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[OT] Attualità e Cultura
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Salari pubblici e privati sotto esame

Andrea Giuricin


In un’intervista al “El Mundo” dell’altro ieri, Robert Solow, premio Nobel per l’economia nel 1987 ha affermato che Italia e Spagna devono abbassare i salari. Un’affermazione in linea con quanto detto su queste colonne nelle settimane scorse.

Il premio Nobel per l’economia ha anche mostrato il suo scetticismo sulla sopravvivenza dell’Euro. A suo parere i leader dei Governi Europei si stanno concentrando da troppo su pareggio di bilancio, golden rule e tassazione esasperata, invece di guardare all’elemento essenziale: la crescita economica.

La zona Euro per l’economista è troppo frammentata, nel senso che la produttività è troppo differente tra i paesi “virtuosi” quali la Germania e quelli della sponda sud del Mediterraneo. Per troppi anni i salari di Italia, Spagna e Grecia sono cresciuti in completo disallineamento rispetto all’incremento della produttività.

Proprio su questo fronte, quello della produttività, è necessario essere realisti.



Come fa l’Euro a sopravvivere se il costo del lavoro per unità produttiva è completamente differente tra i diversi Paesi dell’Euro? La Grecia e la Spagna hanno iniziato ad abbassare i salari pubblici, arrivando nel paese ellenico anche a delle riduzioni nell’ordine del 25 per cento.

Questa misura non ne esclude un’altra ancora più dura: la riduzione del personale pubblico.

Tuttavia sono differenti gli obiettivi di queste due azioni. Mentre la riduzione del personale pubblico serve a ridurre la spesa statale per cercare di diminuire il deficit e a liberare risorse fresche per aumentare i consumi (infatti diminuire il numero dei dipendenti pubblici nel medio periodo lascia maggiore risorse ai contribuenti che potranno spendere come meglio vorranno), la riduzione dei salari pubblici serve a diminuire il CLUP (sempre che non diminuisca di pari passo la produttività per ora lavorata) e neii fatti, aumentare la competitività.

Vi è da aggiungere inoltre che alla riduzione dei salari pubblici è necessario accompagnare una manovra che sappia aumentare la produttività ed il controllo nel settore statale.

Solo con una riduzione dei salari pubblici si ottiene un riallineamento della zona Euro?

Assolutamente no. Robert Solow non sostiene che solo i salari pubblici debbano diminuire, ma anche quelli privati. Come fare? È necessario introdurre una contrattazione di secondo livello, aziendale, che leghi lo stipendio all’andamento della produttività.

Questo modello non è stato utilizzato da chissà quale dittatore, ma è stato introdotta dalla Germania di Schroeder (Governo socialista) a metà degli anni 2000, quando la Germania sembrava in crisi profonda. Proprio in quel periodo la Germania sfondò i parametri di Maastricht.

Attualmente i salari tedeschi sono legati all’andamento dell’azienda e sono possibili riduzioni di stipendio quando l’impresa va male ed aumenti, quando va bene. Oltre il 40 per cento dei contratti in Germania sono di secondo livello. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, introducendo a livello nazionale il contratto “Pomigliano”, vuole andare proprio in questa direzione.

La riforma del lavoro, così come la diminuzione della burocrazia o quella della giustizia sono tre delle n riforme essenziali per ridare velocemente smalto alle economie del sud del Mediterraneo.

Da troppi anni l’Italia viaggia a tassi di crescita economica dello zero virgola qualcosa. Inaccettabile, ma soprattutto impossibile da sostenere nel medio periodo, come ha evidenziato anche Robert Solow.


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Manovra: Se Monti fa il draga-draga alla diga

Carlo Stagnaro

Il decreto “salva Italia” contiene importanti provvedimenti per mettere in sicurezza i conti pubblici, anche se con risultati tutti da vedere. Tra gli innumerevoli commi, però, se ne nasconde almeno uno che non ha nulla a che fare né con la crisi, né coi conti pubblici, né con la competitività né con null’altro che non sia in qualche modo riconducibile a una, o entrambe, le seguenti categorie: marchetta o cazzata. Sto parlando del surreale comma 8 dell’articolo 43 che, a dispetto delle presunte caratteristiche di necessità e urgenza del decreto, si occupa addirittura della manutenzione straordinaria dei bacini idroelettrici. Leggiamolo.


Ecco cosa dice:

Ai fini del recupero delle capacità di invaso e del ripristino delle originarie condizioni di sicurezza il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con le regioni e le province autonome, individua, […] le grandi dighe per le quali sia necessaria e urgente la rimozione dei sedimenti accumulatisi nei serbatoi.

Si tratta di un provvedimento ben strano, se messo nel suo contesto. Che effetto può mai avere la producibilità idroelettrica sugli spread? O sulla crescita economica? E cosa ha a che fare il dragaggio delle dighe con tutto questo? La sensazione, a voler essere benevoli, è che la ratio dell’intervento nasca da un clamoroso fraintendimento dei fatti.

Sembra infatti che tutto abbia inizio, almeno in teoria, con la preoccupazione per le possibili conseguenze, sulla producibilità delle dighe e sulla loro sicurezza, derivanti dall’accumularsi dei detriti sul fondo degli invasi. In effetti, pur in presenza di una potenza efficiente lorda in modesta crescita, la produzione effettiva non è cresciuta.

Come si può osservare dai dati, però, la fonte idroelettrica è soggetta a fortissima variabilità. La quale variabilità, come può capire chiunque, è legata essenzialmente al regime delle piogge: se i corsi d’acqua che alimentano i bacini artificiali non si riempiono, la portata che è possibile derivare dai bacini è inferiore e così l’energia elettrica effettivamente producibile. Il tema, dunque, è essenzialmente legato a variabili idrologiche e meteorologiche, non a problemi di manutenzione.

Se, d’altronde, il problema fosse legato non all’input, ma all’impianto – le cui dimensioni sono ridotte a causa del progressivo interramento – dovremmo osservare riduzioni del fattore di carico, ossia del numero di ore di funzionamento effettivo alla potenza nominale. Esistono due tipi di impianti idroelettrici: quelli a invaso (esclusi i pompaggi che in questo momento non interessano) e quelli ad acqua fluente.

Se la presunta riduzione della produzione è guidata da ragioni idrologiche, non dovrebbe esserci sensibile differenza tra i due; se invece a dominare fosse un problema di manutenzione, i bacini dovrebbero deviare dagli impianti ad acqua fluente. Il semplice esame dei dati rivela che così non è: le fluttuazioni sostanzialmente si sovrappongono, e questo suggerisce che esse abbiano una causa comune. Questa causa non può essere l’interramento dei bacini.

Sgombrato il campo dai timori sulla mancata produzione, restano comunque le preoccupazioni sulla sicurezza. L’accumularsi dei detriti potrebbe comprometterla, per esempio tappando le condotte utilizzate per scolmare i bacini in caso di necessità.

Tuttavia, esistono norme molto severe e controlli estensivi per verificare che tali scarichi non si ostruiscano, per ragioni facilmente comprensibili nel paese del Vajont. Le stesse dighe sono tipicamente dimensionate per resistere a carichi assai più importanti di quello potenzialmente determinato da quella frazione dei sedimenti che si deposita proprio a ridosso dello sbarramento.

Quindi, non c’è neppure particolare esigenza di sicurezza, e del resto non risulta alcuna segnalazione in tal senso da parte degli organi competenti (inclusa la sonnecchiosa direzione generale grandi dighe del ministero delle Infrastrutture che, secondo le malelingue, avrebbe promosso il provvedimento).

Ma se non ci sono ragioni oggettive, come spiegarsi la presenza di una simile norma in un simile contesto? A essere malevoli, viene da pensare che l’obiettivo della norma non sia avere delle dighe dragate, ma avere delle dighe da dragare – come nota anche Stefano Agnoli. Questo implica enormi costi, economici e ambientali, perché trasportare tutta l’attrezzatura necessaria in quota, e dragare le dighe per mezzo di chiatte oppure dopo averle svuotate comporta sforzi colossali. Il fondo rimosso andrebbe trasportato e stoccato altrove, e anche questo implica costi e stress sul sistema, già non brillante, di gestione degli inerti.

Per dare un’idea, un amico del settore mi dice che, spannometricamente, si potrebbe stimare il volume di materiali da asportare – senza che vi sia alcuna necessità di farlo - tra 1 e 2 milioni di metri cubi per ciascun invaso, pari a 100-200 mila carichi di camion, con costi complessivi stimabili nell’ordine del miliardi di euro.

Ora, questo miliardo di euro non entrerebbe nelle nostre belle statistiche sul debito e la spesa pubblica, perché sarebbe spesa formalmente privata – sarebbero le società che gestiscono i bacini a doversene fare carico. In un modo o nell’altro, questo colpirebbe la collettività: in parte questi extracosti si riverserebbero in bolletta, in parte si tradurrebbero in minori utili e quindi minori dividendi per gli azionisti e/o minori investimenti. In un periodo in cui la parola d’ordine è “austerità”, è davvero bizzarro che sia proprio il decreto “salva Italia” a introdurre spese pazze, pubbliche o private che siano.




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Contanti saluti a chi perseguita gli anziani


di Marcello Veneziani - 13 dicembre 2011, 09:03


Ci sono milioni di anziani che vivono con angoscia supplementare la manovra del governo Monti. Non temono solo le pensioni paralizzate, con l’indice bloccato, e non temono solo la tassa sulla casa che abitano.

Ma temono ancor più di dover rinunciare ai contanti e armeggiare con le carte elettroniche.

Conosco tanti anziani che senza un gruzzolo di contanti si sentono perduti. Senza liquidi temono di non poter fronteggiare gli imprevisti della vita, le malattie e l’assistenza, la paga alla badante e la paghetta ai nipoti, un bisogno, un regalo. Quei soldi danno loro mezza serenità e autonomia. E ora devono rinunciare a quella sicurezza, altrimenti passano all’illegalità.

Molti sono nel panico. Non hanno carte elettroniche, non sanno come si fa, temono le banche sanguisughe, vogliono poter toccare, sentir frusciare le banconote. Per loro il contante è come l’ossigeno, la pasticca per il cuore, la chiave di casa,la sciarpa e l’ombrello.

E poi non ci vedono bene, non usano i bancomat per ritirare contanti, si perdono tra codici, procedure, paure di scippi, ardue letture e digitazioni. E la banda magnetica cos’è, un’orchestra che esegue musiche attraenti? E si sentono pure coglionati perché loro, modesti ultrapensionati, sono sospettati d’evasione fiscale...

Ma perché rendere più difficile una vita già piena d’insidie e acciacchi? È crudeltà mentale accanirsi con loro. Fatelo con noi, con chi è in età da lavoro, ma risparmiate almeno vecchi e bambini. Tecnici, ma che avete al posto del cuore, la calcolatrice? Contanti auguri.


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Fisco: lo Stato di Monti non mi piace, l’ignoranza è schiavitù

Oscar Giannino


L’aliquota maggiorata sugli immobili detenuti all’estero, evidentemnte in spregio all’autarchia restaurata mentre dormivo, l’aumento ulteriore della tassa sui conti correnti: le trovata da supermarket dell’eterna abilità statale a mettere le mani nelle tasche più facili mi rendono sempre più difficile comprendere il governo di emergenza.

Nessuna visione di riordino sistemico del prelievo fiscale, per levare peso dai redditi in nome della crescita. Nessuna proposta su ciò da cui occorreva partire, la delega fiscale su deduzioni e detrazioni, per dire chiaro dove tagliare risorse e dove concentrarle. Nessuna dismissione pubblica, né di mattone né di altro.

In più, esteso peggioramento delle norme in violazione della libertà del contribuente. E per fortuna a Montecitorio i relatori Pd e Pdl della manovra hanno pensato bene di riscrivere la norma secondo la quale bastava sbagliare a dare una risposta alla Guardia di Finanza o all’Agenzia delle Entrate per commettere automaticamente un reato penale.

Se il Parlamento terrà duro resterà reato solo il produrre documenti falsi, non incorrere in mere risposte sbagliate, come il governo si era originariamente vantato indicando nell’imbarbarimento della norma una delle grandi svolte per rendere finalmente più efficace la lotta all’evasione fiscale.

Uso il termine imbarbarimento non perché mi scappi la penna. Non m’interessano polemiche politiche. Qui si tratta di difesa della libertà e di filosofia del diritto, non di aride norme tributarie.

Come è questione di libertà e difesa del diritto, la ragione che mi ha visto tra i pochi a levare la voce sin dalla prima lettura della manovra apprendendo che si disponeva il dovere per banche e intermediari finanziari di comunicare all’amministrazione tributaria no sollo i saldi dei conti bancari, di deposito e titoli, ma il dettaglio di qualunque operazione superiore ai 1500 euro, cosa che sommata alla tracciabilità piena oltre i mille euro rende l’amministrazione tributaria finalmente edotta di qualunque nostro atto e decisione.

Siamo stati in pochi a reagire, insieme a Piero Ostellino che più volte è tornato sulla questione. In pochi a reagire al luogocomunismo che ormai su tali questioni impera sovrano, battendo le mani al rimedio delle manette agli evasori e all’orwelliana spoliazione di ogni ambito di libertà personale all’occhiuta onnipresenza e onniscienza dello Stato.

Su questa norma, le modifiche parlamentari non sono andate oltre l’indicazione che l’attuazione della nuova norma dovrà essere predisposta sentendo l’Abi – visto che alle banche costerà, dunque costerà a noi clienti la perdita della nostra libertà, per doppio paradosso.

E il Garante della Privacy, che a questo punto diventa unico eroe al quale chiedere istituzionalmente di alzare lo scudo liberale a tutela della libertà di noi cittadini. Povero il Paese però che chiede al solo professor Pizzetti, mio ex maestro di diritto costituzionale a Torino, di combattere per la libertà Orazio sol contro l’Etruria tutta.

C’è una terza norma, nel decreto, ispirata allo stesso presupposto di queste due. E’ l’introduzione di un regime di favore fiscale nei confronti di autonomi e microimprese che scelgano non la contabilità semplificata – il forfait del 20% per microimprese è stato praticamente già abolito o quasi da Tremonti, con la giustificazione che tropi cvi avevano fatto ricorso che lo Stato ci rimetteva troppo – bensì in tutto e per tutto l’affidamento allo Stato. Girate direttamente all’amministrazione tributaria fatture emesse e fatture da pagare su cui scalare l’Iva, ed ecco che lo Stato da oggi si trasformerà nel vostro commercialista e vi farà la sconto.

Quando l’ho illustrata in radio, non è mancato chi ha osservato “conveniente, finalmente potrò abolire il costo del commercialista”. Al che ho dovuto amaramente osservare che lo Stato è temibilmente abile, nel sedurre con le sue trappole il cittadino. Prima accumula una legislazione tributaria incomprensibile, farraginosa, e continuamente mutevole per mezzo di norme d’attuazione ballerine e circolari a getto continuo.

Dopo di che, avendo lo Stato con la sua opacità impedito al contribuente di assolvere da solo al proprio dovere tributario se non al prezzo di incorrere in violazioni gravi dovute a incomprensioni e dunque a successive sanzioni spoliatrici, ecco che lo Stato se ne inventa un’altra e ti promette un favore se lo eleggi tuo commercialista e amico del cuore.

La fregatura c’è tutta, ovviamente. Rinunci non al commercialista, ma al fatto di poter opporre qualunque controdeduzione allo Stato che, tue fatture alla mano, ti calcola esso unilateralmente cifra d’affari, imponibile e imposta. Lo Stato non potrà mai stare dalla tua parte, a quello ci devi pensare tu. Lo Stato affamato ed esoso mira solo al tuo portafoglio.

Personalmente, ho grande stima e ammirazione di Attilio Befera e della sua squadra, l’uomo e l’apparato che con grande dedizione e lucidità hanno cambiato dalle fondamenta i connotati organizzativi e strumentali dell’amministrazione tributaria e della gestione della riscossione pubblica, non più appaltata concessionari esterni.

Ho pochi dubbi che le tre norme in questione derivino, come sempre o quasi sotto destra e sinistra da parecchi anni a questa parte, esattamente dal vertice dell’Agenzia delle Entrate, e dalla sua collaborazione ed esperienza con Procure e Guardia di Finanza. Befera ha difeso a spada tratta in interviste la nuova svolta antievasione, e in questo gli do volentieri e pienamente ancora una volta atto che fa per intero il suo mestiere. A maggior ragione glie ne va dato atto quando dei delinquenti imbecilli si fanno venire in mente di mandare pacchi bomba ad Equitalia, con il validissimo direttore generale Marco Cuccagna che ci rimette un pezzo di mano e per questo merita ogni solidarietà, encomio e riconoscenza civile.

Aggiungo naturalmente che apprendere che migliaia di vetture potenti sono intestate a contribuenti sotto i 20 mila euro l’anno di reddito, e idem dicasi per elicotteri ed aerei, non può che far prudere le mani (anche se su questo io ragiono coerente ai miei princìpi, e invece di liste di proscrizione pubbliche spaccaPaese credo che all’amministrazione spetti accertare caso per caso in silenzio, e con tenacia unita al rispetto).

Non è ai vertici amministrativi della lotta antievasione che va mossa l’obiezione. E’ ai politici che presentano le norme. Ieri politici di centrodestra, prima di centrosinistra, oggi professori e tecnici.

Tutt’e tre le categorie hanno evidentemente abdicato all’elementare difesa liberale del cittadino contribuente insegnataci da secoli di lotta dell’individuo contro le pretese eccessive dello Stato. Non c’è più, la sensibilità di Luigi Einaudi. La si addita e scambia pubblicamente per riprovevole e stomachevole fiancheggiamento dei nefandi evasori.

E invece no, non è così. La testa del primo re a cadere per una Rivoluzione contro la sua pretesa di tassare a discrezione fu quella di Carlo I. La Grande Rivoluzione liberale britannica del 1688 pose le basi delle moderne costituzioni, e nacque sulla difesa contro le tasse esose.

La Rivoluzione americana vide le Tredici Colonie americane spezzare gloriosamente nel fango le pretese tributarie della Corona Britannica.

Capisco che questi precedenti dicano magari poco alla sinistra, convinta dell’organicismo etico statuale e della prevalenza sempre e comunque dello Stato sulla persona, e sulla sua libertà. Ma che siano stati sedicenti liberali, ad avere negli anni recenti alle nostre spalle introdotto nel nostro ordinamento la possibilità che lo Stato entri nei miei conti bancari e congeli subito la sua pretesa unilaterale nei miei confronti, mentre per osare entrare in contenzioso nei suoi confronti a me si chiede di pagare subito un terzo della pretesa tributaria e relativi interessi e aggi, che tale rivoltante ribaltamento di ogni elementare tutela del diritto del cittadino nei confronti del rapace fisco pubblico si debba ai governi Berlusconi, personalmente mi è sempre risultato peggio che incomprensibile.

Semplicemente una dichiarazione d’ignoranza. Da sempre premessa e suggello della schiavitù. E tale resta, anche se tutti o quasi le battono le mani.


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Tagli alla casta, un bluff "No al doppio stipendio" Ma spunta già la deroga


di Andrea Indini - 15 dicembre 2011, 15:51


In Italia funziona pressapoco così: una volta fatta la legge ci si affretta a buttar giù la deroga. Ed è così che la legge non è più uguale per tutti.

Prendiamo, per esempio, i tagli ai costi della pubblica amministrazione. Nella manovra economica, in queste ore al vaglio del parlamento, c'è (quasi) il richio che il comma 3 dell’articolo 23 ter passi inosservato. Si tratta di una deroga al tetto degli stipendi dei vertici della pubblica amministrazione. Si legge: "Con decreto del presidente del Consiglio dei ministri possono essere previste deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni ed è stabilito un limite massimo a titolo di rimborso spese".

Il comma è sibillino, ma piuttosto chiaro. La norma stabilisce che per il personale chiamato a ricoprire funzioni direttive nei ministeri e neltre amministrazioni pubbliche, la retribuzione non può superare un quarto (il 25%) del trattamento economico percepito. In parole povere: chi ricopre il doppio incarico non percepisce più due stipendi, ma soltanto uno più un quarto di quello precedente.

Tuttavia, la stessa norma garantisce anche la scappatoia. Nello stesso articolo del decreto "salva Italia" che riguarda le retribuzioni nelle pubbliche amministrazioni, è infatti previsto che con decreto del presidente del Consiglio, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, può essere ridefinito il trattamento economico annuo di chiunque riceva retribuzioni a carico delle finanze pubbliche "stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento del primo presidente della Corte di Cassazione". I primi ad alzare le barricate sono stati i dipietristi che hanno attaccato duramente il "comma ad personam" perché rivolto a "chi, anche ministri di questo esecutivo, siede su poltrone di vertice all’interno della pubblica amministrazione e non ha gradito la norma che prevede la riduzione degli stipendi". E pensare che il premier Mario Monti in persona aveva garantito: "Non è vero che pagano sempre i soliti. E’ un luogo comune".


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di Marcello Veneziani - 16 dicembre 2011, 10:22


La manovra spiegata da Dostoevskij.

La chiave dolorosa della manovra di Monti è ne l'Idiota di Dostoevskij. Il dolore maggiore, spiega lo scrittore, non è la sofferenza patita, ma "la certezza che tra un'ora, poi tra dieci minuti, poi fra mezzo minuto,poi ora,subito" arriverà la mazzata di Stato.

"Questa certezza è spaventosa. Tu metti la testa sotto la mannaia, senti strisciare il ferro, e quel quarto di secondo è più atroce di qualunque agonia".

Per Dostoevskij il delitto legale è più spaventoso di quello d'un brigante. La legalità- spiega- toglie con certezza matematica spietata anche la speranza di salvarsi. Il dolore per l'annuncio dei sacrifici ha già fatto patire gli italiani. Dal punto di vista fiscale l'effetto è inesistente perché non c'è stato ancora alcun prelievo; ma dal punto di vista morale e psicologico, il danno è già compiuto ed è devastante. Gli italiani arriveranno a pagare la manovra quando saranno già stremati e disperati. Per pietà, finitela con questo stillicidio, non potete tenerci sul patibolo così a lungo. Da mesi proclamate l'imminenza delle nostre sofferenze. Senza averle subite, le abbiamo già patite.

La natura umana, seguita Dostoevskij, non "può sopportare un tal colpo senza perdere la ragione. Perché dunque questa pena mostruosa e inutile? No, no, è inumana la pena, è selvaggia e non può né deve essere lecito applicarla all'uomo". Dostoevskij si riferiva all'attesa dell'esecuzione capitale e alla sua esperienza di graziato in extremis. Qui non c'è condanna a morte, è vero, ma non c'è nemmeno speranza di essere graziati

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Il monito di Napolitano: "Tutti devono fare i sacrifici, anche i ceti meno abbienti"




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di Alessandro Sallusti - 17 dicembre 2011, 09:08


È tutto un turarsi il naso e votare Monti. Qualcuno addirittura evita il fastidio e si defila, nell’urna (Di Pietro) o dall’aula(la componente più liberale del Pdl).
Tremila detenuti fuori dal carcereIngrandisci immagineAlla fine della giornata che di fatto vara la stangata il governo fa i conti e scopre di aver perso per strada una sessantina di deputati.

Non sono pochi ma non è questo il problema. In oltre quattrocento hanno detto sì alla manovra, e questo basta a far diventare reali le nuove tasse senza avere avuto in cambio nessuna concessione o libertà maggiore.

Il tutto benedetto dal regista dell’operazione, Giorgio Napolitano, che ieri è arrivato a dire, per tacitare la sinistra che minacciava di non votare, che anche le classi meno abbienti, cioè i poveri, devono fare i sacrifici. Altro che comunista, il presidente ormai è stato arruolato a pieno titolo dal club di banchieri e finanzieri che comanda in questo Paese.

Ma torniamo a Mario Monti. Ieri, rispondendo al Berlusconi dell’altro giorno, ha detto di non essere disperato. Beato lui, è uno dei pochi italiani a non esserlo, ma non è una novità che il professore non si riconosca nel comune sentire, che non provi le stesse sensazioni di noi mortali: appartiene a una élite che ha poco a che fare con il resto del Paese. Il dizionario definisce l’élite un sottogruppo di eccellenza all’interno di un corpo sociale. Sono quelli, per intenderci, che stabiliscono nei salotti ciò che è giusto e buono per noi.

Ieri, per esempio, hanno deciso che è giusto svuotare le carceri mandando a casa (ai domiciliari) anzitempo 3.300 detenuti che potranno scontare tra le mura domestiche gli ultimi 18 mesi di pena. Riepiloghiamo. Ieri il governo dei tecnici ha deciso due cose. La prima è di aumentare le tasse a noi che lavoriamo, la seconda è di abbassare la pena a chi ha rubato e a criminali di vario genere. Dicono: le carceri erano affollate, qualche cosa andava fatto. Giusto, ma sono affollati anche gli incubi di pensionati, proprietari di casa e automobilisti alle prese con rincari e vessazioni che ti fanno sparire un mese di stipendio all’anno.

Possibile che il governo di emergenza che doveva varare la liberalizzazione economica, l’unica libertà l’ha data ai delinquenti?


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Una manovra ragionieristica per sviluppare povertà e sudditanza

Manuel Seri


Come un perfetto contabile il nuovo Governo ha fatto due conti: quant’è il debito, quanto serve, quante sono le risorse aggredibili e come avere tutto sotto controllo; dopodiché, con l’avallo di una politica ormai auto-esautoratasi per conclamata incapacità e de-responsabilizzata dalla inevitabilità di un esecutivo tecnico variamente giustificata (secondo il centro-sinistra, necessaria per tentare di rimediare ai danni del centro-destra; per il centro-destra, necessaria per assecondare le richieste dell’Europa) ha organizzato una raccolta forzosa nelle tasche degli Italiani (di “tutti” gli Italiani) proclamando “rigore, equità e sviluppo”, illudendo che sarebbero stati coinvolti solo i più abbienti, enfatizzando l’alibi della lotta agli evasori e completando la costruzione di un sistema poliziesco e repressivo senza precedenti che travolgerà inevitabilmente tutti i Cittadini.

Prima di tutto i numeri. Il debito pubblico ammonta a 2.000 miliardi di Euro; le risorse degli Italiani calcolate dalla Banca d’Italia ammontano a 8.600 miliardi di Euro di cui 5.350 miliardi di euro di beni e 3.250 miliardi di euro di danaro liquido (per almeno un 30%) o variamente investito in strumenti finanziari (per il restante 70%). Le risorse perciò ci sono e sono tante, molte di più di quelle che servono, perché il Popolo si è arricchito per anni alle spalle dello Stato; basta prenderne un po’ subito, monitorare minuziosamente tutte le altre e trovare il pretesto per andare a prendere il resto.

Poi i metodi. Per tenere quasi tutto sotto controllo basta fare in modo che siano “tracciate” quante più operazioni quotidiane possibili, confidando sulla (falsa) rassicurazione che la caccia verrà aperta contro i grandi evasori (che sono sempre gli altri, ai quali “ben gli sta” di dover pagare finalmente le tasse!): perciò, via all’ampliamento dei rapporti bancari (col duplice effetto di rendere visibili altre ricchezze e incrementare la raccolta per le gli operatori finanziari), via alla comunicazione periodica di tutte le operazioni finanziarie (in conto, extra-conto, pagamenti elettronici, telematici, virtuali, investimenti finanziari, … e “chi più ne ha, ne metta”), via all’abbassamento a € 999,99 dei pagamenti in contanti, via allo “spesometro” ed al nuovo “redditometro” cosicché tutto dovrà avvenire alla luce del sole e nessuno potrà più nascondere niente.

Infine gli effetti. Tutti i dati di tutti i cittadini immagazzinati nell’enorme memoria dell’Anagrafe Tributaria verranno aggregati, disaggregati, manipolati, selezionati, incrociati, … ed infine elaborati per ottenere un elenco di situazioni anomale agganciate a singoli specifici codici fiscali identificativi di ignari Contribuenti contro cui rivolgere l’azione di recupero da parte del Fisco; a quel punto i malcapitati (chiunque) dovranno spiegare e dimostrare documentalmente di essere stati fiscalmente leali a qualcuno che non avrà alcun interesse di capire (anzi, avrà l’interesse opposto di raggiungere un budget preventivamente assegnato e di partecipare ai vantaggi variamente derivanti dagli incentivi interni all’Amministrazione finanziaria) e dovranno obtorto collo lasciare sul campo una bella fetta dei loro risparmi (o addirittura indebitarsi per lo scopo) per pagare le tasse su ciò che non hanno guadagnato (ma il Fisco presume per legge che lo abbiano fatto) o per pagarsi un professionista che li dovrà difendere e per versare intanto una parte di quelle tasse (perché l’accertamento sarà immediatamente esecutivo per una parte dell’accertato) nella speranza sempre più labile che dopo uno, due o tre gradi di Giudizio avrà finalmente ragione (sic!).

Rigore” (nel senso che sono stati fatti bene i conti?), “equità” (nel senso che tutto di tutti verrà indistintamente immagazzinato ed elaborato nel grande calderone di informazioni del Fisco e che molti di essi finiranno a turno nel medesimo “tritacarne fiscale”?) e “sviluppo” (nel senso che si amplierà ed aumenterà il gettito forzosamente e spesso ingiustamente recuperato a carico di una buona fetta di Contribuenti normali che d’improvviso si scopriranno ricchi evasori per presunzione di legge, subiranno l’umiliazione di spiegare inutilmente l’ovvio e pagheranno alla fine pesanti tasse, interessi e sanzioni?).

Questo è solo un modo comodo, sbrigativo e veloce di racimolare risorse finanziarie con l’effetto di accelerare la recessione già in atto da tempo (qualcuno se n’è accorto solo adesso rilevando un -1,6% del PIL per il 2012, ma la Gente normale, quella che fatica a tirare avanti se ancora ci riesce, lo ha capito da almeno un paio di anni!): in primo luogo, tutti i danari in più sottratti ai Contribuenti per qualunque nuovo o maggiore pretesto di tassazione vengono definitivamente tolti dal circuito proficuo della spesa produttiva e cessano di produrre ricchezza (ogni volta infatti che il danaro viene speso, esce dalla tasca di un soggetto per diventare ricchezza nuova nelle tasche di un altro soggetto; tanto più velocemente si ripete questo passaggio, tanta più ricchezza si produce, tante più persone lavorano e producono reddito, tante più tasse può sperare di incassare lo Stato; se tale processo si riduce o, peggio, si interrompe, dilaga la povertà);
in secondo luogo, enfatizzare l’utilizzo anti-evasione della enorme mole di dati raccolti con il monitoraggio delle spese, dei rapporti bancari e dei flussi finanziari e limitando l’utilizzo del contante terrorizza la Gente, frena l’impiego delle risorse finanziarie, ne scoraggia la circolazione e deprime la propensione alla spesa alimentando nel contempo (per chi ne ha poco) l’accumulo improduttivo “sotto il materasso” e (per chi ne ha tanto) il trasferimento occulto all’estero in paesi dove è possibile spenderlo liberamente, magari abbinandolo ai periodi di vacanza;
in terzo luogo, l’oppressione fiscale e l’ossessione del controllo aumenta ancora di più il disprezzo dei contribuenti verso le istituzioni che appaiono sempre più prepotenti, vessatorie e invadenti, che non rispettano la sfera privata e più intima dei cittadini, che violano le libertà ed i diritti fondamentali dei cittadini e che con questi sistemi polizieschi finiranno per non ottenere mai la tanto auspicata fedeltà fiscale.

Nel frattempo però si sta preparando un grande esproprio di Stato in danno di tutti i Contribuenti la maggior parte dei quali si illude che saranno solo i grandi evasori ad essere colpiti e che perciò “il fine giustifica i mezzi”. Poveri meschini! Intanto il “regime” (più germanico che italiano) consolida le sue radici e sarà presto impossibile recuperare la dignità perduta di Cittadini.


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Italia ostaggio dei tiranni del "timbro"


Vittorio Feltri - 19 dicembre 2011, 16:28


Le bucce alla Casta le hanno fatte tutti, anche noi, forse per primi, quando svelare i privilegi dei parlamentari costituiva «reato di qualunquismo». La scorsa settimana Il Giornale ha ficcato il naso nelle retribuzioni (alcune folli) dei cosiddetti boiardi di Stato, cioè dirigenti di aziende pubbliche o a partecipazione pubblica, dimostrando - documenti alla mano che il denaro dei cittadini non viene sperperato solamente dai signori del potere legislativo.

E oggi vorremmo riprendere un tema da me personalmente lanciato lunedì scorso a Porta a porta e sviluppato ieri, sul Corriere della Sera , da Angelo Panebianco con molta efficacia.

Ci riferiamo ai prìncipi della burocrazia ovvero gli addetti alla macchina (obsoleta) statale, la cui principale attività consiste nel complicare le cose semplici, fino a renderle incomprensibili,e nell’impedire qualsiasi riforma tesa a svecchiare il Paese. I burosauri sono personaggi sconosciuti ai cittadini, non vanno in televisione, i loro nomi non appaiono sui giornali, ma sono i veri padroni del vapore. Nel Palazzo non si muove foglia senza il loro consenso.

Essi sono il vertice della famigerata «dittatura del timbro». Scrivono le leggi, redigono i regolamenti, insomma fanno il bello e il cattivo tempo, a piacimento. Qualsiasi iniziativa assunta dal governo e dalle Camere viene attuata dalle alte sfere dell’impiego pubblico, da esperti o presunti tali che si comportano secondo gli schemi di una classe sacerdotale: adottano un linguaggio iniziatico e ingarbugliato, sollevano eccezioni,sono maestri nell’arte di cavillare. Fanno di tutto per dominare la materia ed escludere chiunque altro dalla possibilità di maneggiarla con cognizione di causa. In questa maniera diventano indispensabili.

Di fatto non sono a disposizione dei politici. Al contrario, comandano subdolamente su chi dovrebbe impartire loro ordini ma, in realtà, non è nemmeno in grado di farli rispettare perché non ha dimestichezza con la macchina (costruita appositamente per essere guidata soltanto da iniziati).
I burocrati hanno eretto una vera e propria barriera insormontabile tra il dire e il fare. Il politico dice e il funzionario cerca di non fare, e ci riesce benissimo, giustificando la propria inazione con vari pretesti di carattere legale e procedurale. Questo è vietato, questo è inopportuno, quest’altro va contro le norme. Già.

L’Italia è un Paese che adora le norme ma le applica per demolire e mai per edificare. L’apparato non è al servizio né dei cittadini né dei loro rappresentanti. È al servizio di se stesso ed è efficiente soltanto quando si tratta di esercitare un potere ostativo o di creare, attraverso regole intricate, i presupposti di paralizzanti contenziosi.
Risultato. Il politico, davanti al burosauro, è uno scolaretto intimidito, incapace tecnicamente di ribellarsi ai dinieghi dell’insegnante. Ecco perché non funziona nulla. D’altronde i ministri e i sottosegretari passano, mentre i direttori generali, i funzionari, i consiglieri eccetera rimangono fino alla pensione. Ovvio, bravi o no che siano, chi li licenzia? Sono inamovibili.

Ben pagati. Il castello burocratico è enorme. Pochi vi si orientano. Migliaia di uffici, scrivanie, volti grigi; e che stipendi!

Chi controlla chi? Ciascun funzionario bada a non infastidire il collega per non esserne infastidito a propria volta.

L’unica vera preoccupazione della Casta amministrativa è mantenere il monopolio delle carte e di incasinare le pratiche allo scopo di apparire insostituibile. Spesso i politici stanno al gioco per illudersi di non subirlo. Si adattano nella speranza di conquistare la benevolenza dei sacerdoti del timbro e delle vestali del sacro faldone.

Basti pensare che il bilancio dello Stato è un mistero. Per esserci c’è. E si può perfino compulsare. Ma è un ginepraio di somme.
Mancano gli allegati in cui dovrebbe essere registrato ogni euro speso.

Speso per che cosa? Non si sa. Si sa che decine di miliardi (contributi a fondo perduto) piovono nelle tasche di imprenditori di cui però si ignora l’identità.Si ignora la motivazione dei versamenti. Si ignora l’importo degli assegni.

Data la situazione, come fa un capo di governo, per quanto professore della Bocconi, a scovare le voci sotto cui si annidano gli sperperi?

Poi c’è il Tar. Che esiste da quando esistono le Regioni. Prima non c’era e si viveva benone lo stesso.

Poi c’è la Corte dei conti.

Poi c’è il Consiglio di Stato.

Poi c’è l'Avvocatura dello Stato.

Poi ci sono le Authority.

La macchina è mastodontica, chiunque vi si avvicina prova a girare una vite ma il motore non s’avvia o si inceppa subito.Quanto ci costa il fermo? Segreto.

Che bella democrazia.
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Le Regioni degli sprechi: non solo i vitalizi d’oro, ma pure il bonus trombati

Fausto Biloslavo - 24 dicembre 2011, 09:00

Non tutti lo sanno, ma i consiglieri regionali, a parte quelli lombardi, oltre ai contestati vitalizi, incassano a fine mandato un’indennità per il «reinserimento lavoro» o «nella vita civile», che in alcuni casi è un ottimo gruzzolo.

Una liquidazione che varia per ogni Regione prevedendo conteggi e tetti diversi per il numero di mandati. Il risultato è che i primi della lista sono gli «onorevolini» calabresi con 56.850 euro a disposizione del consigliere uscente, dopo una sola legislatura. Cifra che arriva a 170.550 euro per il tetto massimo di tre mandati. Li seguono i campani con 54.860 euro e la Puglia di misura a 54.025 euro, sempre per una legislatura di 5 anni.

I deputati dell’assemblea siciliana sono fuori portata, ma le loro leggi ad hoc non permettono una corretta comparazione. La sorpresa è il quarto posto del Friuli-Venezia Giulia con 53.223 euro. I detrattori della casta l’hanno ribattezzata l’indennità dei «trombati», che segue il copione dei loro colleghi parlamentari nazionali. Bisognerebbe chiedersi come mai fior fiore di giornalisti, con contratti in aspettativa per decenni, imprenditori, avvocati, medici, professionisti vari, che continuano a mantenere l’attività ed i loro studi durante la carriera politica, in consiglio regionale o parlamento, hanno bisogno di un gruzzoletto per reinserirsi nel lavoro e nella vita civile. E forse l’agognata liquidazione dovrebbe venir collegata alle presenze in aula, scarse sia a livello nazionale che regionale.

In ogni caso il bonus per il poverino rimasto senza poltrona viene solitamente calcolato in base all’ultima mensilità dell’indennità di presenza lorda moltiplicata per ogni anno di esercizio del mandato. Prendendo come esempio il Friuli-Venezia Giulia si tratta di 53.223,65 euro per una legislatura, 106.447,3 per due, 159.670,95 per tre. L’eletto nel Consiglio di piazza Oberdan a Trieste subisce ogni mese la trattenuta di 532, 24 euro, ma a fine corsa incassa molto di più del versato.

Il Piemonte sabaudo segue la regione più ad est d’Italia con un’indennità di reinserimento di fine mandato che sfiora i 50.000 euro per un sola legislatura. I laziali ed i veneti sono staccati a 46.814 euro, ma un toscano ne incassa appena 38.000 euro e qualcosa. Il fanalino di coda spetta al valdostano che si accontenta di 33.500 euro.

In 8 Regioni non sono fissati limiti temporali su cui calcolare l’indennità di fine mandato. L’Emilia Romagna, la prima ad abolire i vitalizi, ha stabilito un massimo di due legislature, come per le Marche, Molise, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto. La Campania prevede 16 anni per il calcolo del bonus, la Calabria tre legislature, come la Liguria, che però decurta del 50% il bonus fra il decimo e quindicesimo anno.

In Trentino Alto Adige la trattenuta obbligatoria è del 10%, ma l’indennità viene calcolata solo in base ai versamenti effettuati ad un apposito Fondo di solidarietà e ai risultati che ottiene, senza pesare ulteriormente sulle casse regionali. In Sardegna e Sicilia le trattenute sono del 6,7%, in Basilicata del 5,5%, in Campania, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria del 5%.
La Lombardia è l’unica Regione che, da poco, ha abolito i vitalizi e pure il trattamento di fine mandato.

In Friuli-Venezia Giulia il comitato guidato dall’avvocato udinese Gianni Ortis punta ad un referendum per tagliare i costi della politica, compresa la liquidazione, ma la Regione ha alzato le barricate respingendolo. Se ne riparlerà a fine gennaio in tribunale. Il presidente della giunta di centro destra, Renzo Tondo, era stato il primo a lanciare un piano di tagli compresa la riduzione dei consiglieri. Martedì, con l’approvazione della legge di bilancio, si è stabilito che i tanto criticati vitalizi verranno aboliti dal 2013, quando si tornerà alle urne e verrà introdotto il sistema contributivo. Invece rimarranno blindate le pensioni di chi siede nell’attuale Consiglio regionale e degli ex. Stiamo parlando di 7,7 milioni di euro l’anno per 142 beneficiari. Non solo: con un emendamento dell’ultima ora l’assemblea del Friuli-Venezia Giulia ha sganciato gli stipendi dei consiglieri da quello dei parlamentari.

Così facendo saranno evitate le annunciate decurtazioni che attendono in gennaio deputati e senatori.

Per salvare il salvabile, spacciandolo ufficialmente per una svolta, hanno votato assieme Pdl, Lega ed Udc, con la complicità del Pd.
Per il bonus dei «trombati» i consiglieri regionali (gli ex sono 3.385) hanno semplicemente replicato l’andazzo del parlamento nazionale. L’«assegno per il reinserimento nella vita lavorativa» dei poveri onorevoli rimasti senza scranno varia da 46.814 euro per una sola legislatura ad oltre 140.000 per 15 anni in Parlamento. Peccato che il bonus di fine mandato sia esentasse, mentre i comuni mortali pagano sulle liquidazioni dal 23 al 27% di imposte.
www.faustobiloslavo.eu

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Giorgio Napolitano, che ieri è arrivato a dire, per tacitare la sinistra che minacciava di non votare, che anche le classi meno abbienti, cioè i poveri, devono fare i sacrifici.
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Ballata malandrina di Natale

di Marcello Veneziani - 22 dicembre 2011, 08:28

Ruba il medico al neonato e già nasce col reato, di provette è spacciatore per il caro genitore.

Ruba forte il calciatore e ti trucca la partita per godersi poi la vita.

Ruba esami il professore, fa la cresta all’attestato e lo piazza al candidato. Ruba tanto il dirigente e si pappa la tangente.

Ruba grosso l’evasore e al fisco manco l’odore.

Ruba il vigile al Comune e il multato rende immune, scambia multe con mazzette o le commuta in tre fette.

Ruba a norma il finanziere come ruba il salumiere, ruba pure l’impiegato e perfino il magistrato.

Ruba in piccolo il tassista, ruba in scala il grossista, ruba a iosa il commerciante, ruba al volo l’ambulante. Ruba lesto l’artigiano ruba l’Ici il cappellano, ruba infine il beccamorto col cadavere d’asporto. Per il loculo ci prende e coi soldi poi ci stende.

Ruban tutti in questa terra e perfino sottoterra. Dalla culla al cimitero, non c’è scampo per davvero.Dalla nascita alla morte hanno tutti pari sorte.

E poi dicono la Casta, ma son della stessa pasta. Con i tecnici è immutato, la rapina è anche di Stato. Ora che vige il capestro, l'Italia è sotto sequestro. Pignorata è ogni sua branca da Equitalia ed Eurobanca. E per non lasciarci soli già ci attorniano i mariuoli.
Anche le vacanze sante se le ruba il lestofante. Ecco l'albero natalizio, ogni ramo spunta un vizio.

È il presepe di Natale di un'Italia fatta male, dove l'asino ruba al bue ed il fisco ad ambedue.


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Per quel che vale, Auguri di Buon Natale!
Buon Natale a tutti coloro che qui vengono e auguri anche a te , amico mio ,anche se non sò chi sei.


Cher


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Messaggio modificato il: 24-12-2011 alle 12:34 da Cher.

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