RE: L'illusione dell'energia solare
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Bioinganno: la truffa dell’energia da biomasse 22 Dicembre 2012
di MICHELE CORTI
n questi giorni sono stati ampiamente commentati i dati che parlano di 30% di italiani a rischio povertà o esclusione sociale. Una delle espressioni di nuova povertà consiste nel tirare letteralmente la cinghia e nello spegnere il riscaldamento e patire i freddo per risparmiare un po’ sulla bolletta energetica. Bollette salate sulle quali già paghiamo il 7% a favore delle “energie rinnovabili”. (Un regalo a grossi speculatori, alla finanza delle grandi famiglie (ex)industriali e quella legata alla politica e a tutta la fauna prenditoria: dai grossi squali ai magliari di paese. Tutti rubano (legalmente, per carità) gli incentivi elettrici per le finte rinnovabili. E’ il quadro di una società e di una politica di una profonda decadenza morale
La stampa nazionale di quanto ribolle nel far west della produzione di energia da biomasse non ne parla. Ogni giorno la stampa locale e il web riferisce di manifestazioni, ricorsi, polemiche al calor bianco. Sui grandi media non trapela nulla. Troppi e troppo forti sono gli interessi coinvolti nel business della produzione di energia elettrica da biomasse (dalle coop rosse e bianche ai gruppi proprietari degli ex-zuccherifici, dalla lobby dell’industria tedesca fornitrice di tecnologia a grandi gruppi industriali, finanziari e immobiliari).
La scusa del “ritardo da rimontare”
Tutto deriva dal livello stratosferico (2-3 volte la media europea) degli incentivi alla produzione di energia elettrica da “fonti rinnovabili”. Una “spintarella” giustificata dal ritardo accumulato dall’Italia verso i traguardi di quota di energia “verde” assegnati dall’Europa (burden sharing). Oggi, nonostante il superamento degli obiettivi, gli incentivi alla produzione di energia elettrica dalle biomasse – quelle che appaiono come la più dubbia delle energie “rinnovabili” – sono stati semplicemente “limati” per il semplice fatto che la lobby si è fatta forte e ha argomenti per imporsi al governo. Un governo di tecnocrati cui, nelle ovattate stanze del potere, non arriva di certo l’eco delle spesso rabbiose proteste di centinaia di Comitati spontanei in tutta Italia che si oppongono alla realizzazione delle centrali a biomasse giudicate un imbroglio ecologico che riempie in modo scandalosamente generoso le tasche degli speculatori scaricando sulle spalle di noi tutti (utenti elettrici) e, soprattutto, di chi risiede nelle vicinanze delle centrali stesse, elevati costi economici, ambientali e sociali. Non a caso, per evitare le prevedibili reazioni, i cittadini, le comunità locali – complici amministrazioni compiacenti – riescono a venire a sapere della prossima realizzazione delle centrali solo quando la velocissima “procedura unica di autorizzazione” è al suo termine. La dimensione del fenomeno è però troppo ampia perché la gente si rassegni e per arginare il proliferare delle centrali (ve ne sono ormai 1.000 solo a biogas) il 20 ottobre scorso diversi coordinamenti regionali di comitati NO BIOMASSE hanno dato vita ad una associazione (Coordinamento nazionale Terre Nostre) con lo scopo di coordinare le iniziative e di confrontarsi con le istituzioni e le forze sociali. A poco vale l’anatema “siete NIMBY egoisti” lanciato da biogasisti, piazzisti e loro maggiordomi di lusso. In questo gioco chi sono gli egoisti non è difficile da individuare.
Una truffa palese
Le ragioni di una così forte opposizione vanno ricercate nella consapevolezza di essere in presenza di una grande truffa. Grazie all’etichetta “bio” si è cercato di far passare una operazione puramente speculativa per una “missione etica” (o comunque per qualcosa contro il quale non è possibile obiettare perché “ce lo impone l’Europa”, “ce lo impone Kyoto”).
Quando i cittadini si rendono conto informandosi autonomamente (i media nazionali, come già visto, o tacciono o si prestano ad avvalorare la manipolazione) di essere ingannati, che le favole sulle “emissioni zero” nascondo seri impatti ambientali, che della preoccupazione per la loro salute non c’è alcuna considerazione, allora la reazione è “vivace” per quanto si scontra su regole del gioco truccate (le centrali a biomassa non sono classificate industrie insalubri ed anzi opere “di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”).
La truffa inizia sin da quella etichetta “rinnovabili”. Nelle FER (fonti di energia rinnovabile) vengono comprese anche le biomasse agricole coltivate appositamente per alimentare impianti di combustione (o di digestione anaerobica (dove si produce biogas, al 60% di metano). La combustione di biomasse riguarda oli vegetali (ottenuti per spremitura da piante come colza, coltivata anche in Italia e in Europa e l’olio di palma o di Jatropha) o materiali solidi: pellet di legno, paglia, cereali appositamente coltivati. La digestione riguarda per la maggior parte prodotti agricoli: mais, triticale, sorgo e, per una quota minore, reflui zootecnici e scarti dell’industria agroalimentare. Definire “rinnovabile” un’energia che richiede l’impiego di grandi quantità di energia fossile per la lavorazione dei terreni, la produzione dei concimi chimici e dei pesticidi, i trasporti equiparandola a fonti come il sole e il vento o le maree è di per sé fuorviante . In più si deve aggiungere che le superfici utilizzate per produrre queste biomasse sono spesso sottratte alle foreste, alle savane, alle torbiere in Estremo oriente o in Africa. La messa a coltura di queste terre “vergini” provoca grandi emissioni di CO2 per la mineralizzazione della sostanza organica contenuta in questi terreni naturali, l’aumento dell’uso macchinari, concimi chimici e pesticidi.
Per ora smascherato l’olio di palma
La scarsa sostenibilità della produzione di olio di palma (legata alla distruzione di ambienti naturali ma anche alle condizioni di impiego della manodopera). L’agenzia per l’ambiente Usa ha classificato nel 2012 l’olio di palma Indonesiano e Malesiano quale biocombustibile “non rinnovabile” in quanto i risparmi di emissione di gas serra sono inferiori al 20%, soglia necessaria ad ottenere questa qualifica. Lo stesso ha fatto la Ue e diversi paesi hanno già escluso l’olio di palma dall’elenco delle biomasse che possono ambire ad ottenere incentivi per la produzione di energia rinnovabile. Ma anche la Jatropha, che gli apologeti dell’uso delle biomasse come fonte energetica indicavano come pianta “non competitiva” con le coltivazioni alimentari in grado di essere coltivata in terreni semidesertici, di fatto viene coltivata utilizzando acqua di irrigazione, pesticidi e concimi chimici su terre in parte sottratte alle comunità rurali in parte alle foreste. Fenomeni simili avvengono anche a casa nostra. Le superfici destinate alla produzione di biomasse per utilizzo energetico derivano solo in minima parte da colture no food come il tabacco. In gran parte si tratta di superfici che in precedenza erano destinate a food (alimenti umani) e al feed (alimenti per gli animali di allevamento).
Biogas: operazione in perdita
Le centrali “agricole” a biogas sono passate in Italia da 179 nel 2010 a 499 nel 2011 a 1000 nel 2012. Sola a Cremona se ne contano 140 che utilizzano quasi 20 mila ettari di superficie, il 15% di quella coltivata. Nella maggior parte dei casi si è continuato a praticare la monocoltura del mais (con forti impatti ambientali) solo che ora il il trinciato di mais insilato alimenta i biodigestori e non le vacche da latte. Dal momento che queste ultime però, almeno sino ad oggi, non sono calate ma – tra il 2010 e il 2012 – sono passate da 118 mila a 187 mila è giocoforza che l’insilato di mais finito nei biodigestori abbia dovuto essere sostituito da mangimi e foraggi prodotti altrove, trasportati a notevoli distanze e prodotti a costi energetici nettamente superiori. La resa energetica dell’insilato di mais prodotto in loco nelle condizioni della pianura padana è molto alta. L’ EROEI (resa energetica per unità di energia investita) nel processo è per l’insilato di mais padano pari a 7 (una unità di energia fossile per ottenere 7 unità di energia) mentre per cereali e foraggi convenzionali scende della metà. Uniti ai costi energetici diretti per la produzione di silomais da biogas a quelli indiretti della sostituzione.
Che si producano bioenergie, biogas, biocarburanti a casa nostra o in estremo oriente il succo è che – se il consumo umano e zootecnico non cala – da qualche altra parte si è dovuta intensificare la produzione agricola, sottrarre terra alla produzione alimentare o mettere a coltura terre incolte o foreste. Un “gioco” che significa che non si risparmia né energia fossile né emissioni di gas climalteranti.
Lo spreco dell’energia prodotta
Il risultato apparentemente sconcertante con il quale con la produzione di energia “rinnovabile” si rischia di consumare più energia fossile di prima è legato anche alla bassa efficienza dell’utilizzo dell’energia delle biomasse considerato che solo 1/3 di essa viene sfruttata per produrre energia elettrica (superincentivata) mentre il resto viene disperso come calore in atmosfera. Ogni soluzione che riduce la produzione lucrosissima di energia elettrica pseudo pulita è anteposta a quelle che potrebbero favorire un buon assetto cogenerativo. Così negli impianti a combustione di biomasse si riscalda l’acqua di raffreddamento dei motori ma non si utilizza una parte dell’energia termica prodotta sotto forma di vapore perché le turbine girerebbero di meno e gli alternatori produrrebbero meno elettricità. Non si cerca la massimizzazione dell’uso dlel’energia ma della produzione di energia elettrica. Ha senso? No perché l’obiettivo fissato per il 2020 della quota di energia elettrica da fonti “rinnovabili” è già stato superato mentre per quello relativo all’energia termica siamo al di sotto degli obiettivi.
L’inganno nell’inganno: il teleriscaldamento
La cosiddetta “cogenerazione”, che è tale solo se con il calore delle centrali a biomasse si spengono delle caldaie fornendo con il teleriscaldamento acqua calda (calda, non tiepida) alle abitazioni, ai luoghi di lavoro, agli impianti sportivi ecc. Un fatto impossibile perché o i “camini” si avvicinano alle abitazioni, alle scuole, agli ospedali, esponendo chi vive nelle immediate vicinanze agli effetti di forti emissioni inquinanti e ai miasmi (biogas) o si devono realizzare chilometri di tubazioni (in acciaio) a costi che i gestori degli impianti non si sognano di assumersi. Nei progetti, però, la cosa viene prevista e si promette di fornire l’acqua calda a serre fantasma, strutture comunali, case di riposo, palestre ecc. ecc.
Altro che “emissioni zero”
Spesso dai piazzisti del biogas si sente ripetere che esso si produce a “emissioni zero” ma una centrale da 1MW elettrico emette 35 kg di NO2 (ossidi di azoto = precursori delle polveri sottili) al giorno. Qualcosa che equivale alle emissioni di 20 mila autovetture che percorrono 20 km al giorno e 10 volte tanto le emissioni di una moderna centrale elettrica a turbogas per unità di energia prodotta senza contare che l’approvvigionamento di biomasse (materiali voluminosi) induce un forte aumento del traffico pesante in zone di campagna dove il traffico è molto modesto e la rete viaria non è adeguata a sopportare il via vai di mezzi pesanti (con danno economico alle strade comunali e vicinali ma anche con rischi per la sicurezza di chi transita). Questi disagi (emissioni, odori, traffico, danno paesaggistico) si ripercuotono anche sulle attività economiche nelle vicinanze (specie gli esercizi pubblici e le strutture turistiche) e sul valore degli immobili con gravi costi sociali. L’intera economa agricola è turbata dall’aumento dei prezzi degli affitti dei terreni (raddoppiati o triplicati nelle aree interessate) e dei foraggi. Senza contare l’aumentata competizione per l’acqua di irrigazione indotta da colture più intensive e in secondo raccolto. Senza contare che la sostanza organica dei residui colturali e dei reflui zootecnici dei digestati è pari al solo 35% della sostanza organica iniziale e si va a depauperare di sostanza organica terreni che (in pianura padana e ancor più in altre zone d’Italia) sono ormai poveri di sostanza organica (meno del 2%) a causa delle intense e profonde lavorazioni del terreno e di colture depauperanti. Una pesante ipoteca sulla fertilità a lungo termine. Che agli speculatori evidentemente non interessa, a loro interessa incassare per 15 dal gestore elettrico la “tariffa onnicomprensiva).
Agricoltura in ginocchio
Nella corsa ad accaparrarsi terreni in affitto i biomassisti tagliano fuori qualsiasi concorrenza e vi è il pericolo che l’ulteriore peggioramento di redditività induca ad abbandonare coltivazioni tipiche e allevamenti mettendo le terre a disposizione della lucrosa produzione di biomasse. La sproporzione tra i ricavi di attività convenzionali agricole e della produzione di energia “rinnovabile” è infatti enorme grazie ad una tariffache per gli “impianti agricoli” (che possono arrivare a 1MW) è di 28 cent/kWh. Il che significa almeno 2,1 milioni di euro di incasso elettrico e 1 milione di profitto annuo garantito per 15 anni dal Gestore dell’energia elettrica (a fronte di un investimento di 3-3,5 milioni di euro). Lo scandalo è che questo reddito è “agricolo” ovvero esentasse (si continua a pagare in base allo stesso reddito agrario e dominicale che sono legati al valore d’estimo del tipo di terreno). Non è finita. Sulle superfici coltivate a biomasse, almeno per ora, si incassano i premi della PAC.
Land grabbing
Tutto ciò spiega perché ci sia una corsa speculativa che interessa gruppi economici e finanziari. La maggior parte delle centrali sono promosse da società agricole costituite ad hoc dove gli agricoltori hanno spesso un ruolo di “teste di legno”. E pensare che le “agrienergie” erano state presentate (furbescamente sin dall’inizio) come un “aiuto all’agricoltura”. Tenendo conto di quello che sta succedendo si profila proprio l’opposto: i gruppi finanziari, forti anche della liquidità assicurata dal business delle centrali a biomasse, stanno mettendo le mani sulla terra attraverso contratti di affitto o di utilizzazione a lunga scadenza dei terreni che rappresentano l’anticamera anche di un non lontano passaggio di proprietà. Una tendenza che non lascia intravedere nulla di buono. Con la prospettiva di una colonizzazione delle nostre terre non troppo dissimile dal land grabbing in atto in Africa.
Una fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.
Cher03@hotmail.it
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