il conflitto nella tribù.

Ho l’impressione che la principale funzione dello stregone Monti e dei suoi tecnici sia proprio questa: attirare su di loro le ostilità di tutti i pigmei ’mbuti della politica in modo da sedare il conflitto.

Non sta risolvendo i problemi reali dell’economia, anzi il Paese sprofonda; in compenso il conflitto politico si è calmato, spostandosi su di lui.

Salvo il colpo di coda del caso Cosentino, la politica,anzi l’Italia,è entrata in uno stato di torpore perché il Nemico è sparito o si è diffuso tra più soggetti, si è spalmato, è uscito dalla corrida politica, si è allargato a banche, Equitalia, categorie, governi stranieri, entità imprecise.

Non è solo l’antiberlusconismo ad aver perso il nemico Berlusconi: anche la sinistra non è oggi il nemico assoluto per il centrodestra. E anche l’alleato di ieri diventa estraneo se non ostile.

Chi perde un nemico perde un tesoro: la politica, ma anche l’antipolitica, e pure i giornali, i giudici e perfino le chiacchiere al bar, perdono smalto e interesse senza il nemico.

Non state in ansia, i tartari arriveranno, per tutti. Nell’attesa c’è un signore in divisa tedesca, che attira gli umori ostili.
Ci resta il dubbio se la sua uniforme sia di generale o di genero; in livrea, al servizio della suocera Angela.
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Altro che professori fanno solo figuracce

di Vittorio Feltri - 22 gennaio 2012, 16:11

Monti ha partorito il topolino, talmente piccolo e impaurito che neanche il mio gatto lo ha preso sul serio: ha sbadigliato. Promesse, annunci, perfino minacce. E tutti aspettavamo con ansia di leggere il decreto che regola i mercati.

Da settimane negli ambienti del Palazzo e dintorni, gli addetti ai lavori politici sussurravano intimoriti: oddio, arrivano le liberalizzazioni studiate dal formidabile governo dei tecnici. Ed ecco il giorno della rivelazione. Tremori, batticuore. Poi una risata. Di compatimento. Bocconiani o peracottari? Giudicate voi.

Sta di fatto che non si tratta di liberalizzazioni, ma di ampliamento delle piante organiche. Due cose assai diverse. Liberalizzare significa: meno Stato e più iniziativa privata; più libertà, meno burocrazia. Col decreto sbandierato dal governo succederà il contrario. Il Pil non aumenterà per questo insulso, anzi, dannoso provvedimento. Prendiamo le farmacie. Continueranno a essere ciò che sono sempre state: le sole autorizzate a vendere farmaci, come è ovvio che sia. Però crescerà il numero dei punti vendita: da 18mila a 23mila, cioè più 5mila. Che saranno messe a concorso e saranno vinte da farmacisti anziani (l’anzianità fa punteggio) o, più probabilmente, raccomandati. Si sa come funzionano i concorsi pubblici. I vincitori acquisiranno la proprietà della farmacia e potranno lasciarla in eredità ai figli laureati in materia. Per i professori il diritto dinastico relativo alla successione si chiama liberalizzazione. Ma che vadano a scopare il mare. Tutta l’operazione consiste in questo: la torta dei medicinali vale cento, che oggi viene spartita fra 18mila farmacie. Domani la stessa torta verrà divisa fra 23mila farmacie. Miseria per tutte. Le parafarmacie se la prenderanno in saccoccia. E il cittadino non guadagnerà un centesimo. Le farmacie in zone disagiate ( di montagna, per intenderci) vinte per concorso seguiteranno a non esserci perché tutti i farmacisti le rifiuteranno. Come mai? Non guadagnano. Peggio: non sopravvivono.

Il caos è garantito: a Milano apriranno 11 nuovi punti vendita, a Roma 209. Perché?

Milano è già organizzata, la capitale mica tanto. Non perché i romani siano stupidi, quanto, piuttosto, perché la città si è dilatata disordinatamente negli ultimi quarant’anni.

Qualcosa di liberale tuttavia è stato introdotto: l’orario di apertura. Se una farmacia deciderà di rimanere in servizio 24 ore, potrà farlo legalmente. E senza chiedere permessi. Capirai che privilegio. Ci voleva Monti per dire che è assurdo imporre un orario, e che è meglio consentire ai gestori di agire come credono. Una curiosità. Il decreto sulle farmacie, visto come è stato concepito, dimostra che Pier Luigi Bersani, segretario del Pd ed ex ministro (delle lenzuolate) non ne aveva azzeccata una. Il suo intento era favorire le Coop e le parafarmacie. Trombatura. E ciò è motivo di allegria.

Veniamo ai taxi. Anche in questo caso si tratta semplicemente di un ampliamento nocivo della pianta organica: più licenze. Con quale criterio di assegnazione? Sentiti i sindaci, sarà una Authority a dirigere il «traffico». Se c’era qualcosa di cui non si sentiva la mancanza erano le Authority. Viceversa se ne aggiunge un’altra alla pletora esistente: quella dei trasporti. Che metterà il becco nei taxi di Agrigento e in quelli di Cuneo, indifferentemente. Con quale competenza, e con quale conoscenza dei problemi, non è dato sapere, ma si può intuire: zero. La stessa Authority definirà le regole per le nuove concessioni autostradali eccetera. Altro ente, altro nome, altra burocrazia, altri stipendi, altre auto blu. E la chiamano liberalizzazione.

A proposito di appesantimento burocratico. Sarà istituito un tribunale per le imprese incaricato di dirimere il contenzioso e di emettere sentenze. Buona idea? Certamente è giusto accelerare i processi in cui siano implicate le aziende a qualsiasi titolo: priorità a chi lavora e ha bisogno di tempi stretti, altrimenti si paralizzano gli affari e si frena la crescita economica. Ma che senso ha un tribunale aggiuntivo? Non sarebbe stato opportuno chiudere i Tar (inventati dopo l’istituzione delle Regioni, quindi enti inutili quanto le Regioni stesse) e destinare il personale al disbrigo delle pratiche processuali in cui siano coinvolte le imprese? Nossignori. I bocconiani preferiscono creare un altro baraccone. «E io pago».

Capitolo professionisti. Aboliti gli ordini secondo direttive europee? Neanche per sogno. Quelli rimangono, altrimenti le corporazioni fucilano i ministri. I quali si sono limitati a eliminare il tariffario e a rendere obbligatori i preventivi della parcella, cosicché i clienti saranno consapevoli di quanto dovranno sborsare per una determinata prestazione.

Un successone. Notai. Vale il principio adottato per tassisti e farmacie: ampliamento della pianta organica. Avremo cinquecento notai di fresca nomina. Esultanza delle folle. E il Pil va su? No. Il Pil se ne frega.

Non per tediarvi, cari lettori, ma due parole sulle banche e sulle assicurazioni vanno scritte. Alle prime Monti ha fatto il solletico: un tettuccio alle commissioni su bancomat e prelievi. Roba minima, ininfluente. Le assicurazioni applicheranno uno sconto (Rc auto) a chi accetterà di mettere in macchina la scatola nera, un deterrente contro gli imbrogli, gli incidenti fasulli (si segnala che a Napoli si stanno già attrezzando per produrre scatole nere ad personam ). Infine i benzinai. Novità sconvolgente. I distributori avranno facoltà di acquistare i carburanti da qualsiasi compagnia.Eliminata l’esclusiva. Contenti, cari lettori? Contenti o no, queste sono le liberalizzazioni del menga, chi ce le ha se le tenga.Salveranno l’Italia? Di sicuro non salveranno il governo dall’ennesima figuraccia.


P. S.: ci eravamo dimenticati degli edicolanti. Monti li considera dei paria, e li ha condannati a morire di fame. Chiunque potrà vendere carta stampata, anche le latterie, se ce ne fossero ancora. I giornalai perderanno il 50 per cento degli incassi e non potranno compensare il buco smerciando altri generi merceologici. Perché? Così muoiono prima e soffrono di meno. A nome della categoria ringraziamo i professori di onoranze funebri.


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Una telefonata che fotografa il Paese
Capitan Schettino e il vizietto di fare i furbi che c'è in ognuno di noi


di John Galt 23 Gennaio 2012

In tragicomica miscela di puerile mendacia e banale pusillanimità, il comandante balbetta telefonicamente la propria difesa. Ma è arduo giudicare. Perché, in fin dei conti, il mito che egli (così a meraviglia) interpreta è quello dell'italico darwiniano: autocelebrato aspetto del carattere nazionale, da sempre oggetto di acclamata filmografia. Sopravvivere a tutto, in continua compromissione (con sé stessi, innanzitutto). E mentire comunque. Spudoratamente. Non è forse così che amiamo, da sempre, raccontarci e farci raccontare? I più furbi di tutti.

Non si vogliono, qui, legare, con la fibra di una sciocca retorica, tutte le erbe in un unico fascio. Semplicemente, si sostiene che, col tempo, il generalizzato e comodo indulgere in strizzatine d'occhio abbia, per così dire, smagliato il tessuto del Paese, rendendo culturalmente accettabile l'imbocco di sentieri trasversali e scorciatoie.

Del resto, di un collettiva ed accomodante pacca sulla spalla (sfacciato inganno, scoperto e reciproco) ci paiono figli i 1.900 miliardi del nostro debito pubblico, solo a parole da ognuno condannato, ma, in segreto, per lo più benedetto ed inseguito.

Per non dire della tenace e diffusa prassi repubblicana dell'accomiatarsi, tra controparti economiche, in fiscale complicità: ricca sorgente di linfa per l'aperta menzogna di dichiarazioni impossibili. Ci vengono anche in mente quei campioni di virtù che fingono di ignorare, essi pure in poco virile balbettio, quale portafoglio abbia sopportato l'acquisto, a loro favore, di centralissimi tetti romani o di esclusive vacanze toscane.

Oppure, ancora, pensiamo a quegli sfortunati che hanno messo radici nell'unico fazzoletto sismico dell'intera urbe, a due passi da vestigia millenarie che di infiniti accidenti portano i segni, tranne che del cozzare di zolle capricciose. Anche nel loro caso, puntuali, riaffiorano i simpatici lineamenti dell'italico affabulatore: non in teleselezione da una scialuppa, però, bensì comodamente sprofondato in accogliente poltrona ed importante.

Diversa la contingenza, medesima l'arte sfoderata: quella, sublime, del confondere le acque. Da una parte, la volgare fuga, sfrontatamente spacciata per rivoluzionario stile di comando (prospettico, per dir così, ché, per meglio capire il quadro, bisogna pure porsi a distanza), dall'altra, l'accorata richiesta di essere obliati, pena l'impossibilità del riposo notturno ed il conseguente inaridirsi del personale contributo al bene dell'alto ufficio ricoperto. E non è un caso che l'irresistibile sketch via etere abbia incontrato apprezzamento e diffusione internazionali. Perché la mente è pigra e qualsiasi conferma le è benvenuta: italiani codardi e bugiardi. E, ovviamente, berlusconiani.

Epperò, con buona pace dell'ondata di sdegno e dei suoi ispirati e triti cantori (italici e non), ben più che i capitani che fingono e fuggono, incalzati dal ritmico scandire di facili ordini (e puntualmente disattesi), riteniamo meritevoli del marchio di infamia gli ammiragli che, delle navi in periglio, si ingegnano di trivellare il fondo (così, per permanere in metafora marinara).

Ci riferiamo ai vili rappresentanti della fellonia politica nazionale che, per mesi e con le più sordide motivazioni e bugiarde (e financo ricorrendo alla delegittimazione internazionale), si sono consacrati alla distruzione della credibilità della plancia di comando patria (nel momento in cui onde minacciose iniziavano ad infrangersi contro le piatte spiagge ed indifese del nostro sistema finanziario).

Ed insomma, chi si è macchiato di colpe inaudite (e nel dramma del Giglio ci sono di mezzo vite innocenti) deve senz'altro subire giudizio e pena. Ma evitiamo di fare di questa storia il detergente per ripulirci (psicologicamente) da quanto in noi non accettiamo. L'archetipo squallidotto che l'?chab sorrentino rappresenta è fratello di numerose tra le più ispirate maschere regionali e ciò testimonia che esso è istanza estrema (e, per questo, comica) di forme comunissime.


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Sotto la banca la patria campa


di Marcello Veneziani - 25 gennaio 2012, 08:48


Mi sto asciugando le lacrime dopo aver seguito, in piedi e con la mano sul cuore, il commovente appello patriottico di uno spot pubblicitario, poi di un altro, poi di un altro ancora. Non so se ci avete fatto caso, ma da qualche tempo vanno in onda gli spot etico-patriottici, sentimental-retorici, piccoli racconti edificanti sui nostri affetti più cari ripassati in salsa nazionalpopolare; testi di De Amicis-Napolitano- Cutugno. Non solo per vendere l’olio, il caffè o che so, pure i vili legumi, si scomodano Dio, patria e famiglia, la Tradizione e il Libro Cuore.

Ma ora grandi e piccole banche e perfino imprese automobilistiche, di quelle che minacciano di andarsene dall’Italia, cercano di suscitare il nostro consumismo patriottico o i nostri eroici languori finanziario-autarchici per piazzare le loro auto o le loro azioni. Persino quel che fino a ieri sarebbe stato bocciato come la più stucchevole retorica patriottarda, far sventolare il tricolore, viene usato per commuoverci e lanciare i nostri soldi- come la stampella di Enrico Toti - oltre l’ostacolo, che poi sarebbe il loro sportello. Altri condensano in pochi secondi un trattato di antropologia affettiva per dire che siamo italiani de core e dobbiamo esserlo pure de sordi .

La patria stavolta non chiede di versare sangue ma altri liquidi, e non esige di marciare ma di andarci in macchina, purché italiana. Io prima mi commuovo, poi mi rallegro, infine mi chiedo: ma niente niente questi patrioti ai saldi di fine Italia, ci stanno prendendo per il culto?


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