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[OT] Tea Party
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RE: [OT] Tea Party

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La lezione di Friedrich von Hayek
In periodo di crisi è sbagliato lasciarsi trascinare da nostalgie dirigiste


di Michele Marsonet* 29 Dicembre 2011

* Ordinario di ‘Filosofia della scienza’ e attualmente Direttore del Dipartimento di Filosofia di Genova

In un momento di grave crisi economica come quello che stiamo vivendo è inevitabile che riemergano tendenze dirigiste volte a limitare la libertà di mercato. Tali tendenze – lo sappiamo – sono sempre state vive e operanti, soprattutto in Italia, ed è inutile in questa sede ripercorrere la storia culturale del nostro Paese per spiegare i motivi di un simile stato di cose. E’ opportuno, invece, andare in controtendenza e richiamare alla memoria la lezione di Friedrich von Hayek, massimo rappresentante della Scuola economica austriaca, premio Nobel per l’economia nel 1974, nonché teorico tra i più grandi del liberalismo nel secolo scorso.

Hayek ritiene che, per sfruttare nel modo migliore le loro capacità di conoscenza, gli esseri umani non devono lasciarsi sedurre dall’abuso della ragione (titolo di un suo celebre libro), bensì rimanere nel solco di una ragione usata correttamente. Occorre insomma concentrarsi sui limiti delle nostre possibilità cognitive, i quali ci impediscono di predire il futuro e di formulare quei piani di lunga durata tanto amati dai collettivisti di ogni tipo. Proprio per tali ragioni, un ordine generato senza disegno alcuno può di gran lunga superare i piani che gli uomini creano consapevolmente.

Si potrebbe pensare a questo punto a una concezione pessimistica della storia, della società e della stessa natura umana. Nulla di più falso. Il riconoscimento dei limiti ci consente di trarre i maggiori vantaggi possibili dalla evidente fallibilità della nostra conoscenza, ponendoci altresì in grado di utilizzare in maniera adeguata le capacità di cui siamo dotati. Il progresso, scientifico o di altro tipo, è la conseguenza del riconoscimento anzidetto: il comprendere la nostra ignoranza è la molla fondamentale che ci consente di non accontentarci di ciò che abbiamo conseguito.

Non è, questa, una visione anti-razionalista né scettica. Si tratta piuttosto del ripudio dell’Illuminismo francese, caratterizzato dalla fede eccessiva nella ragione umana, e della parallela adesione all’Illuminismo britannico, consapevole dei limiti della ragione e rispettoso dei processi storico-sociali concreti. Le istituzioni sociali non sono frutto di un progetto deliberato, e la forma mentis collettivista è esattamente il prodotto di un atteggiamento che cancella i limiti umani.

In realtà noi traiamo vantaggi da processi di cui non siamo perfettamente consapevoli, a differenza di quanto affermano collettivisti come Sant-Simon, Comte, Hegel e Marx. Esistono soltanto individui, e in questo senso gli autori da seguire sono John Locke, David Hume, Adam Ferguson, Adam Smith, Edmund Burke e Alexis de Toqueville, per citare solo i nomi maggiori. La pianificazione centrale contiene unicamente la conoscenza di chi l’ha progettata e la sua rigidità.

Da quanto detto segue, tra l’altro, che non si può progredire facendo tabula rasa del passato, anche perché si tratta di un’operazione impossibile da realizzare. Ogni progresso deriva da una rielaborazione critica delle tradizioni che ci hanno preceduto, e dalla correzione mirata di ciò che esse hanno prodotto. Come si affermava all’inizio di questo articolo, può darsi che simili riflessioni appaiano oggi “datate”. Ma non è così. L’aggettivo va piuttosto applicato alle nostalgie dirigiste - già bocciate clamorosamente dallo sviluppo reale degli eventi storici - che riaffiorano ovunque.


Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.



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