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[OT] Discussione in libertà (Piazzetta)
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RE: [OT] Discussione in libertà (Piazzetta)

Un film contro l'Islam fa scoppiare la rivolta Attaccato il consolato Usa
Il consolato di Bengasi preso d'assalto da alcuni musulmani infuriati per il film prodotto da un gruppo di copti residenti negli Stati Uniti. Ucciso un funzionario americano
Luca Romano - Mer, 12/09/2012 - 09:13

Un film considerato blasfemo e offensivo contro l'Islam ha scatenato l'inferno.

Un folto gruppo di persone ha messo a ferro e fuoco il consolato americano a Bengasi, in Libia. Testimoni hanno riferito che uomini armati hanno esploso spari in aria, bruciando gran parte dell'edificio.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la pellicola prodotta da un gruppo di copti residenti negli Stati Uniti. Un trailer del film che ha scatenato la rivolta sarebbe stato pubblicato su YouTube. La pellicola ha come protagonista il profeta Maometto (per i musulmani è vietato ritrarre o disegnare il profeta), il quale viene descritto come un truffatore, un dongiovanni e viene ritratto mentre fa sesso e istiga al massacro.

Nell'attacco, un funzionario americano è stato ucciso e un altro ferito e l'edificio sarebbe stato saccheggiato. Nella giornata di ieri, si era levata un'altra protesta contro il film, questa volta al Cairo dove alcuni manifestanti sono riusciti a tirare giù la bandiera a stelle e strisce dall'ambasciata americana e a sostituirla con un vessillo inneggiante ad Allah.

La notizia dell'uccisione del funzionario degli Stati Uniti a Bengasi è stata confermata dal segretario di Stato americano, Hillary Clinton, in una nota diffusa nella notte. La Clinton ha condannato l'attacco invitando il presidente libico a coordinare un'azione di sostegno aggiuntiva per proteggere gli americani in Libia. Il segretario di Stato Usa ha aggiunto che deplora qualsiasi sforzo internazionale di denigrare il credo religioso di altri.Intanto, il regista israeliano autore del film si è nascosto in un luogo segreto. Parlando al telefono con l’agenzia Associated Press da una località sconosciuta, il regista Sam Bacile ha ripetuto che "l’islam è un cancro" e che il suo film è una provocazione politica di condanna alla religione musulmana.


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RE: [OT] Discussione in libertà (Piazzetta)

Un'italiana fa causa alla Cia «È mia la taglia su Bin Laden»
Una scrittrice ciociara, ex spia, cita il Dipartimento di Stato Usa e il Viminale. Nel 2010 scrisse agli 007 americani: "Osama si trova ad Abbottabad, in Pakistan"
Gian Marco Chiocci - Mer, 12/09/2012 - 07:11

Mera coincidenza, gran culo o soffiata straordinaria? Una delle tre, non si scappa. Undici anni fa, l'11 settembre 2001, la Storia virava bruscamente insieme agli aerei dirottati dai terroristi per schiantarsi contro le Torri Gemelle. Dodici mesi addietro, Osama Bin Laden veniva freddato in un blitz delle teste di cuoio Usa in Pakistan e sepolto in mare nel più assoluto segreto. Oggi il Dipartimento di Stato americano e il ministero dell'Interno sono stati citati in giudizio davanti al tribunale di Roma chi, prima nel 2003, e poi direttamente alla Cia nel 2010 (otto mesi prima del blitz dei Neavy Seals) fornì una notizia che si rivelerà esplosiva perché indicava il rifugio segreto dove il capo di Al Qaeda troverà poi la morte. Una spiata che venne evidentemente sottovaluta (insabbiata o utilizzata) e sulla quale ora la scrittrice ciociara Mary Pace, a caccia della taglia di 25 milioni sulla testa di Bin Laden, vuole che si faccia chiarezza. La signora in questione è un personaggio che da un paio di decenni si occupa di intelligence e terrorismo internazionale ai massimi livelli. Un personaggio uscito dai romanzi di John Le Carrè: giovanissima infiltrata del generale Giovanni De Lorenzo (quello del piano Solo, per intenderci) nelle fila del Pci, custodisce da anni i segreti esplosivi di Guido Giannettini, l'ex superspia del Sid (il servizio segreto degli anni Settanta) già inquisito e assolto per la strage di piazza Fontana. Ques'ultimo, poco prima di morire, le avrebbe rivelato il luogo esatto dove si nascondeva, a suo dire, l'uomo più braccato del mondo. La confidenza puntava a una riserva di caccia di circa trenta chilometri quadrati compresa tra le factories pakistane di Wah, Gadwal, Sanjval e Havelian, quest'ultima nel distretto di Abbottabad. Una soffiata millimetrica (se si considera che il Pakistan è grande quattro volte l'Italia) che Pace passò il 20 agosto 2003 a due ispettori della Digos di Frosinone che, a loro volta, girarono all'Ucigos a Roma. Da allora, di quella soffiata, non se ne è più saputo nulla, nessuno ha sentito il bisogno di approfondire se quel che diceva una donna notoriamente ben inserita negli ambienti dell'intelligence fosse una panzana o un'imbeccata precisa. Mary Pace, in un esposto alla magistratura, e nel successivo atto di citazione stilato dal suo avvocato Carlo Taormina, non avanza ipotesi, ma adombra «eventuali responsabilità penali di tipo omissivo». Ci sarebbe qualcuno che si è preso la responsabilità di non avvisare gli americani di quella pista, e se sì chi è? Oppure, la notizia è stata data alla Cia? Se sì, quando? A chi?

Anno dopo anno, di fronte al silenzio e alle porte chiuse, la giornalista apprende da propri canali che l'informativa è nel frattempo atterrata al Viminale. Così nel 2007 prende e scrive un pezzo per il settimanale «Il Borghese» rendendo pubblica la storia riferita alla Digos quattro anni prima, aggiungendo che Osama Bin Laden sarebbe protetto dagli 007 pakistani. Riscontrando indifferenza e ostilità, la Pace riesce a mettersi in contatto con la Cia sono nell'estate del 2010. A luglio un «referente» del centro di Langley si mette in contatto con la signora via posta elettronica e cellulare (tutto il materiale è agli atti). Dopo un'iniziale indifferenza lo 007 sembra parecchio interessato tanto che gli articoli e le analisi della Pace vengono descritti come «impressionanti». L'agente yankee le chiede le credenziali («dove lavora, che cosa ha scritto sul terrorismo») e le fa la più classica delle domande nell'oscuro mondo degli spioni: «Che cosa ci puoi dire che noi non sappiamo già?». Mary Pace spiega. Seguono altre mail (il 17 e il 26 luglio) per un ulteriore scambio di informazioni. A ottobre di quello stesso anno, le comunicazioni con la Central Intelligence Agency si interrompono. Gli 007 spengono improvvisamente il pc e attaccano la cornetta. Il 2 maggio 2011, otto mesi dopo l'ultimo colloquio tra la Cia e Mary Pace, il presidente Obama annuncia il blitz delle forze speciali Usa in una villetta di Abbottabad (nel distretto di Havelian, nel triangolo sensibile indicato dalla giornalista nella sua informativa alla Digos nel 2003). Passano poche ore e il portavoce della Casa Bianca si affretta a dichiarare che la maxi-taglia da 25 milioni di dollari non sarà pagata a nessuno, perché non ci sono informatori dietro l'operazione. Curiosamente, il segretario alla Difesa Leon Panetta, ex direttore della Cia, lo smentisce e ammette che una «gola profonda» in questa storia c'è: un medico pakistano che avrebbe venduto la tana del lupo agli americani. «E le mie indicazioni, allora?» si chiede la giornalista. Parte così l'attacco giudiziario: l'avvocato Taormina cita in giudizio il Dipartimento di Stato Usa e il Viminale, rivendicando il diritto alla stratosferica taglia per la sua cliente. In contemporanea, negli Usa esce il libro «No easy day» con la versione ufficiale sull'assalto dei Navy Seals al compound scritto da un'ex testa di cuoio che racconta di aver sparato a Osama Bin Laden senza riconoscerlo e di averlo inchiodato a terra con una sventagliata di mitra. In una casa affollata di poliziotti e carabinieri la misteriosa Mary Pace non ha voglia di scherzare. Sarà stata una coincidenza, avrà tirato anche a indovinare, ma l'aver trovato l'ago nel pagliaio pakistano con sette anni d'anticipo l'autorizza a provare a battere cassa.

(ha collaborato Simone Di Meo)


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RE: [OT] Discussione in libertà (Piazzetta)

"IL SOLE 24 ORE del 13 SETTEMBRE 2012 Cyberwar in Afghanistan: ecco come i talebani usano Facebook per spiare i militari alleati A dispetto della rusticità delle armi impiegate sui campi di battaglia afghani, i talebani sembrano utilizzare con crescente frequenza e maestria le armi informatiche per condurre una sorta di cyberwar contro le truppe internazionali. Uno studio commissionato dal Governo australiano sul rapporto tra il settore della difesa e i social network si è occupato anche dell'impiego di Facebook da parte dei circa 1.500 militarti schierati in Afghanistan dimostrando che i talebani usano falsi profili Facebook per ottenere "l'amicizia" dei soldati schierati nella provincia meridionale di Oruzgan e raccogliere preziose informazioni di carattere militare. Secondo lo studio le tecniche adottate dagli insorti afghani su Facebook sono diversificate. In alcuni casi si spacciano per "donne attraenti" che intendono stringere amicizia con i militari sul fronte afghano. Attraverso il servizio di geotagging i talebani avrebbero in alcuni casi individuato la posizione dei militari sul territorio afghano. Una tecnica non nuova e già adottata nel 2007 a spese dei militari statunitensi in Iraq dove, grazie a informazioni carpite dai social media, i guerriglieri riuscirono a localizzare e distruggere con precisione quattro elicotteri da attacco Apache. In altri casi i talebani sono riusciti a risalire ad amici o ex compagni di scuola dei soldati, spacciandosi per loro. Lo studio mostra inoltre come il pericolo possa provenire anche da profili autentici di amici o parenti, a cui i soldati inviano informazioni che poi vengono intercettate dai miliziani. Pur impiegando vecchi kalashnikov e confezionando bombe artigianali con l'esplosivo prelevato da proiettili d'artiglieria in disuso i talebani sembrano poter contare sull'arma moderna rappresentata da un buon numero di hacker il cui lavoro risulta facilitato dal fatto che i militari alleati non si aspettano questo tipo di minaccia in Afghanistan. Lo studio australiano contiene anche un sondaggio effettuato tra 1.577 militari dal quale emerge che il 58 per cento degli utenti dei social network non è consapevole dei rischi legati al loro uso e non ha ricevuto alcuna formazione specifica in merito. Le problematiche sollevate dallo studio non sono certo limitate all'Australia e dalle poche informazioni emerse in proposito risulta che l'argomento sia stato trattato anche da studi statunitensi e britannici. È probabile che i talebani utilizzino le stesse tecniche per spiare o contattare anche militari di altri contingenti così come è evidente che la minaccia alla sicurezza delle informazioni militari attraverso i social network non proviene solo dai jihadisti afghani. Il ministero della Difesa di Canberra sta correndo ai ripari e ha cominciato a elaborare una guida ai social network destinata ai militari che sarà pronta entro la fine dell'anno. Appena pochi mesi prima del ritiro del contingente australiano dall'Afghanistan."

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Messaggio modificato il: 14-09-2012 alle 12:40 da Cher.

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RE: [OT] Discussione in libertà (Piazzetta)

Film anti-Islam, continuano le proteste in tutto il mondo islamico
Dal Medio oriente all'Indonesia, ambasciate Usa sotto attacco. Erdogan: "L'islamofobia sia dichiarata crimine contro l'umanità"
Luca Romano - Lun, 17/09/2012 - 13:49


Dall'Afghanistan all'Indonesia, dal Pakistan al Sudan. Le proteste e le manifestazioni contro il film "The Innocence of muslims" continuano senza sosta, nonostante Google abbia deciso di bloccare la visione del trailer in molti Paesi.

Ormai le vittime sono salite a 17. Il premier turco Recep Tayyip Erdogan vuol proporre all'Onu di proclamare "l'islamofobia" come "crimine contro l’umanità".

Polizia circonda una moschea di Tunisi
Le forze dell'ordine tunisine sono sulle tracce dello sceicco salafita Abou Iyadh, tra i responsabili degli incidenti davanti all'ambasciata Usa di venerdì. Circondata, con grande dispiegamento di uomini e automezzi, la moschea di El Fath dove si sarebbe rifugiato e dove è previsto, dopo la preghiera del pomeriggio, un suo sermone. Intanto, mentre ieri un centinaio di cittadini statunitensi ha lasciato Tunisi, la sede diplomatica americana ha riaperto questa mattina i propri uffici, come ha annunciato lo stesso ambasciatore, Jacob Walles. Bisognerà aspettare ancora invece per la riapertura della scuola americana di L’Aouina, che oltre ai danni provocati dai salafiti, è stata anche saccheggiata di parte del materiale didattico. Walles ha detto che chi ha attaccato l’ambasciata fa parte di "una minoranza che vuole distruggere le relazioni tra Tunisia e America".

In migliaia in piazza a Kabul
Più di mille afgani protestano a Kabul, dando alle fiamme auto e magazzini. Due auto sono state incendiate a Jalalabad road, dove si trovano le basi militari della Nato e degli Stati Uniti. Uomini armati sparsi tra la folla hanno aperto il fuoco contro gli agenti, ma nessuno è stato ferito. "Non abbiamo risposto al fuoco e non lo faremo", ha assicurato la polizia.

In Libano Hezbollah invita a manifestare
Il leader del movimento sciita di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha invitato la popolazione a manifestare: "Dovete mostrare al mondo intero la vostra rabbia e la vostra collera, lunedì e i giorni che seguiranno". Cortei sono previsti oggi a Beirut, mercoledì a Tiro, venerdì a Baalbeck, sabato a Bent Jbeil in Libano meridionale e domenica nella Valle di Bekaa. Nasrallah ha chiesto inoltre a tutti i musulmani di reagire di fronte al "peggior attacco contro l’islam, peggiore ancora dei Versi satanici, del fatto di bruciare copie del Corano in Afghanistan o le vignette del profeta Maometto pubblicate da un quotidiano danese".

Un morto in Pakistan
Duri scontri nella notte a Karachi, la città più popolosa del Pakistan: in centinaia hanno inscenato un sit-in davanti al consolato Usa scatenando la reazione della polizia che è intervenuta con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. Diversi manifestanti sono stati fermati e poi rilasciati, ma i disordini sono continuati nella notte poco lontano, dove sono state date alle fiamme delle camionette della polizia e una pompa di benzina. Una persona è morta e almeno altri 11 sono stati feriti. In mattinata, proteste anche a Peshawar dove circa mille persone sono scese in piazza per due manifestazioni diverse. La prima si è svolta senza incidenti, mentre durante la seconda, organizzata dagli studenti del partito radicale sunnita Jamaat-e-Islami, sono stati bruciati copertoni e una bandiera americana.

Proteste in Yemen
Centinaia di studenti hanno manifestato all’università di Sana'a, lanciando un appello all’espulsione dell’ambasciatore degli Stati Uniti e al boicottaggio di tutti i prodotti americani. La manifestazione è terminata senza violenze.

Sassaiola contro l'ambasciata Usa in Indonesia
Un gruppo di manifestanti indonesiani ha lanciato sassi contro l’ambasciata Usa a Giakarta. La polizia ha risposto lanciando lacrimogeni, ma bandiere a stelle e strisce sono state date alle fiamme. Due dei manifestanti sono stati arrestati. Stamattina il presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono ha criticato il film: "Ho comunicato il mio disappunto e la mia condanna per il film, che è una forma di insulto. Se si dovesse permettere che queste cose continuino a succedere, si scatenerebbe il conflitto in tutto il mondo".

Mauritania, boicottati Google e Twitter
La Lega degli ulema della Mauritania ha chiesto il boicottaggio di Google e Twitter, per il ruolo che hanno avuto nella diffusione del contenuto del film. Il boicottaggio, ha detto il segretario generale della Lega, Hamden Ould Tah, eminente studioso considerato una delle maggiori personalità dell’Islam in Mauritania, deve coinvolgere tutti gli altri motori di ricerca sino a quando non saranno bloccate le immagini frutto "dell’immaginazione perversa del suo regista americano"


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RE: [OT] Discussione in libertà (Piazzetta)

L'Onu nomina Prodi inviato per il Sahel
L'ex premier sarà l'inviato speciale nella regione africana colpita dalla guerra civile in Mali e dalla siccità
Luca Romano - Sab, 06/10/2012 - 08:29

Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha reso noto al Consiglio di sicurezza di voler nominare l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi come suo inviato speciale nella regione africana del Sahel (sud del Sahara), colpita dalla guerra civile in Mali e dalla siccità.

"Sono lieto di informarvi della mia intenzione di nominare l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi come mio inviato speciale per il Sahel", ha scritto Ban in una lettera al Consiglio di sicurezza, ottenuta in esclusiva dalla Reuters. "Prodi ha una lunga e notevole carriera di governo e di diplomazia internazionale come creatore di consenso, avendo lavorato come primo ministro in Italia e presidente della Commissione europea per diversi anni", ha scritto Ban Ki-moon al presidente del Consiglio, il guatemalteco Gert Rosenthal. Quest’ultimo ha informato della cosa i colleghi dell’organismo, aggiungendo che approverà la nomina di Prodi se non verranno presentate obiezioni entro martedì prossimo.

Il Mali è precipitato nel caos a marzo, quando un golpe militare ha rovesciato il presidente, creando un vuoto di potere che ha permesso ai ribelli tuareg di conquistare due terzi del paese. Estremisti islamici legati ad Al Qaida hanno poi preso il controllo di diversi territori al nord. La guerra civile in Mali è scoppiata in un momento in cui il Sahel (una delle regioni più povere al mondo) è sull’orlo di una catastrofe umanitaria, dovuta alla siccità e alla conseguente carestia. L’alleanza fra gli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) ha elaborato un piano per aiutare le truppe del Mali a riconquistare il nord. Il leader ad interim del paese, Dioncounda Traore, ha chiesto all’inizio di questo mese al Consiglio di sicurezza dell’Onu di autorizzare il piano.
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ToungueToungueToungue
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RE: [OT] Discussione in libertà (Piazzetta)

http://www.ilgiornale.it/news/esteri/ucc...52265.html

Uccisa con l’acido dai genitori "per onore"
La vittima, 15 anni, incontrava di nascosto un amico: padre e madre le hanno bruciato il 70 per cento del corpo



Roberto Fabbri - Ven, 02/11/2012 - 08:21

Picchiata brutalmente dai ge­nitori, sfigurata con l’acido e poi abbandonata a morire tra atroci sofferenze.È la scioccante storia di una ragazzina pachistana quin­dicenne, punita in modo bestiale perché aveva una storia d’amore con un ragazzo del suo villaggio.
Vicende come questa sono pur­troppo molto frequenti in Paki­stan, dove i cosiddetti «delitti di onore» sono ancora una pratica comune e dove le donne che si ri­bellano sono vittime di orribili vio­lenze da parte del loro stesso clan familiare.

Ma lo stesso fenomeno avviene comunemente anche in altri Pae­si del mondo musulmano, come la Giordania, dove proprio ieri un uomo ha ucciso la figlia di 22 anni strangolandola con le proprie ma­ni perché sospettava che avesse una relazione con un ragazzo.
I dettagli della tragica fine di Anosha, questo il nome della ra­gazzina pachistana, sono stati ri­velati dalla polizia locale del di­stretto di Ratta, a circa 150 chilo­metri da Muzaffarabad, capoluo­go della regione himalayana del Kashmir, contesa con l’India. «In diverse occasioni la giovane era stata sorpresa dai genitori in com­pagnia di un corteggiatore - rac­conta un’agente di polizia - . Asso­lutamente contrari alla relazione, le avevano intimato di interrom­pere quell’amicizia». Anosha pe­rò n­on ha obbedito e ha continua­to a vedere il suo innamorato di na­scosto.
Credeva nell’amore, ma ha pagato le sue illusioni con la vi­ta.

Dopo averla di nuovo colta in flagrante mentre parlava con il ra­gazzo fuori casa, il padre Muham­med Zafar è andato su tutte le fu­rie. Accecato dall’ira, ha prima malmenato Anosha,poi con l’aiu­to della moglie - un dettaglio pur­tr­oppo ricorrente in queste vicen­de di brutalità familiari ai danni di giovani donne - le ha gettato del­l’acido in viso e sul corpo, riducen­dola in condizioni penose. La cop­pia ha poi abbandonato la figlia agonizzante «rifiutandosi di por­tarla subito all’ospedale», spiega il poliziotto, «e così è morta». Se­condo un’altra versione, la ragaz­zina sarebbe stata portata al noso­comio, ma quando ormai era trop­po tardi. Aveva ustioni da acido su oltre il 70% della pelle. In seguito alla segnalazione dei vicini di ca­sa, la polizia è quindi venuta a sa­pere dell’incidente e ha subito fer­mato la coppia che poi ha confes­sato l’orrenda azione: sono stati arrestati con l’accusa di omicidio.

In Pakistan il delitto d’onore è chiamato «Karo-Kari» che signifi­ca letteralmente «uomo nero» e «donna nera». Quando una don­na è etichettata come «kari» vuol dire che ha disonorato la famiglia con il suo comportamento. I pa­renti sono dunque autorizzati a ucciderla per ripristinare l’imma­gine del clan.
Secondo stime delle organizza­zioni umanitarie pachistane, lo scorso anno si sono consumati in Pakistan 720 delitti d’onore e nel­la stragrande maggioranza dei ca­si (605) le vittime erano donne.
Ma in Pakistan esiste anche un altro fenomeno allarmante, che di recente ha provocato un’esplo­sione di violenze: quello della bla­sfemia. Secondo una notizia ripor­tata da Express Tribune , una folla inferocita ieri ha vandalizzato una scuola femminile della pro­vincia centrale del Punjab, per­chè era circolata la voce che in un esame era stato insultato il nome del profeta Maometto. Un inse­gnante e il preside dell’istituto so­no stati arrestati per blasfemia, un reato che è punito con la condan­na a morte. Un rischio che ha cor­so assai concretamente la giova­ne cristiana Asia Bibi o più recen­temente la quattordicenne Ri­msha, arrestata per aver bruciato il Corano,un’accusa che poi si è ri­velata essere una montatura del­l’imam di una moschea.

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Toungue Un commento a caso:

Manieri
Ven, 02/11/2012 - 09:41
Non sento ergersi la voce degli animalisti. Considerano l'uomo una specie evoluta di qualche categoria zoologica e dovrebbero difenderne i diritti, come quelli dei visoni.


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http://www.ilgiornale.it/news/esteri/int...56947.html

Così la "cupola di ferro" ferma i missili
Il sistema Iron Dome intercetta 192 razzi su 200 e mira solo a quelli pericolosi
Rolla Scolari - Dom, 18/11/2012 - 09:44

Sud di Israele. Le sirene suonano. Tzeva Adom, ripete una voce meccanica di donna: codice rosso. Segnala alla popolazione di cercare un luogo protetto prima che i razzi in arrivo dalla Striscia di Gaza colpiscano il loro obiettivo.
In queste ore, sul cielo delle cittadine israeliane del Sud, è possibile vedere spesso, dopo il suono delle sirene, lunghe scie di fumo bianco salire veloci dal suolo verso l'alto e terminare, con un'esplosione, in una piccola e lontana nuvola nera. Accade quando il sistema di difesa anti-missile, Iron Dome - cupola o scudo di ferro - entra in azione e intercetta un razzo lanciato dal territorio palestinese. È quello che è accaduto ieri anche nei cieli di Tel Aviv, quando le sirene hanno suonato per la terza volta da giovedì sera. Proprio poche ore prima, l'esercito aveva dispiegato una nuova batteria anti-missile, la quinta del sistema di difesa.

Doveva essere pronta soltanto fra due mesi, spiega al Giornale un funzionario del ministero della Difesa israeliano. Le autorità hanno deciso di accelerare i tempi dopo che due razzi - giovedì e venerdì - hanno sfiorato Tel Aviv. Non hanno fatto né danni né vittime ma sono stati eventi senza precedenti che hanno alzato il livello della paura nella popolazione e irrobustito la reazione militare israeliana sulla Striscia. Il sistema di difesa Iron Dome è stato dispiegato per la prima volta nell'aprile 2011. Non c'era nel 2009, durante la precedente azione militare israeliana contro Gaza, Piombo Fuso. Per molti analisti, la presenza del sistema starebbe cambiando il corso dell'operazione. «Senza Iron Dome, l'intera offensiva sarebbe diversa, il numero dei morti israeliani sarebbe maggiore», spiega Efraim Kam, esperto israeliano dell'Institute for National Security Studies. La batteria posizionata ieri a Tel Aviv è una versione aggiornata delle altre quattro: i suoi missili hanno un raggio maggiore rispetto agli altri, sono ordigni più sofisticati. Fino a venerdì notte il sistema aveva intercettato 192 razzi su circa 200. In realtà, i missili lanciati da Gaza dall'inizio dell'operazione sono oltre 500.

I radar di Iron Dome, però, sono in grado di rilevare in anticipo se cadranno su aree disabitate oppure su centri urbani. Il sistema entra quindi in azione soltanto se necessario.

I missili in arrivo da Gaza sono diventati più potenti e sofisticati. Non ci sono più soltanto i razzi Kassam fabbricati dai gruppi armati locali, ma anche Grad e ora anche Fajr 5 di fabbricazione iraniana: sarebbero questi ordigni ad aver sfiorato Tel Aviv. Uno dei maggiori successi dell'operazione, rivela una fonte della Difesa israeliana, è stato un attacco nel primo giorno dell'offensiva contro un vasto deposito di Fajr 5. In queste ore, le cittadine del Sud d'Israele sono deserte. Venerdì mattina, alla periferia del centro costiero di Ashdod, a Nord di Gaza, i negozi erano sbarrati, per strada circolavano soltanto automobili, nessun passante. Sderot, la città più vicina alla Striscia, a poco più di un chilometro, dove dal suono delle sirene all'impatto dei razzi passano pochi secondi, è da giorni una città fantasma. Le scuole in un'area di 40 chilometri da Gaza rimarranno chiuse e la popolazione segue le raccomandazioni delle autorità: i residenti non possono raggrupparsi in luoghi pubblici, i commerci sono chiusi, spiega Lior, un soldato di fanteria riservista appena arrivato in una base del Sud d'Israele. «La mia città, Bersheva, in questi giorni è un deserto», dice. Ha 28 anni. Da quando ha finito i tre anni di leva obbligatoria è stato richiamato tre volte per combattere: nel 2006 in Libano, nel 2009 a Gaza e oggi.


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RE: [OT] Discussione in libertà (Piazzetta)

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Così la fragile Europa ha venduto all’emiro il voto per la Palestina
Dall’Italia alla Spagna: pioggia di dollari dal Qatar ai Paesi che poi all’Onu hanno voltato le spalle a Israele
Giuseppe Marino Gian Micalessin - Sab, 01/12/2012 - 08:48

Prima si son comprati l'Europa, poi il suo voto. Dietro il terremoto diplomatico che ha portato Italia ed Europa ad appoggiare il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore all'Onu c'è l'ombra degli investimenti miliardari del Qatar.

Investimenti capaci, complice la perdurante crisi, di far perdere la testa al Vecchio Continente e spingerlo ad accettare le incognite del fondamentalismo. Il prologo dell'imminente rivolgimento erano state la crisi libica e quella siriana. In entrambi i casi molti Paesi europei hanno appoggiato gruppi ribelli legati a doppio filo all'integralismo islamico, fidandosi esclusivamente delle «garanzie» di Doha. Il voto di giovedì al Palazzo di Vetro è la dimostrazione più eclatante di come i 326 trilioni di metri cubi di gas (terza riserva del pianeta) su cui galleggia il Qatar siano ormai la vera leva capace di manovrare un'Europa piegata da una crisi economica, politica e ideale.

L'Italia è un esempio eloquente. Non paga di essersi fatta scippare i propri investimenti energetici in Libia e di aver rinunciato a importanti commesse in Siria, non esita a gettare alle ortiche la linea politica che da oltre un decennio la lega a Israele. La sbalorditiva piroetta diplomatica è la logica conseguenza della recente visita di Mario Monti nell'emirato. Durante la visita è arrivato il via libera alla Qatar Holding LLC per pilotare i propri investimenti d'intesa con il Fondo Strategico Italiano, la holding controllata dalla Cassa depositi e prestiti. Dietro i 300 milioni di euro iniziali si prefigurano spericolate operazioni per svariati miliardi. Operazioni che potrebbero garantire a Doha il controllo di un 3 per cento dell'Eni e l'entrata nella cabina di regia di molte acciaccate banche della Penisola.

L'Italia non è però né la prima, né la sola a essersi fatta ammaliare dall'oro del Qatar. La mappa del voto europeo all'Onu, incrociata con quella degli investimenti degli emiri, è da questo punto di vista assai eloquente. L'unico «no» al riconoscimento della Palestina arriva dalla Repubblica Ceca, uno dei pochi Paesi a non aver beneficiato dei miliardi dell'emirato. Londra non esita, invece, ad astenersi rompendo la tradizionale alleanza politica con Washington. Dietro la scelta ci sono i quasi due miliardi di euro sborsati dal Qatar per acquistare i grandi magazzini Harrods, il finanziamento al 95 per cento della monumentale Shard Tower di Londra, l'edificio più alto d'Europa, e l'entrata nel capitale azionario della Shell, la compagnia petrolifera simbolo del Regno Unito. Il panorama dagli investimenti di Doha in Spagna, Portogallo e Francia è però ancor più eloquente. Dopo aver piazzato al Qatar immobili sugli Champs Elysees per 500 milioni, il controllo del Paris Saint Germain, i diritti televisivi del proprio calcio e i cacciabombardieri Mirage usati per bombardare la Libia, Parigi si è trasformata nella più strenua sostenitrice di una politica europea filopalestinese. Spagna e Portogallo non sono certo più disinteressati. Il sì di Madrid alla Palestina è stato preceduto dall'acquisto della squadra del Malaga e dagli investimenti per 2 miliardi di euro che hanno portato all'acquisizione del 6 per cento di Iberdrola, la società elettrica spagnola sull'orlo del collasso finanziario. Una manovra replicata in fotocopia in Portogallo dove la Qatar Investment Authority controlla il 2,018% di «Energias de Portugal».

Dietro questa smodata voglia d'investimenti si celano ovviamente le mire politiche di Hamad bin Khalifa al-Thani. Lo scorso ottobre l'emiro del Qatar è stato il primo capo di stato a legittimare Hamas recandosi in visita a Gaza e offrendo all'organizzazione fondamentalista investimenti per oltre 300 milioni di euro. Lo stesso emiro non si è mai fatto problemi a garantire ospitalità ai più discussi leader dell'organizzazione integralista. Khaled Meshaal, il capo di Hamas ispiratore della strategia degli attentati kamikaze, utilizza da anni una comoda e lussuosa residenza messagli a disposizione in quel di Doha. Nulla di strano per un emiro pronto a favorire l'ascesa di Hamas anche in Cisgiordania, usando le proprie ricchezze. Un po' più inusuale la disponibilità europea ad un simile mercimonio politico-strategico.


Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.



Cher03@hotmail.it

Messaggio modificato il: 01-12-2012 alle 14:27 da Cher.

01-12-2012 14:24
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