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[OT] Attualità e Cultura
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giorgio_luppi
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RE: [OT] Attualità e Cultura

Heila' ragazzi, come va li' in riva al fiume?
Vi state annoiando?  Ho l'impressione che, da quando non avete piu' nessuno da insultare, siate sopraffatti da una noia mortale. Solo il mitico Cher che continua a postare articoli di giornale e nulla piu'.
Se volete dico qualcosa al Bellotti cosi' movimentiamo un po' le lunghe serate invernali.
Un augurio di Buon Natale e felice Nuovo Anno Nucleare a tutti.
Giorgio.

24-12-2011 16:22
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Cher
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RE:  [OT] Attualità e Cultura

giorgio_luppi ha Scritto:

Solo il mitico Cher che continua a postare articoli di giornale e nulla piu'.....


Grazie per il mitico......intendi Satiro
http://it.wikipedia.org/wiki/Satiro



Oppure intendevi Afrodite.....
http://it.wikipedia.org/wiki/Afrodite




Quello che mi lascia basito è il tuo Nulla Più o che tu vivi sulla luna o che tu vivi in mondo tutto tuo ( si prega di leggere con una inflenza dialettale Toscana), per la cronaca il Verdame&C ha ridotto alla fame il continente più evoluto e civilizzato del globo! Certo che solo chi possiede un cervello da primate non comprende questa INvoluzione di impronta storica verso il declino della civiltà!

Per quel che vale ( mi ripeto) Buon Natale anche a Te Lupi!

-------------------
Le immagini Epiche sono tratte dal calendario 2012 dell'industria nucleare Russa. ( solo per rimanere in tema, visto che ogni tanto qualche ipersensibile ricorda che questo è un forum di natura e tematica nucleare e tutto che non è in linea con la sua limitata visione sul nucleare gli stimola l' unico Ippocampo funzionante e poi vien in luogo per esternare il suo disappunto sulla "deriva" tematica)

Grazie e scusate la retorica volutamente polemica.


Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
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Messaggio modificato il: 24-12-2011 alle 16:49 da Cher.

24-12-2011 16:38
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Cher
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RE: [OT] Attualità e Cultura



http://www.loccidentale.it/node/112330

Previsioni pre-Natalizie di impaludamento
Il cammino del governo Monti



di John Galt 23 Dicembre 2011

Quando, qualche settimana fa, le truppe presidenziali, per mesi segretamente ammassate lungo i confini della legalità democratica, sono improvvisamente dilagate attraverso il devastato campo di battaglia della politica nostrana, in molti tra i vecchi contendenti sono corsi loro incontro, affrettandosi a consegnare, in deferente omaggio, le chiavi delle rispettive ridotte.

Così, a parte le fiumane di alcool in gioiosa fuoriuscita da migliaia di bottiglie agitate al passaggio del corteo berlusconiano diretto al Colle ed il fastidioso scampanio mediatico dei TG e dei quotidiani organici (imbarazzanti le lisciate del giornalone milanese), il passaggio al nuovo regime è avvenuto in modo quasi silente: i dignitari dell’una e dell’altra fazione hanno rapidamente serrato le mascelle e, per alcuni giorni, la Nazione ha potuto addirittura obliare il doloroso fenomeno della ciarlataneria professionale.

Ma è difficile che animi surriscaldati da decenni di petulanza demagogica possano placarsi di fronte alla figura smilza di un anziano professore di sobria militanza meneghina e dalla storia distante.

Le funzioni simboliche della psiche umana, che, in questo della politica come in altri campi, precedono qualsiasi tentativo di approssimazione razionale al mondo, pretendono altro per concedere, nel bene o nel male, le proprie grazie. Era, dunque, solo questione di tempo prima che, spinti dalle rispettive soldataglie gonfie di adrenalina, i vari signorotti cominciassero ad organizzare la resistenza al nuovo regnante. Prima circospetti, timidamente saggiando le reazioni dei loro pari, poi con sicurezza crescente.

E neppure l’ennesima esternazione quirinalizia, sul buon nome del prescelto e sull’apprezzamento internazionale nei riguardi di sacrifici tanto invisi, pare ormai fuoco sufficiente a dissuadere l’istintivo coordinarsi di lupi minacciosi intorno alle truppe raccolte sotto stendardi accademici.
E, certo, non aiutano isolati colpi di bombarda sparati dall’accampamento dei nuovi venuti, a saggiare le resistenze su questo o quel provvedimento. Ché la reazione ad essi cancella vecchi rancori e rafforza nuove alleanze tra le forze espropriate.

Non occorre essere strateghi per capire che l’effetto sorpresa può garantire enormi vantaggi, ma effimeri e facilissimi da non cogliere. Ecco, appunto. Si crede qui che l’attuale compagine governativa abbia perso, come si dice, l’attimo, finendo dritta dritta, in palese eccesso di autostima, nella palude di provvedimenti economici controproducenti per sé stessa, ma, soprattutto, per il Paese.

E ben disse quello, accreditando il parente prossimo, pur ignorante della scienza triste, di pari capacità montiane nell’apparecchio di una manovra tutta tasse. Ben più nel segno avrebbe colto un piano ragionato di vendite del patrimonio statale, accompagnato da robusti tagli ad una spesa pubblica in chiara evidenza di sprechi (cominciando, magari, dalla sanità, nelle regioni in cui quest’ultima è oramai solo lauto banchetto) e da generalizzate riduzioni del carico fiscale.

Certo, ghigliottinare le uscite richiede tratti caratteriali davvero rocciosi, al limite dell’autismo: tremontiani, si sarebbe tentati di dire (in ogni caso, scarsamente disponibili sul mercato della dirigenza politica nazionale). Oltre, naturalmente, ad una prossimità pluriennale (tremontiana, si sarebbe nuovamente tentati di suggerire) alla materia, che vite passate a teorizzare o ad amministrare non possono certo improvvisare, nonostante la farcitura di qualche settimana di pratica governativa.

Improvvisazione, ecco. Pare questo il segno della nuova avventura.

E dunque, là dove si propagandavano capacità ed esperienza, si rivela all’opera la sicumera algebrica di grigi burocrati in cronica mancanza di genio. Dove si inneggiava alla certezza della riuscita si intravede l’azzardo di un maldestro affidarsi alla sorte.

E dove, infine, si esaltava la dinamica organizzazione del blitzkrieg si assiste al lento scivolare nell’immobilismo.



In fin dei conti, cosa è cambiato rispetto al periodo arcoriano? (oltre ad un inutile senatore a vita in più, intendiamo ed anche escludendo l’ovvio di uno spread che minaccia immutato).

Ci pare, infatti, che ciò che era opposizione continui ad inseguire, irresponsabile, il vento delle piazze od a fare inutile sfoggio di misurata pacatezza, mentre ciò che era maggioranza moderata persista, inesorabile, a perdere pezzi.

Di novità, si registra solamente il frenetico neo compulsare le sorgenti del fiume sacro da parte dei padani e le difficoltà in cui il sindacalismo della ragione si dibatte, a causa di maldestri balzi in avanti in fatto di licenziamenti.

Qui si crede che, più saggio dello stizzoso protagonismo del fare a piacimento (rischiosissimo piatto su cui giocare il prestigio della prima carica del Paese), sarebbe stato l’appartato e silente ascolto di ciò che la Nazione aveva da dire, accompagnato, a urne (e porte) chiuse, dalla presidenziale e costituzionalissima pretesa, rivolta ai contendenti, dell’assoluto rispetto (in discontinuità forte rispetto al recente passato) dei futuri verdetti elettorali.

Perché nel tonante sussurrio e mirato si ricorda (da oramai lontani studi costituzionali) risiedere la ragion d’essere del primo degli italiani e non nel suo quotidiano e generico esternare (per non dire della imposizione di soluzioni di governo non elettive).

Quello stesso sussurrio che è curiosamente mancato proprio quando la canea più assordante impediva il corretto funzionare di regole democratiche. Come andranno a finire le cose? Ora che il “colpo di falce” è andato a vuoto e che mestieranti e capipopolo hanno definitivamente preso le misure ai professoroni, è parecchio difficile immaginare, per questi ultimi, qualcosa di molto differente da un mediocre navigare a vista.

Ed, anzi, è probabile, per la compagine esecutiva, un lento consumarsi in continue e dolorose contorsioni, tra veti e ricatti incrociati. Qualcosa di non differente, insomma, da una lenta agonia verso nuove elezioni.

Con buona pace dell'urgenza spread, dei nostri poveri soldi e del nuovo re d’Italia.





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26-12-2011 18:11
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RE: [OT] Attualità e Cultura



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Una trascrizione falsa? No, "miraggio acustico"


di Gian Marco Chiocci - 27 dicembre 2011, 09:06


«Miraggi» e «miracoli acustici» archiviano la vergogna delle intercettazioni taroccate. È la storia del discusso proscioglimento davanti al gup di Lecco di alcuni ispettori della Dia di Messina indagati per aver trascritto in modo fantasioso, nel luglio del 2001, alcune intercettazioni in un bar della città siciliana dal contenuto in realtà assolutamente «non udibile».
Ingrandisci immaginePresunte chiacchierate attribuite a tre persone (arrestate insieme ad altre tredici,

tutte scagionate prima del processo) dove si sarebbe fatto cenno a fatti gravissimi: traffico d’armi, rapporti con cosche mafiose, smercio di grosse quantità di stupefacenti, corruzioni di giudici, addirittura un omicidio. Bene (si fa per dire).

Nel nastro originale alla base dell’inchiesta che manderà in galera l’ex sottosegretario Santino Pagano, il giudice Giuseppe Savoca, imprenditori dello Stretto e quant’altro, s’è poi scoperto che nulla di quanto era stato trascritto dalla Dia figurava nella bobina. Niente si sentiva. Le consulenze tecniche, di parte e quelle super partes, l’hanno accertato.

Ed hanno anche evidenziato come risultassero espressioni attribuite a soggetti maschili quando le voci erano nitidamente femminili, come non c’era alcun riferimento a cognomi e luoghi nonostante nel rapporto della Dia emergessero nomi propri ripetuti ben 161 volte con l’indicazioni di 96 posti. E ancora. Come frasi prive di qualsiasi rilievo penale, perfettamente riscontrabili azionando «play» sul registratore, erano state letteralmente sostituite con altre di significato gravemente indiziario a carico degli imputati.

Nel motivare la sua decisione assolutoria il gup ha premesso che forse le intercettazioni non dovevano essere trascritte causa la pessima qualità dell’audio, ma che data l’alta soggettività delle interpretazioni, proprio a causa della cattiva qualità del sonoro, non si poteva escludere in astratto che quelle frasi fossero state effettivamente presenti nella registrazione. Traduzione: anche se tutte quelle parole non si sentono, e se nessuno dei tanti periti che hanno ascoltato i nastri le hanno sentite, non vuol dire che esse non esistano visto che i poliziotti le hanno sentite e trascritte. Dunque la non udibilità del contenuto del nastro, secondo il gup, determina l’impossibilità di stabilire con certezza l’esistenza «del falso».

Con un durissimo ricorso per Cassazione, i difensori delle parti civili contestano questo modo di ragionare. Tanto per cominciare rimarcano come il gup avrebbe potuto facilmente accertare il contenuto del nastro facendo ascoltare in aula i brani contestati «e invece inspiegabilmente rifiutava di procedere all’acquisizione di tale prova ritenendola superflua e non necessaria, salvo poi, in stridente contrasto con tale situazione, ritenerla (implicitamente) decisiva avendo posto a base della sua pronuncia liberatoria proprio il mancato accertamento dell’effettivo contenuto della registrazione».

Di fronte a tante e ripetute anomalie il perito nominato dalla procura di Lecco, il direttore tecnico della polizia scientifica Delfino, ha ammesso di non essere in grado di dare una spiegazione su buona parte dell’operato dei colleghi. Su altra parte del materiale trascritto, l’esperto si rifà all’ipotesi di un «miraggio acustico o uditivo», in qualche modo avallata dal gup.

Un particolare fenomeno che colpisce chi, avendo conoscenza della indagini, e dei nomi e dei posti oggetto di accertamenti di polizia, possa credere di sentire nelle intercettazioni nomi e fatti che nelle intercettazioni poi non si ritrovano. Capita di rado, ma capita.

A un trascrittore, non a più poliziotti in cuffia. Al massimo per una frase, non a decine. Scrive l’avvocato Alberto Gullino alla Suprema Corte: così rischiamo di «trovarci di fronte a un miraggio uditivo collettivo e reiterato che colpisce più persone in momenti differenti», che trae in inganno i tre della Dia che avrebbero creduto di sentire tutti esattamente le stesse cose in occasioni diverse, distanti nel tempo, in intercettazioni inascoltabili a sentire gli esperti.

Lo stesso super consulente Delfino alla fine l’ha dovuto confessare: «Questa è la prima volta che mi capita che su 30 minuti ci siano tutte queste discrepanze». Tornando al sonoro, chiosa il legale della parti civili, il gup sembra essersi convinto di trovarsi al cospetto più che di un miraggio, di un «miracolo acustico». Quando la giustizia passa per Lourdes.

....................................................



Qualche dubbio sulla repubblica delle banane?


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RE: [OT] Attualità e Cultura



Il Napolitano che cambiò la Costituzione


di Marcello Veneziani - 29 dicembre 2011, 08:57


L’anno che finisce è stato il Napolitanno, ovvero l'anno di Giorgio Napolitano. L’unico politico di lunghissimo corso non solo risparmiato dal discredito antipolitico ma che ha addirittura guadagnato simpatie, anche tra i moderati.


L’unico fatturato politico che lascia il 150˚ dell’Unità d’Italia è la glorificazione di Re Giorgio. Ha pilotato la crisi da protagonista assoluto: a lui si deve l’eutanasia del governo Berlusconi e l’inseminazione artificiale per far nascere Monti con la benedizione delle Banche e degli Europadroni.

Tutto questo mentre vige ancora la repubblica parlamentare, la sovranità nazionale e popolare. È stato bravo, va detto. Però il massimo garante e custode della Costituzione non ha mai contestato la legge elettorale vigente che sospende il diritto costituzionale degli elettori di designare i propri rappresentanti. E ha sostituito un governo liberamente sceltodagli elettori con un governo extraparlamentare di tecnici (poi votato dal Parlamento).

Non sarà una sospensione formale della democrazia, però Napolitano ha seguito il decisionismo di Carl Schmitt, non proprio di cultura democratica: sovrano è colui che decide in stato d’eccezione. E lui, nel nome dell'emergenza, ha pilotato lo strappo alla sovranità popolare. Ma a questo punto non sarebbe meglio una repubblica presidenziale piuttosto che questo presidenzialismo a intermittenza, ipocrita e strisciante? Meglio i capi dello Stato eletti dal popolo che i golpetti bianchi e i monarchi mascherati.


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Mantova, le toghe: "Una bimba non può chiamarsi Andrea"



di Luisa De Montis - 29 dicembre 2011, 10:50

I giudici hanno sentenziato: a cinque anni deve cambiare nome. Succede a Mantova, dove la piccola Andrea sarà costretta a chiamarsi Andrée.

A ordinarlo è il Tribunale civile, che ha imposto ai genitori di cambiare nome alla propria figlia, nata a Parigi ma di nazionalità italiana, da Andrea in Andrée: "Andrea è un nome prettamente maschile e in Italia è addirittura il terzo per diffusione. Inoltre - aggiunge il Tribunale - deriva dal greco antico e indica virilità". A tutto ciò si aggiunge il fatto che la legge italiana impedisce di utilizzare appellativi che non identifichino in maniera corretta la sessualità.

Il caso è scoppiato quando i genitori hanno chiesto la trascrizione dell’atto di nascita della bimba nel loro comune d'origine, Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova. L’ufficiale di stato civile ha consentito all'iscrizione della bambina con il nome di Andrea, ma ha segnalato la cosa alla procura della Repubblica di Mantova. È poi partito il procedimento civile in cui il procuratore di Mantova, Antonino Condorelli, ha chiesto di premettere al nome Andrea quello di Giulia.

Il giudice invece ha preferito optare per la versione francese del nome Andrea: Andrée, femminile di Andrè, ordinando all’ufficiale di Stato civile di Castiglione di rettificare l’atto di nascita della piccola.


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E' STATA LA CULONA


di Alessandro Sallusti - 31 dicembre 2011, 08:55

Quando si dice che non tutte le ciambelle riescono col buco. E dire che quella confezionata da Napolitano per fare fuori Berlusconi già era poco credibile a caldo.

Troppe mani avevano partecipato all’impasto e alla lievitazione, dentro e fuori l’allora maggioranza. Poco credibile quella necessità di urgenza assoluta finita nel dimenticatoio un minuto dopo il giuramento del governo Monti. Troppo oscuro il percorso che aveva portato alla scelta di quei ministri così tecnici ma così ammanicati con poteri altri dalla politica. Ieri si è scoperto che la farina non veniva dal nostro sacco, ma da quello della Merkel. Lo svela il quotidiano Wall Street Journal , che racconta di una telefonata tenuta segreta fatta il 20 ottobre a Napolitano nella quale la cancelliera tedesca chiede con forza l’allontanamento di Berlusconi e in cambio promette aiuto e comprensione per l’Italia.Non sappiamo che assicurazioni abbia avuto da Napolitano, certo è che solo quattro giorni dopo, il 24 ottobre, la cancelliera si sentiva certa che Berlusconi era finito, al punto da ridere di lui durante la conferenza stampa del G8 insieme al sodale Sarkozy.

Passano due settimane e la Merkel è accontentata. Napolitano nomina Monti senatore a vita. È lo stesso Monti che ha raccontato come è andata: «Ero a Berlino e ho ricevuto una telefonata del Quirinale che...». A Berlino? Ma guarda la coincidenza. Ovviamente ci sarà una spiegazione anche a questo, speriamo che non sia come quella data ieri da Napolitano sulla telefonata: sì, c’è stata, ma abbiamo parlato d’altro. Già, del tempo o forse della comune fascinazione giovanile per il comunismo: lei in carriera nella Germania dell’Est, lui a stendere comunicati a favore dell’invasione russa dell'Ungheria e contro il Nobel al dissidente Sacharov.

Insomma, in ottobre il Paese non era in pericolo, non più di quanto lo sia adesso. Altri interessi hanno portato alla sceneggiata istituzionale. Quelli del comunista Napolitano sono ovvi e noti. Quelli della Merkel meno. Non credo che la signora si sia vendicata per aver appreso da una intercettazione illegale che Berlusconi la chiamava in privato, e da buon cronista, «la culona». No, credo che più che la signora abbia circuito, insieme a mister Obama e a Sarkozy, nonno Napolitano per piegare l’Italia al loro volere su questioni altre, tipo Libia, asse con Putin, oleodotti e altri mega affari.

Ma su questo ne sapremo di più alla prossima telefonata con gli ordini per Quirinale e Palazzo Chigi.


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Se tutto va bene Monti ci ha rovinati


di Vittorio Feltri - 31 dicembre 2011, 17:41

La più bella notizia dell’anno è che siamo ancora vivi. La più brutta è che siamo mezzi morti. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a uno spettacolo inimmaginabile fino all’inizio dello scorso autunno.

Non ci riferiamo alle dimissioni (che erano nell’aria) di Silvio Berlusconi, cui si deve comunque la svolta politica,ma all’avvento di Mario Monti. L’arrivo di questi a Palazzo Chigi non ha favorito il cambiamento che molti speravano, e cioè il decollo dell’Italia,la ripresa economica e l’abbattimento dello spread,ma ha introdotto nel Palazzo motivi di divertimento assoluto. In altri termini, tutte le grane che c’erano all’epoca del governo di centrodestra sono rimaste, anzi, si sono aggravate le tasse sono cresciute, la gente va in pensione più tardi, l'Iva è aumentata, la benzina e i tabacchi e l’alcol sono rincarati - però ci viene da ridere. L’uscita del Cavaliere e l’ingresso del Professore hanno suscitato nel Partito democratico, nella quasi totalità della stampa e della televisione e nel cosiddetto Terzo polo un’ondata di buonumore. Il governo non è più considerato ladro, forse perché piove poco o niente affatto. I sindacati non ringhiano: hanno fatto uno scioperino di tre ore tanto per giustificare il costo delle tessere, brontolano bonariamente, ma si capisce lontano un chilometro che se ne impipano dei ceti deboli. Dei quali si sono scordati anche i giornalisti da combattimento dei talk show. Michele Santoro è sparito, se ne occuperà presto Chi l'ha visto?, noto programma di Rai 3. Ballarò, che per tre anni ci aveva somministrato servizi settimanali sui pensionati costretti a raccattare per terra scarti di ortaggi ai mercati, ora mostra solo reportage sereni, confortanti.

L’Italia di oggi è peggiorata rispetto a ieri, ma per l’informazione sono scomparse d’incanto le famiglie che con lo stipendio non arrivano alla fine del mese. Forse si nutrono di speranza e di fiducia nel premier algido che usa il fisco per punire, ma lo fa per il nostro bene, garantendoci un futuro radioso. Un premier che ogni due per tre dice: eravate sull’orlo del baratro, poi per vostra fortuna sono arrivato io e vi ho acciuffato per i capelli, altrimenti sareste sprofondati. E noi poveri tapini: grazie, grazie signor docente, come faremo a sdebitarci? Il docente allora, con aria benevola: semplice, basta che paghiate il debito pubblico e siamo pari.

La ricetta di Monti è questa: io governo, voi sganciate. Geniale. Come mai non ci aveva pensato quel babbeo di Berlusconi? Invece di seguitare a rassicurarci: non vi metterò le mani in tasca, poteva mettercele, e avrebbe salvato se stesso e noi. Non aspettavamo altro che aprire il portafogli e offrirne il contenuto allo Stato. E che dire dellafase due? L’abbiamo attesa con trepidazione per un mese nella convinzione fosse una magica soluzione per incentivare la famosa crescita. Si è riunito il Consiglio dei ministri, ci siamo domandati che cosa diavolo avesse escogitato, quando il presidente è uscito dalle sacre stanze eravamo lì con le orecchie ben aperte per udire dalla sua viva voce la formula miracolosa e salvifica. Quindi? Delusione. Lui ci ha rimandato al dì appresso: terrò una conferenza stampa e saprete.

Rassegnati, abbiamo pazientato altre 24 ore. Finalmente il cattedratico si è degnato di spiegare, due ore e mezzo di pistolotto professorale; noi zitti ad ascoltare come scolaretti, ma non abbiamo compreso un’acca. Che senso ha blaterare tanto a lungo se non si ha un tubo da dire? Oltretutto Monti ha tediato il pubblico, affamato di notizie, usando un linguaggio involuto, iniziatico, infarcito di anglicismi, sostanzialmente ostico e inaccessibile alla maggioranza degli italiani. Perché gli è stato consentito di perdere tanto tempo e di impedire la messa in onda puntuale del Tg1? Se una cosa simile l’avesse fatta Berlusconi, lo avrebbero accusato di essere un dittatore protervo, incurante delle regole, strafottente e invadente. Viceversa, a Monti nessuno ha osato muovere un rimprovero, una critica, nemmeno un appunto. Mah!

Forse è vero che se non è mutata la situazione economico-finanziaria, è però mutato il costume.

Si pensi al trattamento riservato ad Augusto Minzolini.

Dicevano che era un incapace perché gli ascolti del tiggì che dirigeva scendevano a vista d'occhio. Lo hanno licenziato in malo modo e sostituito con altro direttore, però gli ascolti sono ulteriormente calati, fino a scendere addirittura al di sotto di quelli del Tg5, eppure nessuno ha fiatato.

Ma che è accaduto in 60 giorni di così importante da modificare radicalmente le abitudini e gli atteggiamenti dei sedicenti «cani da guardia del potere»? Prima era tutto uno schifo, ora va tutto bene madama la marchesa.

Ecco che cosa chiediamo al 2012: un po’ di chiarezza, se non proprio di onestà. A Monti rivolgiamo un augurio: di non tenere i piedi saldamente ancorati sulle nuvole. Se insisterà a voler liberalizzare soltanto i tassisti, i farmacisti e gli edicolanti, guardandosi dal toccare gli ordini professionali ( quello dei giornalisti lo ha gratificato consegnandogli la tessera in cambio di che?) e le municipalizzate, beh, nel baratro insieme con noi ci finirà anche lui. Altro che Quirinale.


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I conti quadrano, l'Italia no

di Marcello Veneziani - 31 dicembre 2011, 10:54

Ho assistito in religioso ascolto al telefilm horror Il giorno dei Monti Viventi.
Tre ore di spiritismo con parentesi spiritose, come quella sullo struzzo.

Ogni volta che i giornalisti lo evocavano, si scoperchiava il sepolcro e lo spirito di Monti si manifestava biascicando un mantra inarrestabile, un infinito Om dacadavere assonnato che faceva cadere gli spettatori in stato di trance.

Il tono del suo requiem era sempre uguale, sia che descrivesse il baratro sia che scherzasse sullo struzzo. Chissà com'era da vivente Monti, se talvolta aveva scatti d'ira, riso o entusiasmo. Forse in vita era portiere della Nazionale, si chiamava Zoff, l'unico che gli somigliava in tono e inespressività. Un oracolo che ha studiato da ragioniere.

Nel raccapricciante telefilm mandato in ondal'altro giorno il Morto ci esortava all'ottimismo della putrefazione. Ma proprio qui sorge il più atroce dubbio. Lui ha sibilato: ora che abbiamo messo in sicurezza i conti e abbiamo evitato il burrone, vi daremo Crescitalia.

Poi vedi la borsa, lo spread e la vita reale del paese e ti accorgi che il risanamento è solo nella sua testa, come crescitalia del resto. Allora ti viene il sospetto che i tecnici facciano quadrare i conti ma il mondo è tondo. I tecnici prescindono dalla realtà. E' come affidare un malato non al medico ma all' operatore farmaceutico; conosce i farmaci, non il paziente. Questo mi spaventa. Ma per il nuovo anno esprimo tutto il mio cordoglio al premier, che è il modo a lui più consono per rallegrarmi con lui e fargli gli auguri.


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Dietro ogni aumento c’è una politica sbagliata. Con un buon anno ai nostri politici
Carlo Stagnaro


In questi ultimi giorni dell’anno, gli italiani sono stati bombardati da notizie piuttosto preoccupanti sugli aumenti che sono arrivati o arriveranno. Per esempio, la Cgia di Mestre ha notato che i prezzi della maggior parte dei servizi pubblici sono cresciuti assai più rapidamente del costo della vita, Lorenzo Salvia sul Corriere ha parlato dell’evergreen dei rincari, i carburanti, e Stefano Agnoli, sul suo blog, si è occupato di elettricità e gas. Sebbene stiamo parlando di cose molto diverse tra di loro, c’è un elemento unificante: in tutti questi casi, gli aumenti sono figli di scelte politiche. Quindi, si tratta di aumenti che sono stati intenzionalmente e deliberatamente voluti dai governi che si sono avvicendati negli ultimi anni alla guida del paese (escludo l’ipotesi che essi abbiano preso certe determinazioni senza rendersi conto che avrebbero inevitabilmente portato a un’ondata di rincari, perché pensare altrimenti implicherebbe che siamo stati governati da una banda di cialtroni incompetenti – e questo non è possibile, vero?).

Almeno in parte questi aumenti derivano dal fatto che molte voci di costo – come nel caso dell’acqua – si sono spostate dalla fiscalità alle bollette. Ma a questo spostamento non ha fatto da pendant l’attesa riduzione del prelievo fiscale: anzi, sempre secondo la Cgia le imposte locali sono aumentate del 138 per cento in 15 anni. Ma questo non spiega interamente la crescita dei prezzi, né vale per tutti i settori di cui stiamo parlando.

Prendiamo i tre casi citati. Per quel che riguarda i prezzi dei servizi pubblici, è evidente a chiunque che essi sono cresciuti più rapidamente nei servizi non esposti alla concorrenza. In alcuni casi – come nel gas e nelle ferrovie – l’assenza di concorrenza è dovuta al permanere di barriere all’ingresso di palmare evidenza: l’integrazione verticale dell’ex monopolista del gas, che controlla anche la rete di trasporto nazionale, e tutte le norme che impediscono l’arrivo di nuovi entranti sul mercato nel trasporto ferroviario (in particolare regionale, ma anche nell’alta velocità e nel cargo non sono tutte rose e fiori). In altri casi, dove la concorrenza “nel mercato” non è possibile – per esempio acqua, rifiuti, e in parte trasporto urbano – l’ostinazione dei comuni nell’affidare direttamente il servizio anziché passare attraverso procedure a evidenza pubblica è un formidabile cocktail di azzardo morale e inefficienza produttiva. Tant’è che le società di trasporto pubblico sono tutte in panne a causa dei tagli ai trasferimenti, ma continuano a spendere circa un terzo in più della media europea, a parità di servizio (come dimostra Ugo Arrigo). Questo significa che, mantenendo l’offerta inalterata, si potrebbero ridurre i costi (cioè i trasferimenti, o il biglietto) di circa un terzo, ovvero che, a parità di entrate, si potrebbero offrire un terzo delle corse in più. Ora, se le gare non vengono bandite (o se, dove la concorrenza in senso consueto è possibile, essa non è consentita o è scoraggiata) non è perché stia scritto nelle stelle: è perché, con le loro scelte e prassi, o con le norme che approvano oppure che non abrogano, i nostri politici (nazionali e locali) lasciano che le cose siano e restino in questi termini. La questione è aggravata e resa ancor più patologica dal fatto che la maggior parte dei monopolisti (nazionali, come l’Eni, o locali, come le municipalizzate), sono controllati o posseduti da enti pubblici. Questo crea un conflitto di interesse enorme in capo al soggetto pubblico che è al tempo stesso regolatore (e quindi teoricamente incaricato di proteggere l’interesse pubblico) e azionista (e quindi titolare di un interesse privato). Se non si privatizza, le liberalizzazioni sono a rischio (nelle prossime settimane pubblicheremo uno studio realizzato assieme a Mattia Bacciardi proprio su questi temi); se non si liberalizza, i prezzi resteranno alti e la qualità bassa. Viceversa, assetti privatistici tendono a creare spinte verso l’efficienza (Lucia Quaglino lo illustra attraverso il caso del servizio idrico).

Oltre alla mancanza di concorrenza, c’è poi il drammatico peso degli interventi diretti sul livello dei prezzi da parte della politica. Agnoli riflette sul peso degli oneri parafiscali (come i sussidi alle fonti rinnovabili) sulla bolletta elettrica, e sulle conseguenze della struttura del nostro mercato (che lega i prezzi alle indicizzazioni contrattuali, anziché all’effettivo gioco di domanda e offerta) su quella del gas. Salvia si occupa invece dei carburanti, dove – se pure c’è un problema ovvio di concorrenza (ce ne siamo occupati con Stefano Verde) - a determinare le ultime impennate sono stati gli incrementi delle accise, per entità e frequenza senza precedenti (qui con Filippo Cavazzoni sull’aumento pro-Fus, e qui sul “regalo natalizio” di Mario Monti agli automobilisti). Se poi aggiungiamo la Robin Tax, che ha una serie di conseguenze anti-concorrenziali come ha notato la stessa Autorità per l’energia in una segnalazione (inascoltata) a Parlamento e governo, il quadro è completo.

La morale della storia è piuttosto semplice, dunque: la maggior parte degli aumenti osservati, molti dei quali si sono amplificati proprio quando non dovevano, cioè nel mezzo della recessione, sono legati a scelte politiche. La scelta di introdurre nuove imposte, per esempio; oppure quella di proteggere posizioni di rendita o di monopolio; o, ancora, la scelta di non far nulla per intaccare tali rendite. In alcuni casi ci si è provato, ed è andata male, ora per le opposizioni parlamentari (come per il ddl Lanzillotta e l’emendamento Morando, ai tempi del governo Prodi, sulla separazione di Snam Rete Gas dall’Eni), ora a causa del ciclone referendario (come per l’acqua e i servizi pubblici), ora per la forte resistenza degli interessi colpiti (come con la controriforma, abortita, dell’ordinamento forense). In tutti questi casi, e in molti altri, fatti salvi pochi coraggiosi che hanno tentato e hanno fallito (ma hanno tentato e lo hanno fatto con convinzione e con tutti i mezzi di cui disponevano), la maggior parte della nostra classe dirigente è stata o attivamente responsabile delle norme anticoncorrenziali, o passivamente solidale con le lobby. Non sono sicuro su quale di questi due comportamenti sia peggiore. All’atto pratico, comunque, non fa grande differenza, perché il risultato è che, proprio mentre il paese si impoverisce, il costo dei fattori di produzione aumenta; e il paese si impoverisce anche perché non riesce ad accedere a servizi essenziali a prezzi e con qualità comparabili a quelle dei concorrenti. Che si tratti di norme o di imposte, ancora una volta, non fa molta differenza, perché il risultato è essenzialmente lo stesso.

Così, la fotografia scattata nei tre articoli citati all’inizio di questo post non è solo deprimente perché indica il salasso a cui andiamo incontro; è anche e soprattutto devastante perché rappresenta la cifra dei problemi italiani, problemi che ben pochi sembrano voler realmente risolvere. E’ perlomeno singolare, d’altra parte, che i nostri politici non trovino di meglio, per chiudere l’anno, che creare nuove tasse e nuove barriere, senza toccare nessuna di quelle vecchie. Il loro modo di augurarci “felice 2012″ è provocare aumenti nei prezzi dei beni e servizi essenziali: o perché lo scelgono consapevolmente, o perché neppure se ne rendono conto, tanto sono occupati a razzolare tra le loro e nostre miserie.

Tante grazie, buon anno anche a voi e andate a farvi fottere.


Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.



Cher03@hotmail.it

Messaggio modificato il: 02-01-2012 alle 17:18 da Cher.

02-01-2012 17:18
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