RE: [OT] Discussione in libertà (Piazzetta)
visto se viviamo in regime di matrice comunista con relativo colpo di stato "legale" un pò di storia non nuoce.......
http://www.loccidentale.it/node/113707
100 anni di bolscevismo si possono pure ricordare ma non festeggiare
Luca Negri19 Febbraio 2012
Allora, abbiamo arrotolato e messo in soffitta il Tricolore esposto gagliardamente per tutto il 2011. Dopo aver celebrato i centocinquant’anni d’unità nazionale, ci chiediamo: niente da celebrare nei prossimi mesi? Qualche ricorrenza significativa da rimembrare pubblicamente? Un centenario ci sarebbe; non da festeggiare, però. Uno spunto di riflessione, un’interessante lezione di storia.
Perché nel gennaio del 1912 vide luce il Partito Operaio Socialdemocratico Russo (bolscevico), quello che poi divenne il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, detto Pcus con l’acronimo italiano.
La creatura di Lenin nacque, è noto, per scissione; i bolscevichi, si liberarono finalmente della minoranza menscevica che tarpava le ali alla rivoluzione comunista. L’evento fu fecondo di storia, ovvero di disgrazie. Fu proprio Hegel, uno dei filosofi patrigni di quella cultura, a scrivere che la storia sembra un mattatoio. I boscevichi vollero fare storia, e ci riuscirono, per quasi ottan’anni, con meno di dieci leader (quasi tutti decisivi per gli scenari politica del secolo scorso). Come riuscirono a conquistare la Russia, a edificare un impero con qualche decennio di vita?
Furono abili, coniugando più Machiavelli e Gengis Kahn che mettendo in pratica Marx. Lenin, personalità certamente carismatica, con tratti del tipo nichilista profetizzato da Dostoevskij, riuscì ad imporre la sua versione del marxismo, a trasformarla in dogma. Il Partito era l’avanguardia della Classe, la Classe era la coscienza del proletariato; era il Partito, ad evere le idee chiare, con in mano la risposta all’interrogativo sul “che fare”. Occorreva saltare la rivoluzione borghese e democratica per fare subito quella proletaria.
La Classe doveva ubbidire, tutto il proletariato doveva ubbidire, anche quello che non intendeva riscoscersi nella Classe. Ovvio che il dovere d’obbedienza fosse estesa al popolo tutto, al clero, alla nobiltà (che andava azzerata per fare spazio alla nuova aristocrazia). Non conveniva intralciare il progredire della storia e il cammino del socialismo; provandoci si finiva comunque per essere utili, come minimo con la funzione di schiavo in qualche gulag.
Dunque, i bolscevichi, un po’ marxisti impazienti, un po’ giacobini fanatici, un po’ nichilisti apocalittici, (insomma, un misto della peggiore Europa d’oriente e d’occidente) presero il potere nell’ottobre del 1917. Non si trattò di una rivoluzione, ma di un colpo di Stato che pilotò la Rivoluzione di febbraio verso esiti totalitari. Il regime zarista era una realtà superata, perfino in un paese ancora in gran parte medioevale come la Russia: un cambiamento radicale era necessario.
Ma tutto il fenomenale fermento politico, culturale, finanche spirituale ed artistico (basti pensare ai poeti Blok e Majakovskij) che agitava il paese fu imprigionato, imbrigliato dalla violenza di un pugno di avventurieri senza scrupoli ma pieni di ideali.
L’Ottobre fu un atto di forza permesso dall’aver infilato gli uomini giusti nei posti giusti, dall’aver conquistato la fiducia di un buon numero di operai riuniti in soviet. Probabilmente servirono soldi, ma non mancavano ai bolscevichi; in parte rapinati con attacchi terroristici (nei quali si rodava il talento di quello che sarebbe diventato Stalin), in parte inviati da estimatori esteri.
A proposito di aiuti stranieri, è utile ricrodare che fu la generosa Germania prussiana a provedere gentilmente al il ritorno di Lenin in patria. All’esule fu permesso di transitare inpunente in treno attraverso i territori del secondo Reich per tornare in Russia; i tedeschi tenevano molto al ruolo destabilizzatore del capo bolscevico.
La missione riuscì perfettamente: la Russia si arrese alla Germania che potè dedicarsi al fronte occidentale e perdere comunque la guerra. I conti si fecero però neanche trent’anni dopo, soprattutto a Stalingrado. Poi Berlino fu anche premiata con il Muro. Chissà, se i prussiani avessero immaginato il futuro, forse avrebbero fatto deragliare quel treno…
Invece il comunismo marxista-leninista sopravvisse al suo inventore, si estese nel mondo, divenne quasi una religione. Più di una religione civile, ancor più messianica e pervasiva, con suoi riti propri, testi sacri, tribunali contro le eresie. Sempre, così almeno dicevano e molti ci credevano, per il bene dell’umanità. Altra profezia di Dostoevskij, quella del Grande Inquisitore: la società che realizza storicamente il cristianesimo ma non può accettare la presenza reale di Cristo.
Qualcosa in comune con la filosofia di Hegel, una trinità (tesi – antitesi – sintesi) che poteva far a meno del Padre e del Figlio: tutto il potere allo Spirito. Come ai Soviet, o meglio al Partito che pretendeva di rappresentare Soviet, Classe e proletariato, dunque lo Spirito del mondo.
Niente da festeggiare, allora, per i cent’anni del boscevismo. Non perché sia defunto ufficialmente da un po’, anzi qualche suo ingrediente prova ancora a far lievitare gli eventi mondiali, a fare storia, macello (non in Russia, ovunque nel mondo). Abbondano minoranze che vogliono cavalcare masse in rivolta, nichilisti apocalittici, moralisti giacobini, mistici senza Dio incarnato. Il comunismo si è suicidato, come previsto da Augusto Del Noce, ma la decomposizione del suo cadavere brulica di vita.
Una fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.
Cher03@hotmail.it
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