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[OT] Attualità e Cultura
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Cher
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RE:   [OT] Attualità e Cultura

mi.greco ha Scritto:




Non capisco perchè tu parli sempre per bocca degli altri.
E' mai posssibile che il tuo Vangelo si chiami "Il Giornale?"
Stiamo perdendo tempo a commentare opinioni abbastanza scontate e spesso gratuite.
Quello che dice Veneziani è scontato e d'opinione comune; una ripezione inute in un momento in cui è più opportuno fare azioni e proposte concrete.
Anch'io, credo, se continuo a partecipare al "gioco" apparirò ripetitivo e lamentoso.
Se hai proposte da fare, falle, anche se chi dovesse leggerle potrebbe non avere quel potere necessario per considerarle e, eventualmente, adottarle o farle adottare.
Sono stanco di queste masturbazioni mentali che portano assenso e gloria solo al nostro inappagabile ed affamato io.

Michele Greco



Sono onorato di questa tua considerazione, putroppo non sono in grado di esprimere le mie idee per semplice incapacità comunicativa, meglio ,mi avvalgo del motto " meglio stare zitti che dire fesserie"
Però mi informo, leggo e ragiono sui punti di vista di autorevoli menti, solo per cercare di comprendere.
In questo link ci sono tutti i ragionamenti sviscerati sulle problematice nostrane -----> http://noisefromamerika.org/sezione/ex-kathedra
Basta leggere oppure guardarsi il video delle conferenza......

Umilmente
Cher


Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.



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RE: [OT] Attualità e Cultura

Una riflesione culturale sulla "storia", di seguito il pensiero di Veneziani:

La storia "ufficiale" ha ucciso la Storia



di Marcello Veneziani - 26 marzo 2012, 08:44


Ma com’è che in Italia la storia è sparita? Non mi riferisco alla fine della storia, secondo il noto tormentone di Francis Fukuyama. Dico proprio l’interesse per la storia, per i testi storici, per la storiografia e i suoi più controversi capitoli.
C’è un calo vistoso, tra l’amnesia, la nausea e la sazietà. Avevamo tanti difetti, noi italiani, e non siamo mai stati gran lettori, ma la passione storica ci coinvolgeva, anche perché si esercitavano le tifoserie retrospettive.

C’erano riviste storiche che andavano forte, da Historia a Storia Illustrata, i settimanali d’opinione vendevano di più quando avevano in copertina personaggi e inchieste storiche (non vi dico col duce); la storia divulgativa, sulla scia di Indro Montanelli (con Mario Cervi), andava alla grande, tra Massimo Grillandi e Antonio Spinosa, Giorgio Bocca e Giorgio Pisanò, Mario Tedeschi, Roberto Gervaso e Franco Bandini, Antonino Trizzino e Gigi Romersa, Carlo de Biase e Adriano Bolzoni, e tanti altri; e perfino la storiografia accademica, tra Renzo De Felice e Rosario Romeo, ma anche a sinistra, con Paolo Spriano, Beppe Vacca, Nicola Tranfaglia e altri, faceva opinione e creava interesse.

E non mancavano memoriali e contro-memoriali, una fiorente pubblicistica di testimonianza e di nicchia che alimentava ambienti culturali e politici. Da tempo, invece, si è spento o affievolito l’interesse per la storia.
Il comunismo è sparito come se mai fosse esistito e si occultano con fastidio opere e ricerche che riportano alla luce i suoi crimini e misfatti. Il fascismo è ridotto al nazismo e identificato con il razzismo; tutto si riduce al lager. Del resto della storia non si vede neanche l’ombra, salvo la fiammata critica sul risorgimento come contropelo padano e terrone dei 150 anni d’Unità. Ogni avvenimento del passato viene sottratto al giudizio storico e perfino ideologico, per entrare piuttosto nel pregiudizio emozionale, sempre sommario.
La stessa cosa vale in positivo, l’iconografia trionfante di Che Guevara è uscita dalla storia per entrare nella fiction, è una pura immagine decontestualizzata e deideologizzata; un top model della rivoluzione, un look accattivante da imitare. La stessa cosa avviene col diffuso fascio web, gesti e simboli destoricizzati. Di tutta l’altra storia non si vede l’ombra. È declinato anche l’interesse verso alcune epoche storiche come il Medio Evo che aveva un pubblico vasto e appassionato. La memoria è passata dalla storia alla morale e il giudizio storico tocca ai tribunali che possono punire alcuni revisionismi ritenuti indecenti. Quando si parla di radici del presente l’orizzonte viene ridotto all’agiografia della Costituzione; il resto è preistoria.
Se la politica interessa sempre meno o si riduce a una questione di abusi e di sprechi, se la passione civile manca, è anche perché non c’è più vita sul pianeta storia. Certo, si potrebbe anche dire l’inverso, che l’anoressia politica produce inappetenza di storia. Ma un fenomeno non spiega l’altro, semmai ciascuno rafforza l’altro. La politica spegne la storia, la non-storia spegne la politica.
Ma da cos’altro dipende questo declino della storia nell’interesse pubblico? La motivazione più ricorrente, ormai divenuta quasi ovvia, è «la dittatura del presente» o «il totalitarismo del web» che ci immette in un gossip globale ed estemporaneo che si fa «chiacchiere e distintivi» senza alcun approfondimento, alcuna retrospettiva, alcuna ricerca dei presupposti e dei precedenti.

Ma credo che qualche responsabilità l’abbia anche la «storiografia ufficiale», un’espressione che mette scuorno a Giuseppe Galasso, autorevole storico ufficiale che è tornato a risentirsi di ciò nella cerimonia ufficiale al Quirinale dello scorso 17 marzo. La storiografia ufficiale è quella accademica che vigila sul Canone e sulla sua osservanza, che non riconosce la funzione revisionista della storia e disconosce ciò che esula dal suo cono di luce; ammette la ricerca nel dettaglio a patto che consolidi il Giudizio e non lo smentisca. Abbiamo dovuto aspettare gli storici divulgatori e giornalisti, come Giampaolo Pansa e Pino Aprile, Gianni Oliva e Arrigo Petacco, Paolo Mieli e Giordano Bruno Guerri e altri, per sapere qualcosa di più e finora di non detto, non riconosciuto, sulla guerra partigiana e gli eccidi del dopoguerra, la storia d’Italia e la conquista del sud; le foibe e i regimi comunisti, su alcune biografie, sul caso Mattei o sulle pagine nere della nostra repubblica.

La storiografia ufficiale si è distratta su questi temi, non ha raccontato i lati in ombra, si è limitata a certificare la verità consolidata, a confermare il canone. Ha responsabilità non lievi se la coscienza storica si è narcotizzata.
Naturalmente non mancano storici rispettabili e opere di spessore. Mi sovvengono alcuni nomi ma mi trattengo dal farli per non dimenticarne altri. Né va dimenticato il ruolo di alcuni che si sporgono fuori dagli atenei e hanno visibilità in ambiti più legati all’attualità, ai media, alla politica che alla storiografia: da Galli della Loggia a Giovanni Sabbatucci, da Lucio Villari a Luciano Canfora, da Franco Cardini a Francesco Perfetti.
Ma c’è un altro aspetto che non va trascurato e riguarda il metodo e lo stile. Diceva Gioacchino Volpe, ispirandosi a Labriola, che la storia per essere credibile e appetibile, dev’essere «scienza del procedimento e arte della narrazione», ovvero da un lato rigorosa ricerca che ricostruisce come sono andate le cose e dall’altro capacità di raccontarle, di coinvolgere il lettore.

De Felice, ad esempio, era dotato della prima ma non della seconda, come notava Montanelli (a cui forse si poteva rimproverare l’inverso, ma lui non pretendeva di scrivere testi scientifici). Volpe, che fu accademico ma in origine anche giornalista, anzi correttore, era dotato di ambedue.

Temo che oggi la «storiografia ufficiale», con rispettabili eccezioni, faccia esattamente il contrario: la narrazione si fa paludata, farraginosa e noiosa, come un trattato scientifico, e il procedimento, cioè il metodo storico si fa artificioso, se non artefatto, perché sottomesso a omissis, pregiudizi e dogmi indiscutibili.

Il risultato è un indigesto cumulo di ovvietà ma corredate da un sontuoso apparato di note. Tanto condimento per pietanze così scarse.


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RE:  [OT] Attualità e Cultura

Cher ha Scritto:

Una riflesione culturale sulla "storia", di seguito il pensiero di Veneziani:

La storia "ufficiale" ha ucciso la Storia



di Marcello Veneziani - 26 marzo 2012, 08:44


Ma com’è che in Italia la storia è sparita? Non mi riferisco alla fine della storia, secondo il noto tormentone di Francis Fukuyama. Dico proprio l’interesse per la storia, per i testi storici, per la storiografia e i suoi più controversi capitoli.
C’è un calo vistoso, tra l’amnesia, la nausea e la sazietà. Avevamo tanti difetti, noi italiani, e non siamo mai stati gran lettori, ma la passione storica ci coinvolgeva, anche perché si esercitavano le tifoserie retrospettive.

C’erano riviste storiche che andavano forte, da Historia a Storia Illustrata, i settimanali d’opinione vendevano di più quando avevano in copertina personaggi e inchieste storiche (non vi dico col duce); la storia divulgativa, sulla scia di Indro Montanelli (con Mario Cervi), andava alla grande, tra Massimo Grillandi e Antonio Spinosa, Giorgio Bocca e Giorgio Pisanò, Mario Tedeschi, Roberto Gervaso e Franco Bandini, Antonino Trizzino e Gigi Romersa, Carlo de Biase e Adriano Bolzoni, e tanti altri; e perfino la storiografia accademica, tra Renzo De Felice e Rosario Romeo, ma anche a sinistra, con Paolo Spriano, Beppe Vacca, Nicola Tranfaglia e altri, faceva opinione e creava interesse.

E non mancavano memoriali e contro-memoriali, una fiorente pubblicistica di testimonianza e di nicchia che alimentava ambienti culturali e politici. Da tempo, invece, si è spento o affievolito l’interesse per la storia.
Il comunismo è sparito come se mai fosse esistito e si occultano con fastidio opere e ricerche che riportano alla luce i suoi crimini e misfatti. Il fascismo è ridotto al nazismo e identificato con il razzismo; tutto si riduce al lager. Del resto della storia non si vede neanche l’ombra, salvo la fiammata critica sul risorgimento come contropelo padano e terrone dei 150 anni d’Unità. Ogni avvenimento del passato viene sottratto al giudizio storico e perfino ideologico, per entrare piuttosto nel pregiudizio emozionale, sempre sommario.
La stessa cosa vale in positivo, l’iconografia trionfante di Che Guevara è uscita dalla storia per entrare nella fiction, è una pura immagine decontestualizzata e deideologizzata; un top model della rivoluzione, un look accattivante da imitare. La stessa cosa avviene col diffuso fascio web, gesti e simboli destoricizzati. Di tutta l’altra storia non si vede l’ombra. È declinato anche l’interesse verso alcune epoche storiche come il Medio Evo che aveva un pubblico vasto e appassionato. La memoria è passata dalla storia alla morale e il giudizio storico tocca ai tribunali che possono punire alcuni revisionismi ritenuti indecenti. Quando si parla di radici del presente l’orizzonte viene ridotto all’agiografia della Costituzione; il resto è preistoria.
Se la politica interessa sempre meno o si riduce a una questione di abusi e di sprechi, se la passione civile manca, è anche perché non c’è più vita sul pianeta storia. Certo, si potrebbe anche dire l’inverso, che l’anoressia politica produce inappetenza di storia. Ma un fenomeno non spiega l’altro, semmai ciascuno rafforza l’altro. La politica spegne la storia, la non-storia spegne la politica.
Ma da cos’altro dipende questo declino della storia nell’interesse pubblico? La motivazione più ricorrente, ormai divenuta quasi ovvia, è «la dittatura del presente» o «il totalitarismo del web» che ci immette in un gossip globale ed estemporaneo che si fa «chiacchiere e distintivi» senza alcun approfondimento, alcuna retrospettiva, alcuna ricerca dei presupposti e dei precedenti.

Ma credo che qualche responsabilità l’abbia anche la «storiografia ufficiale», un’espressione che mette scuorno a Giuseppe Galasso, autorevole storico ufficiale che è tornato a risentirsi di ciò nella cerimonia ufficiale al Quirinale dello scorso 17 marzo. La storiografia ufficiale è quella accademica che vigila sul Canone e sulla sua osservanza, che non riconosce la funzione revisionista della storia e disconosce ciò che esula dal suo cono di luce; ammette la ricerca nel dettaglio a patto che consolidi il Giudizio e non lo smentisca. Abbiamo dovuto aspettare gli storici divulgatori e giornalisti, come Giampaolo Pansa e Pino Aprile, Gianni Oliva e Arrigo Petacco, Paolo Mieli e Giordano Bruno Guerri e altri, per sapere qualcosa di più e finora di non detto, non riconosciuto, sulla guerra partigiana e gli eccidi del dopoguerra, la storia d’Italia e la conquista del sud; le foibe e i regimi comunisti, su alcune biografie, sul caso Mattei o sulle pagine nere della nostra repubblica.

La storiografia ufficiale si è distratta su questi temi, non ha raccontato i lati in ombra, si è limitata a certificare la verità consolidata, a confermare il canone. Ha responsabilità non lievi se la coscienza storica si è narcotizzata.
Naturalmente non mancano storici rispettabili e opere di spessore. Mi sovvengono alcuni nomi ma mi trattengo dal farli per non dimenticarne altri. Né va dimenticato il ruolo di alcuni che si sporgono fuori dagli atenei e hanno visibilità in ambiti più legati all’attualità, ai media, alla politica che alla storiografia: da Galli della Loggia a Giovanni Sabbatucci, da Lucio Villari a Luciano Canfora, da Franco Cardini a Francesco Perfetti.
Ma c’è un altro aspetto che non va trascurato e riguarda il metodo e lo stile. Diceva Gioacchino Volpe, ispirandosi a Labriola, che la storia per essere credibile e appetibile, dev’essere «scienza del procedimento e arte della narrazione», ovvero da un lato rigorosa ricerca che ricostruisce come sono andate le cose e dall’altro capacità di raccontarle, di coinvolgere il lettore.

De Felice, ad esempio, era dotato della prima ma non della seconda, come notava Montanelli (a cui forse si poteva rimproverare l’inverso, ma lui non pretendeva di scrivere testi scientifici). Volpe, che fu accademico ma in origine anche giornalista, anzi correttore, era dotato di ambedue.

Temo che oggi la «storiografia ufficiale», con rispettabili eccezioni, faccia esattamente il contrario: la narrazione si fa paludata, farraginosa e noiosa, come un trattato scientifico, e il procedimento, cioè il metodo storico si fa artificioso, se non artefatto, perché sottomesso a omissis, pregiudizi e dogmi indiscutibili.

Il risultato è un indigesto cumulo di ovvietà ma corredate da un sontuoso apparato di note. Tanto condimento per pietanze così scarse.






Le solite menate, le solite scontate nostalgie, di "abitudini" di studio che, probabilmente non erano nemmeno sue.
Di che parla Veneziani? Parla della "storia" propria o impropria, della sua storia o della storia? Personalmente userei la storia al plurale: Le Storie.
L'amore per la storia è un po' l'amore e la ricerca della propria identità. Forse sono un eretico e, se a qualcuno fa comodo, un ignorante.
Troppi nomi citati, troppi storici, poche attendibili verità poste ad una sicura smentita, forse di parte, forse "assolutamente" e "scientificamente" veritiera.
La nostra storia, oggi, ancora oggi, si presta ad essere interpretata e si riduce a quelle manifestazioni di "Giorno della memoria"; giorni da non dimenticare perchè si è coscienti che non c'è più spazio in quell'angolo della nostra memoria-coscienza e, che poi, l'uomo ha bisogno di dimenticare per non piangersi addosso giorno dopo giorno.
Io credo che è necessario guardare in se stessi perchè noi siamo la storia! Siamo la sintesi, l'elaborazione genetica dell'uomo.
Mi preoccupererei, se fossi Veneziani, di esaminare nel suo insieme la smemoratezza dell'uomo d'oggi difronte a tutto ciò che è stato e che sarebbe potuto essere, non solo nel rispetto delle proprie origini, quindi della storia o delle storie che si vogliano, quanto anche nel rispetto della propria cultura, della propria umanità, della propria arrogante appartenenza ad un sistema di vita che si vuole quotidianamente cambiare a danno di quant'altro viva.

Michele Greco

26-03-2012 15:36
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RE: [OT] Attualità e Cultura



http://www.ilgiornale.it/interni/regioni...comments=1

Regioni fannullone e consiglieri d’oro da 82 euro al minuto


di Stefano Zurlo - 29 marzo 2012, 08:00

Cinque volte. Per un totale di 9 ore e 5 minuti. Proprio non si può dire che i 61 consiglieri campani si siano affaticati sulle loro pregiate poltrone.

Nove ore e spiccioli di discussioni nel periodo compreso fra il 1 gennaio e il 25 marzo è un bilancio davvero striminzito. Ma se si va a monetizzare la fatica, allora si scopre che ogni minuto è stato ricompensato in modo principesco: calcolando uno stipendio, sia pure lordo, di 15.448 euro, 60 secondi valgono la bellezza di 82 euro. Che diventano 4.911 l’ora. Meglio di re Mida. E non è per spingere il vento dell’antipolitica che rischia di travolgere tutto e tutti, ma l’indagine di Panorama, oggi in edicola, ci consegna davvero una fotografia poco edificante delle assemblee regionali, su e giù per la penisola. I consiglieri del Trentino-Alto Adige si sono ritrovati, nei soliti primi tre mesi dell’anno, solo quattro volte e hanno approvato una sola legge: «Il rendiconto generale dell’esercizio finanziario 2010».

Per carità, tutti sanno che il Trentino-Alto Adige è una regione fantasma, perché il potere, forgiato nell’acciaio dell’autonomia speciale, è diviso fra le due province di Trento e Bolzano. Benissimo: però i 70 consiglieri dell’ente che non c’è portano a casa 13.605 euro mensili. Poteva pure andare peggio. E non se la passano male nemmeno i 60 piemontesi. Pure la loro produttività non è che brilli: è vero che si sono visti ben 11 volte, con ritmi giapponesi rispetto al metronomo, fermo a 5 colpi, del Molise, della Puglia, dell’Umbria, della Calabria e dell’Emilia-Romagna, ma in quegli incontri hanno approvato solo due leggi. Insomma, comunque la si misuri, col metro della quantità o con quello della qualità, presunta, la politica in formato capoluogo lascia a desiderare. Su tutto ma non sulla remunerazione: i piemontesi incassano 11.355 euro a testa.

Tanto, ma poco se lo si paragona con quello dei pugliesi, che fra l’altro formano una delle assemblee più affollate con ben 70 consiglieri: 15.994 euro. E ancora più impressionanti sono i numeri dei sardi. Hanno un consiglio folto come una foresta, con 80 membri, e una retribuzione che si commenta da sola: 16.334 euro. Che dire? Almeno, dal 1 gennaio al 25 marzo, si sono riuniti 18 volte. L’altra isola, pure fortificata dentro le mura invalicabili dell’autonomia, fa anche peggio: il parlamentari siciliani sono 90, quasi quanto i senatori Usa, e ciascuno guadagna, in barba alla sobrietà, 20.730 euro.

C’è poi il capitolo commissioni e pure qui sprechi e paradossi non si contano. In Umbria, ad esempio, viaggia su un binario quasi morto quella nata per combattere le «infiltrazioni mafiose»: si è riunita una volta una. Due volte ha dato segni di vita la commissione del Veneto dedicata con una certa megalomania alle relazioni internazionali; sconfortante poi il caso della commissione per le Olimpiadi della regione Lazio. Il governo Monti ha bocciato la candidatura della Capitale, ma l’organismo è ancora in vita. E sarà difficile far giungere ai suoi componenti la ferale notizia che Roma non è più in gara.

In compenso, secondo la denuncia dei consiglieri radicali Rocco Berardo e Giuseppe Rossodivita, l’ormai sorpassato consesso è costato al contribuente ben 200mila euro. Comprensibile che i consiglieri facciano di tutto per non segare la pianta su cui sono comodamente appollaiati. Tutti avevano promesso riduzioni e tagli.

Ma nella maggior parte dei casi le forbici sono rimaste in un cassetto.


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Lombardia cantone elvetico? Boom di "sì" per la petizione


di Lucio Di Marzo - 29 marzo 2012, 15:47

Quasi ottomila firme e la promessa di arrivare a quota 500mila per poi chiedere un referendum al governo italiano. L'oggetto del contendere è l'annessione della Lombardia alla Svizzera, una proposta che si fa strada sul web, attraverso le pagine di petizionionline.it e che nonostante sia fondamentalmente una boutade accoglie i consensi di un buon numero di persone.

Consensi che, è da dire, vanno però calibrati. "Muovere la gente" sul web è di certo notevolmente più facile che coinvolgerla sul campo. E la proposta, che pure fa pensare, rimarrà quasi certamente solo sulla carta.

L'idea di chiedere all'Italia un referendum che decida se far rimanere la Regione all'interno del Paese o farla migrare tra i cantoni svizzeri è di fatto impraticabile. È essenzialmente una sparata. E non si sa molto neppure sull'autore. Neppure negli ambienti più vicini alla Lega Nord, quelli da cui qualcuno suppone venga la proposta, che non è firmata.

A dare il là alla curiosa petizione una recente dichiarazione di Ueli Maurer, ministro della Difesa svizzero, che avrebbe affermato che "annettere la Lombardia non sarebbe un problema, dato che rappresenta circa il 90 per cento del totale di tutti gli scambi commerciali" svizzeri.

L'anonimo autore della petizione  elenca una serie di vantaggi che verrebbero dall'annessione. Che vanno dall'adozione del franco svizzero, alla diminuzione dei tassi d'inflazione, a minori pedaggi autostradali. Senza che questo comporti il dover cambiare lingua o tradizioni. La petizione invita anche a notare che la Lombardia diventerebbe un cantone di un paese efficiente e all'avanguardia, neutrale e fuori dall'area di influenza della Ue tanto quanto degli Stati Uniti.



http://www.tio.ch/Ticino/Attualita/News/...-Lombardia


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Messaggio modificato il: 29-03-2012 alle 17:42 da Cher.

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RE:  [OT] Attualità e Cultura

Cher ha Scritto:



Lombardia cantone elvetico? Boom di "sì" per la petizione


di Lucio Di Marzo - 29 marzo 2012, 15:47

Quasi ottomila firme e la promessa di arrivare a quota 500mila per poi chiedere un referendum al governo italiano. L'oggetto del contendere è l'annessione della Lombardia alla Svizzera, una proposta che si fa strada sul web, attraverso le pagine di petizionionline.it e che nonostante sia fondamentalmente una boutade accoglie i consensi di un buon numero di persone.

Consensi che, è da dire, vanno però calibrati. "Muovere la gente" sul web è di certo notevolmente più facile che coinvolgerla sul campo. E la proposta, che pure fa pensare, rimarrà quasi certamente solo sulla carta.

L'idea di chiedere all'Italia un referendum che decida se far rimanere la Regione all'interno del Paese o farla migrare tra i cantoni svizzeri è di fatto impraticabile. È essenzialmente una sparata. E non si sa molto neppure sull'autore. Neppure negli ambienti più vicini alla Lega Nord, quelli da cui qualcuno suppone venga la proposta, che non è firmata.

A dare il là alla curiosa petizione una recente dichiarazione di Ueli Maurer, ministro della Difesa svizzero, che avrebbe affermato che "annettere la Lombardia non sarebbe un problema, dato che rappresenta circa il 90 per cento del totale di tutti gli scambi commerciali" svizzeri.

L'anonimo autore della petizione  elenca una serie di vantaggi che verrebbero dall'annessione. Che vanno dall'adozione del franco svizzero, alla diminuzione dei tassi d'inflazione, a minori pedaggi autostradali. Senza che questo comporti il dover cambiare lingua o tradizioni. La petizione invita anche a notare che la Lombardia diventerebbe un cantone di un paese efficiente e all'avanguardia, neutrale e fuori dall'area di influenza della Ue tanto quanto degli Stati Uniti.



http://www.tio.ch/Ticino/Attualita/News/...-Lombardia






Sembra che anche gli svizzeri abbiano delle idee!
A sentire Lucio Di Marzo, oggi che siamo in Aprile, tutto è possibile, in particolar modo oggi che sono terminati i festeggiamenti dell'Unità d'Italia. Peccato che la proposta sia "avanzata" in anonimato. Tantovale che si proponga noi di annettere la Svizzera all'Italia sottoscrivendo la proposta anzicchè avanzarla in anonimato.
Storicamente, in un passato più o meno recente, il Piemonte e la Lombardia appartenevano alla Francia, Il Veneto ed il Trentino all'Austria; come il trascorrere del tempo dimostra, le cose sono cambiate ed è del tutto improbabile che la Lombardia possa essere annessa alla Svizzera quando l'intera Italia ormai appartiene alla Germania.
Comunque, Di Marzo, poteva risparmiarsi questa cazzata e tu, caro Cher a segnalarla.

Michele Greco

30-03-2012 12:07
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RE:   [OT] Attualità e Cultura



Immagino che questo avatar passi innoservato, il cui scopo è semplicemente quello di ancipare o la "cazzata" o "la miseria"  in cui l' Italia si è ridotta.......
Durante il regime comunista nella DDR girava una barzella dedicata al regime, ripensandoci potrebbe essere riciclata all'Italia in questo periodo.

esempio di miseria,visto che la "cazzata" è già stata diffusa:

ITALIANI STROZZATI DALLE TASSE
Un benzinaio si incatena davanti a Equitalia
Dopo i roghi umani, un altro gesto dimostrativo: a Treviso un uomo si è "crocifisso". L'urlo degli artigiani: "Siamo al collasso". Sale lo spread, recessione tutto l'anno. Nordest al tracollo: cresce solo un'impresa su 10


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Messaggio modificato il: 30-03-2012 alle 13:12 da Cher.

30-03-2012 12:24
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Cher ha Scritto:




Immagino che questo avatar passi innoservato, il cui scopo è semplicemente quello di ancipare o la "cazzata" o "la miseria"  in cui l' Italia si è ridotta.......
Durante il regime comunista nella DDR girava una barzella dedicata al regime, ripensandoci potrebbe essere riciclata all'Italia in questo periodo.






Non so se sia consolante pensare che poi in questa miseria siamo in buona compagnia.
Portogallo, Spagna, Grecia "solidarizzano" con noi; i paesi più belli del Mediterraneo (considero il Portogallo un paese mediterraneo pur affacciandosi sull'oceano) per non parlare dell'Irlanda che appartiene ad un altro "gioco" speculativo che comunque lo indica quale appetitosa preda.
Chi per un verso, chi per un altro, vuole godere del sole, del mare e della ricchezza artistica di questi paesi come se fosse a casa propria; quindi un po' di Germania e di Francia per citare i più voraci, disseminati lungo le coste dei nostri mari, una volta "mare nostrum", e ciò per l'inefficienza e l'inettitudine delle nostre amministrazioni.
Deridererei che i miei concittadini possano oggi avere coscienza sufficiente per rendersi conto che è ora di finirla, che è arrivato il momento di cambiare i "ruoli" in questa Europa che, pare, non abbia nessuna intenzione d'essere unita e che le ragioni d'ogni singolo paese, in un modo, o nell'altro, sovrastino le ragioni d'una unione o di una collettività di pari diritto.
A mio avviso ogni aiuto che l'Unione europea dà ad un proprio paese bisognoso, appare come un acquito, una pesante ipoteca, un "illegittimo furto".

Michele Greco

30-03-2012 13:17
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RE: [OT] Attualità e Cultura

Da altre fonti (credibili?) ho appreso che Mario Monti si stia preparando ad una sua eventuale candidatura alle elezioni del 2013.
Fonderà un suo partito?
Certo è che la notizia in sè non mi stupisce più di quanto mi incuriosisca.
Quali potrebbero essere i "riversamenti" e le alleanze?
Certo che dovrà dimenticare i voti dei lavoratori per il famigerato articolo 18 e sicuramente quelli d'un probabile centro sinistra in chiaro, anche se non plateale, disaccordo, per non parlare dei pensionati e del grande mondo di evasori.
Credete che Berlusconi e Casini resteranno a guardare questo travaso elettorale a loro danno?
Personalmente avrei visto Mario Monti prossimo Presidente della Repubblica ed il comporsi d'un governo misto che unisca competenze politiche con quelle tecniche; addirittura, per assurdo, con doppi ministri affiancati, gli uni politici, gli altri tecnici.
Il mio pensiero digiuna di competenze specifiche e di giochi di potere per cui lo ritengo ingenuo ed utopico.

Michele Greco

30-03-2012 18:16
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Cher
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RE: [OT] Attualità e Cultura

http://blog.ilgiornale.it/foa/2012/03/26...di-sapere/


Questo è un post brevissimo, per unirmi ai pochissimi che chiedono chiarimenti su una delle notizie più importanti delle ultime settimane, ma passata sotto traccia. Ben pochi l’hanno trattata e quasi mai in prima pagina. Trattasi dei 2,6 miliardi di euro pagati dallo Stato italiano per chiudere una posizione aperta su un derivato. Un economista del calibro di Alessandro Penati ha sollevato il problema l’altro giorno (leggi qui), ora Il Fatto Quotidiano rivela che quando fu firmato quel contratto, nel 1994, Mario Draghi era direttore generale del Tesoro. Chi legge Il cuore del mondo non si sorprenderà: è noto che Draghi, oggi rispettatissimo custode della Banca centrale europea, ha saputo stabilire ottime relazioni con certe banche d’affari newyorchesi e non a caso è stato anche vicepresidente di Goldman Sachs.

Scandaloso è che ancora oggi non si sappia a quanto ammonti l’esposizione dell’Italia sul mercato dei derivati.Ma tutto torna: il ruolo di Draghi, di un certo mondo finanziario e, naturalmente, il silenzio di Mario Monti. Strano governo quello guidato del Professore: implacabile fustigatore del malcostume nazionale, con qualche notevole eccezione, di tanto in tanto appare affetto da improvvisa amnesia…

E qui non si parla di scandali da poche centinaia di migliaia di euro e nemmeno di milioni, non di squallide tangenti, ma di affari da miliardi di euro, forse addirittura 160 miliardi. Dicasi 160.

Abbiamo o no, il diritto di sapere?



http://www.repubblica.it/economia/2012/0...-31765159/

MILANO - Prima notizia: lo Stato italiano ha dovuto pagare 2,6 miliardi di euro alla banca d'affari americana Morgan Stanley per coprire la perdita su un derivato di cui non si conosceva l'esistenza.
Seconda notizia: lo abbiamo appreso avant'ieri da un'agenzia americana, Bloomberg, che lo ha scoperto dai bilanci della banca.
Terza: Il Sole-24Ore non se n'è accorto (per amor di buoni rapporti con il Governo in questo momento?).
Quarta: Repubblica e Corriere hanno ripreso l'articolo di Bloomberg, ma il Corriere è riuscito a infarcire di errori e inesattezze un titolo già criptico: "XX Settembre: meno oneroso chiudere i contratti che rinnovarli. Il Tesoro esce dei derivati anni '90". Voglia di minimizzare?

Secondo Bloomberg, chiudere i contratti non è stata una decisione del Tesoro, ma di Morgan Stanley, in virtù di una clausola (Termination clause) che tipicamente dà diritto a chiudere una posizione se la perdita della controparte, in questo caso l'Italia, eccede le garanzie e i margini stabiliti. Significa anche che, senza questa clausola, la perdita dello Stato sarebbe rimasta occulta. Una perdita poi, è una perdita. Se compro un titolo a 10 euro, e poi crolla a 6, venderlo non è "meno oneroso" di tenerlo, "rinnovandolo": ho sempre perso 4 euro. Né importa se ho acquistato il titolo nel 2010 o "negli anni '90": continuo ad aver perso 4 euro. Dare l'impressione che questo derivato sia un retaggio
del passato è ingannevole: il Tesoro ha consapevolmente deciso di tenerlo in portafoglio fino a ieri


Nell'analisi dei bilanci vale il principio dello scarafaggio: se ne vedi uno, ce ne sono molti. Il Tesoro dovrebbe essere obbligato a pubblicare tempestivamente e regolarmente (ogni tre mesi, come le società quotate) la posizione in derivati dello Stato ai prezzi di mercato (mark-to-market), cioè ai prezzi ai quali le banche sarebbero disposte a chiudere le posizioni; non certo sulla base di valutazioni interne (mark-to-model). Bisognerebbe sapere se, come stima Bloomberg, le perdite nette dello Stato in derivati ammontino veramente a 24 miliardi di euro (presumo a prezzi di mercato): sarebbe un punto e mezzo di Pil. Ed è debito pubblico sommerso.

L'informativa sulla posizione in derivati dovrebbe essere estesa a tutte le amministrazione pubbliche, vista la storia dei danni che i derivati hanno fatto agli enti locali. Perfino l'indagine di due anni fa della Banca d'Italia, peraltro occasionale, fatta a seguito dei vari scandali scoppiati nella Penisola, si limitava a censire i derivati con banche residenti in Italia. Ma è noto che il Tesoro, come altre entità pubbliche, operano direttamente con controparti estere, senza passare per eventuali filiali italiane. Dunque, era una foto, peraltro ingiallita, che riprendeva solo la punta dell'iceberg.

Il Tesoro dovrebbe comunicare regolarmente anche il rischio controparte e la sua concentrazione. In questo caso lo Stato Italiano ha perso la scommessa; ma se l'avesse vinta, come poteva essere certo che Morgan Stanley avrebbe avuto i soldi per pagarla? Questo è il rischio controparte. Ed è enorme: oggi, non più di sette banche controllano il mercato mondiale dei derivati over-the-counter (negoziati direttamente e non in un mercato regolamentato). Per questa ragione, dopo Lehman, è diventata buona prassi esigere il versamento bilaterale dei margini: chi potrebbe subire una perdita per la variazione di valore del derivato, non importa se la banca o il cliente, versa alla controparte un deposito a garanzia. Quale è la politica del Tesoro?

Credo che i cittadini italiani abbiano il diritto di sapere quale sia complessivamente l'esposizione in derivati dello Stato, e con quali banche; soprattutto perché ognuno di noi si accolla 32.500 euro di debito pubblico.

La trasparenza è il primo passo. Il secondo dovrebbe essere la liquidazione di tutte le posizioni in derivati dello Stato. I derivati non vanno demonizzati: sono strumenti utilissimi per la gestione del rischio. Non sono loro a causare guasti, ma il loro abuso: i farmaci sono utili, anche se qualcuno li usa per suicidarsi e per doparsi. Si potrebbe argomentare che se lo Stato ha perso la scommessa è perché i tassi a lunga sono scesi; pertanto la perdita sul derivato implica che il Tesoro ha pagato meno interessi sui Btp. Quindi era una buona copertura del rischio: se avesse pagato di più perché i tassi erano saliti, avrebbe guadagnato sul derivato. Corretto, se lo Stato fosse un privato.

Ma lo Stato non è un privato. Chi, con quali diritti e responsabilità, sulla base di quali considerazioni, e con quali limiti di rischio, ha il potere di "scommettere" volumi ingenti di denaro dei cittadini? Nel settore privato, alla fine, gli azionisti guadagnano o perdono: per questo assegnano precise responsabilità e limiti di rischio, verificano che siano rispettati, e sanzionano chi li prevarica. Regole contabili e regolamentazione assicurano poi che anche i terzi siano informati dei rischi. Ma per uno Stato tutto questo non vale. Per questo dico sì ai derivati; ma no a quelli di Stato.
(18 marzo 2012) © RIPRODUZIONE RISERVATA*

*Toungue









Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.



Cher03@hotmail.it

Messaggio modificato il: 31-03-2012 alle 14:25 da Cher.

31-03-2012 14:20
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