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[OT] Tea Party - Cher - 06-12-2011 11:50

Con questa nuova rubrica, OT rispetto al forum, vuole riunire tutti le informazioni su questo interessante movimento definito "Tea Party", per conoscere il movimento ed informare i lettori di cosa propone.
Essere costruttivi nelle fasi più critiche è sinonimo di responsabilità, non ultimo creare uno stimolo per coinvolgere autorevoli menti in questo, ormai deserto forum.
Grazie per l'attenzione.


RE: [OT] Tea Party - Cher - 06-12-2011 12:00

http://www.loccidentale.it/node/111791

Tea Party - Cronache del mondo conservatore
Gli Usa e Benedetto XVI: i difensori dei principi non negoziabili


di Marco Respinti 2 Dicembre 2011

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del
Centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana.
http://www.russellkirk.eu/

Mi si darà del disadattato ‒ come dar torto ‒, ma io la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America continuo a leggerla e a rileggerla. Anzitutto e soprattutto poiché completamente inappagato da quei riduzionismi liberal, da quelle distorsioni progressistiche e da quelle soperchierie “libberali” che nei secoli ne hanno completamente stravolto l’anima, facendone uno strumento buono per tutte le stagioni, una panacea della “demokrazia” senza “se” e senza “ma” (furono processi democratici ed elettivi quelli che portarono Adolf Hitler al potere in Germania, sono processi democratici ed elettivi quelli che oggi portano i Fratelli Musulmani al potere nei Paesi delle “primavere” arabe e i salafiti un passo subito dietro) e un veicolo dell’esportazione nel mondo del relativismo (sic) più aggressivo. La leggo e la rileggo per questo, ma non solo.

A leggere e a rileggere quel testo scritto nell’estate del 1776 vi ho infatti scovato il magistero di un pontefice romano di più di duecento anni dopo, Papa Benedetto XVI, a proposito dei «princìpi non negoziabili».

L’espressione «princìpi non negoziabili» è stata coniata dalla Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno politico dei cattolici nella vita politica emanata dalla Congregazione per la dottrina della fede (allora presieduta dal cardinal Joseph Ratzinger) il 24 novembre 2002, dal famoso discorso rivolto da Benedetto XVI ai parlamentari del Partito Popolare Europeo il 30 marzo 2006 e dal discorso del medesimo pontefice agli uomini politici e ai religiosi partecipanti al convegno sull’Europa organizzato dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) del 24 marzo 2007. E il discorso pronunciato il 17 ottobre 2011 dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, al forum dei cattolici impegnati in politica, svoltosi a Todi, ne ha ribadito la cogenza.

I «princìpi non negoziabili» sono pochi, tre appena. La difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale (contro aborto, eutanasia, manipolazione del gene umano, clonazione e così via). La difesa del matrimonio monogamico tra uomo e donna, quindi dell’istituto familiare che nasce solo dall’unione eterosessuale (contro il riconoscimento giuridico dell’unione tra persone omosessuali e delle coppie di conviventi).

La difesa della libertà di educazione, cioè il diritto della famiglia di scegliere come e dove educare i propri figli (a favore della parità tra scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria finanziata privatamente). Questi princìpi sono valori in senso assoluto. Non sono gli unici valori, ma sono principiali: ovvero quelli in base ai quali si valutano tutti gli altri.

Per questa ragione sono non-negoziabili. Essendo il principio e il fondamento del resto, non si possono cioè discutere, omettere, ridurre, stravolgere, negare, smozzicare, barattare. Ci sono e basta.
Tutti gli altri valori sono invece negoziabili giacché non sono assoluti. Sono relativi. Il loro valore è dato cioè dalla relazione che hanno con i princìpi. Parametro e valutazione, criterio e interpretazione. En passant vale ricordare che questa distinzione logica e netta tra princìpi e valori va sempre tenuta presente. Ciò non significa che i valori contino “meno”, ma che contano diversamente. Anzi, che i valori contano solo se in relazione ai princìpi; o, detto in modo inverso, che senza i princìpi tutti gli altri non hanno valore.

Per esempio: l’accoglienza del prossimo o la questione dell’immigrazione contengono e veicolano valori importanti, talvolta decisivi, ma sono nulla se sganciati dal principio inderogabile del diritto alla vita. Altro esempio: solo la difesa del matrimonio monogamico tra uomo e donna, ergo della famiglia, consente la discussione senza confusione della condizione omosessuale o dei diritti che spetterebbero a tutte le unioni diverse da quella matrimoniale.

I valori che traggono significato e cogenza solo dal riferimento organico ai princìpi sono infatti misure. La sussidiarietà, che è cosa preziosissima, è la misura verticale che indica “quanto Stato” sia lecito e necessario in un dato frangente o contesto storico. La solidarietà, cosa santa, è la misura orizzontale di quanta carità sia necessaria a sorreggere la libertà responsabile del prossimo.

Insomma, i «princìpi non negoziabili» fondano la retta convivenza tra gli uomini tutti poiché pongono condizioni tabù e limiti invalicabili alla capacità di distruzione della natura stessa delle cose e sua che l’uomo ha il potere fisico – tecnico – di operare, permettendogli al contrario di compiere appieno la sua libertà creativa. Sono il progetto in base al quale l’architetto erige l’edificio; sono il campo da gioco fuori dal quale si cade in fallo sanzionabile; sono la struttura del reale che l’uomo trova al suo venire al mondo: tutte le volte, infatti, che l’uomo cerca di sfidarli, eluderli o ignorarli, i suoi costrutti gli rovinano addosso.

A duecento e più anni dalle parole della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti il magistero di Papa Benedetto XVI fa dei «princìpi non negoziabili» il fulcro politico delle cose poiché i «princìpi non negoziabili» non sono cosa cattolica. Se lo fossero, i «princìpi non negoziabili» sarebbero solo ad appannaggio di alcuni uomini, non potrebbero prescindere dal dono gratuito, misterioso e insondabile della fede nella Rivelazione, andrebbero predicati solo negli orti conchiusi delle chiese e degli oratori. Sarebbero, insomma, una realtà parziale.

Papa Benedetto XVI ne fa invece un discorso al mondo perché sono la dottrina sociale e la teoria politica universali di qualsiasi umanesimo che non voglia essere solo la caricatura di se stesso. Valgono, i «princìpi non negoziabili», per tutti gli uomini. Anzitutto perché non sono gli uomini ad avere progettato la realtà nel modo in cui i «princìpi non negoziabili» la descrivono. In secondo luogo perché sono l’abc di ogni convivenza, snobbando i quali vi è solo tremore di paura e stridore di denti per il dolore. Non sono, i «princìpi non negoziabili», una “imposizione della Chiesa”: sono la regola con cui gira il mondo, che piaccia o no, e, come tali, o li si rispetta costruendo o li si bistratta distruggendo.

Del resto, i «princìpi non negoziabili» non li ha certo inventati Papa Benedetto XVI. I «princìpi non negoziabili» sono se stessi da che mondo e mondo. Oggi assumono formulazioni specifiche, adatte all’ora presente, ma ciò è accaduto sempre nella storia. I «princìpi non negoziabili» sono sempre gli stessi, ma vengono specificati in modo speciale di volta in volta a seconda del volto che la minaccia alla loro realtà inderogabile assume nella storia.

Quando, nel 1912, in Italia fu lanciato il cosiddetto “Patto Gentiloni”, che prevedeva un accordo politico in vista delle elezioni del 1913 in base al quale i cattolici avrebbero votato quei candidati moderati che avessero sottoscritto un eptalogo, cioè sette punti irrinunciabili per la dottrina sociale della Chiesa, i «princìpi non negoziabili» ‒ che non si chiamavano (ancora) così, ma che erano la medesima cosa di sempre ‒ furono formulati in base dell’aspetto che le urgenze di sempre assumevano in quel momento preciso. L’eptalogo non parlava, cioè, di aborto o di matrimonio eterosessuale solo perché la sfida alla norma della natura delle cose e dell’uomo di quel tempo bordeggiava su altri lidi, quelli tipici e adatti alla società dell’epoca.

Se in una società storica dove non esista l’emergenza dell’omosessualità, ma per esempio esista un “problema sociale” legato all’adulterio, la formulazione specifica del “principio non negoziabile” relativo alla difesa del matrimonio eterosessuale e dell’istituto familiare in quel luogo e in quel tempo specifici insisterà più sulla fedeltà coniugale che non sui rapporti fra persone dello stesso sesso, senza però che per quel tempo e per quel luogo l’omosessualità diventi giusta e lecita o la fedeltà coniugale scenda in “serie b” in altra epoca e in altro luogo in cui vi fossero molti gay.
Secondo esempio.

Difendere la libertà educativa in un Paese totalitario è diverso dal farlo nel contesto di una società occidentale, ma il valore assoluto che si difende resta invariato anche se il modo, il linguaggio e gli accenti con cui lo si fa differiscono. Ciò che invece, stando ai due esempio sopra esposti, non avviene mai è che l’eterosessualità o la libertà di educare i propri figli smetta di essere un principio assoluto o che nel novero dei «princìpi non negoziabili» ne entrino altri in aggiunta o in sostituzione. Per questo nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti del 1776 ho scoperto il magistero di un Papa di là ancora da venire.
In detto documento statunitense ‒ nel suo preambolo, cioè a base e fondamento cronologico, logico e ontologico di tutto quanto viene (scritto) dopo ‒ si legge: «Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dotati dal Creatore di certi diritti inalienabili, che tra questi diritti vi sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i propri giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o di abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali princìpi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua sicurezza e la sua felicità».

Sono i «princìpi non negoziabili» del magistero di Papa Benedetto XVI. Formulati secondo le priorità di quel tempo e di quel luogo, ma esattamente nel medesimo ordine (non solo formale). Il magistero politico-culturale degli Stati Uniti postula cioè alla base di tutto verità evidenti che per ciò stesso non occorre – non è necessario e nemmeno giusto – “spiegare”. Queste verità tali sono al principio e mai discutibili. Fondano il resto. Le ha poste un Creatore, che dunque esiste (gli Stati Uniti pongono a inizio e a fondamento di se stessi l’esistenza evidente, che appunto non occorre spiegare, di Dio, e proprio del Dio della Rivelazione giudaico-cristiana, poiché se ne parla come di Creatore, un attributo peculiare sconosciuto alle altre divinità). Solo perché Egli esiste, si può dire che gli uomini siano – siano da Lui creati – uguali, la loro eguaglianza essendo solo la “dotazione” di diritti che promanano da verità principiali e che per questo sono valori assoluti. Ve ne sono diversi. Tra questi il primo è la vita, il secondo la libertà, il terzo il perseguimento della felicità.

La Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti pone cioè a base di tutto il principio non negoziabile del diritto alla vita esattamente come fa come il magistero di Benedetto XVI. Quindi enumera la libertà senz’aggettivi, che è il modo concreto con cui in quel luogo e in quel tempo si corrisponde anche alle urgenze odierne della libertà di educazione. Infine elenca il perseguimento della felicità, che non è la (mera) sua ricerca: gli statunitensi non chiedevano infatti alla Dichiarazione d’Indipendenza di sancire un vago diritto a un’altrettanto vaga idea di ricercare la felicità da qualche parte perché essi la felicità sapevano bene dove sta, per esempio che ne insegnano il cuore le Sacre Scritture, e comunque non una petizione di diritti rivolta a una madrepatria che in quell’istante stesso diventava ex; pretendevano invece che le persone fossero lasciate libere di costruirsi una casa dove ottenere concretamente quanta più felicità possibile, anche educando i propri figli al meglio.

Del resto, dietro la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti vi è una lunga tradizione occidentale che da sempre insiste sul medesimo registro e una delle formulazioni classiche di esse è la filosofia dei “diritti naturali” (non solo di lockeana memoria). Ovvero di quelle cose che appartengono e pertengono alla persona umana per sua stessa natura data, cioè creta: vita, libertà e proprietà. Uguale alla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, uguale al magistero di Papa Benedetto XVI. Il concetto di «proprietà» di questa tradizione viene riformulato dalla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti con l’espressione «perseguimento della felicità» perché quest’ultimo documento esprime in un modo adatto al suo tempo e al suo luogo la medesima necessità avvertita anche prima del 1776 nordamericano di far sì che la persona possa liberamente agire per organizzare in autonomia e sovranità, cioè contro ogni coercizione, la propria esistenza (educazione dei figli compresa).

Aveva davvero ragione il padre gesuita John Courtney Murray (1904-1967) nel dire che la filosofia politica degli Stati Uniti d’America si comprende meglio, anzi solo alla luce della tradizione cristiana, quella tradizione che è il compimento di verità naturali alla portata ragionevole di ogni uomo intero.


RE: [OT] Tea Party - magnesium - 11-12-2011 00:56

Cher ha Scritto:

creare uno stimolo per coinvolgere autorevoli menti in questo, ormai deserto forum.



dopo il referendum di giugno è drasticamente diminuito l'interesse sul nucleare.

RE:  [OT] Tea Party - Cher - 11-12-2011 11:03

magnesium ha Scritto:



dopo il referendum di giugno è drasticamente diminuito l'interesse sul nucleare.



Vedrai che tornerà l'interesse al nucleare con una consapevolezza inaspettata per gli scettici.

Il fallimento delle rinnovabili, la crisi sistemica delle economie occidentali unite alle sempre maggiore richiesta di energia a basso costo, porterà a scelte impopolari ma neccessarie, ad esempio la ripresa dei progetti di centrali nucleari sul territorio europeo.Toungue
Non dimentichiamo che con una cinquantina di centrali da 1,6 M cad l'Europa uscirebbe dalla crisi alla velocità dei neutrini, che come scientificamente dimostrato , viaggiano ad una velocità superiore della luce! Smile
Poco importa se alcuni stati europei non vogliono le centrali sul loro territorio, si costruiscono dove non creano proplemi all'opinione pubblica e creano lavoro ben retribuito! Mediamente 5000 posti li lavoro per centrale!
Basta dare una occhiata a cosa successe dopo la crisi petrolifera degli settanta, riprese il nucleare con determinazione.
Alcuni segnali sono già evidenti, tornerò sull'argomento come ho un pò di tempo.
Grazie Magnesium che ti sei fatto sentire.
RE:   [OT] Tea Party - magnesium - 11-12-2011 11:30

Cher ha Scritto:


Grazie Magnesium che ti sei fatto sentire.


ma guarda che leggo tutto e vi osservo sempre Big Grin

il dibattito sul nucleare è ancora vivo in europa ...soprattutto dopo il maremoto del giappone il dibattito (favoreli/contrari) sul nucleare si è rifatto forte.
in italia pure questo dibattito aveva preso inizio (ma quasi mai in modo lineare ma sempre in modo alquanto disorganizzato in tv e sui giornali) ...ma il referendum ha fatto da spartiacque chiudendo la discussione.
RE: [OT] Tea Party - Cher - 14-12-2011 10:44

http://www.ilgiornale.it/interni/peggio_...comments=1


di Marcello Veneziani - 14 dicembre 2011, 08:00


Ma se distruggiamo la politica, cosa resta a noi cittadini per contare qualcosa? Chi rappresenterà gli interessi generali e perfino i valori di parte o condivisi? Tira una brutta aria nel nostro Paese, che nasce da cause sacrosante ma rischia di produrre effetti disastrosi.

C’è voglia di far fuori la politica intera, stoccata all’ingrosso, da destra a sinistra. C’è disprezzo per la Casta, i privilegi a cui si è avvinghiata, il suo attaccamento alle poltrone, l’incapacità di ridurre costi, numeri, personale. È un disprezzo sacrosanto, ma rischia di sfociare in un rifiuto della politica e della democrazia. E dopo cosa c’è, chi viene dopo i politici? I tecnici, i professori, i colonnelli? E perché dovrebbero essere migliori dei precedenti, più disinteressati e più capaci di capire gli interessi generali e non solo quelli del loro settore di competenza, di provenienza e di dipendenza?

In questo brutto interregno che ci troviamo a vivere, sotto i bombardamenti delle Borse, mi capita a giorni alterni di dover criticare gli abusi, le sordità e le miserie della Casta e poi di dover deprecare la pulsione popolicida dei tecnici. L’uno diventa l’alibi dell’altro. Sappiamo che la politica si è arresa alla banca, la democrazia alla Borsa, e si è fatta commissariare; ma sappiamo pure che i tecnici arrivano dopo il fallimento della politica, a causa della loro pochezza unita a livore. Ed è per questo che ho personalmente accettato, con rabbia e insieme rassegnazione, l’avvento temporaneo dei tecnici, per evitare crolli e assalti all’Italia e per dare il tempo alla politica di rigenerarsi.

I tecnici hanno un compito difficile ma solo loro, si diceva, possono farlo: colpire i privilegi, tagliare i costi della politica, assumere provvedimenti impopolari. In realtà, non è così. Con la politica sono impotenti perché i tagli non saranno mai approvati dal Parlamento. Dei poteri economici sono succubi, se non addirittura emanazione e dunque non possono colpire le loro franchigie e i loro privilegi. Dunque, la loro missione è ridotta solo al punto C: picchiare sulla gente. Tanto, come dice Monti, noi non dobbiamo cercare il loro voto.

Ma con la politica si sta facendo una cosa più sporca. Non tagliano nessuno dei costi della Casta; in compenso, lasciandoli appesi ai loro soldi ma senza comando del Paese, tagliano la credibilità e le gambe alla politica. Qualcuno dei politici pensa di sopravvivere sulle spalle dei tecnici. Ma se oggi c’è un rischio di «involuzione» democratica, come si ripete spesso a sproposito, se c’è il rischio di una deriva oligarchica, beh, quel rischio non proviene da destra e nemmeno da sinistra, come non proveniva da Berlusconi. Ma è il rischio della tecnocrazia senza democrazia. I governi commissariati dalle banche, l’alta finanza, i circoli internazionali, le agenzie di rating, la Goldman Sachs: sono loro a decidere e a menare le danze. È un pericolo da non sottovalutare.

Allora io insisto: ricostruiamo la politica, rifondiamola, ripartiamo da lì. Non vogliamo una politica piccina, di piccolo cabotaggio e piccole competenze. Vogliamo una politica grande, lungimirante, in grado di rappresentare gli interessi popolari. Una politica ambiziosa, appassionata, ma non per finta. E allora i tagli che vogliamo con tutto il cuore - dimezzare il numero dei parlamentari e dei consessi regionali, dimezzare insomma i costi della politica locale e nazionale - devono essere fatti sì per dare il buon esempio, e per non far pagare solo i cittadini, e per risparmiare soldi pubblici.

Ma devono essere compiuti anche per una ragione essenziale: per salvare la politica, restituirle la sua legittimità, la sua credibilità. Dunque tagli non per rimpicciolire la politica ma per ingrandirla. Perciò io dico, cari lettori e cittadini tutti, di ogni versante politico, che dobbiamo chiedere i tagli non per tagliare la politica ma per farla crescere in altezza anziché in larghezza e obesità.

Non per rimpicciolire la politica ma per ingrandirla. Abbiamo bisogno della politica, e dobbiamo risalire la china da zero, scegliendo tra chi è zero o sottozero e chi ha un barlume di qualità. E passo dopo passo, ricostruire la credibilità di chi guida il Paese. Ai tecnici restituiamo ruoli esecutivi, la direzione del Paese va a chi si occupa di italiani, prima che di contribuenti, perché loro lo hanno eletto.

Quando passerà la burrasca, riprendiamo per esempio a pensare una repubblica presidenziale, ma vera, eletta dal popolo, decisionista e responsabile, senza presidenzialismi occulti.

Che la politica torni alla luce del sole; dove le teste di burro, come è noto, si squagliano.


RE: [OT] Tea Party - Cher - 18-12-2011 16:41

http://www.chicago-blog.it/2011/12/18/il...more-11044

Il rimedio alla crisi? Seguire la scienza economica – di Gerardo Coco

Dati recenti dell’OCSE mostrano rallentamenti della crescita economica per tutti i 33 paesi aderenti. In particolare, le previsioni percentuali di crescita del PIL dei Paesi occidentali per il 2012 sono nell’ordine dell’uno virgola: previsioni, ottimisticamente, recessive. La realtà è che la crescita in questi paesi è negativa perché i pil non misurano l’incremento reale di prodotto ma la spesa e questa è gonfiata dall’inflazione.La diminuzione dei pil significherà aumento di disoccupazione. Anche i tassi di interesse reali sono “in rosso” il che significa che gli investitori che tengono i propri risparmi in forma liquida o parcheggiati in titoli di stato o nel mercato monetario stanno tutti perdendo soldi. Una situazione sempre più incerta e volatile blocca gli investimenti industriali. L’assenza di sviluppo e quindi di reddito significa che il servizio del debito non potrà essere pagato. In questo contesto sarà sempre più difficile per i governi ottenere dal mercato nuovi prestiti.. I governi si troveranno tra l’alternativa del default o dell’inflazionismo che non è altro che un default perseguito con altri mezzi. Perseverando nelle misure macroeconomiche, fiscali e monetarie che ai fini dello sviluppo economico non valgono un iota, i governi hanno abbracciato con cocciuta e pericolosa ottusità la teoria dell’impoverimento progressivo.

Per i governi l’economia ha sempre significato, non un sistema di produzione e di scambio per allocare risorse scarse, ma semplicemente “spesa” , soprattutto spesa statale.

A questo fine, prima hanno pensato a drenare risorse dalla collettività tramite tassazione e successivamente, non bastando questa, hanno applicato all’economia intera una gigantesca leva finanziaria. La leva è il rapporto tra debito e capitale e poiché il divisore tende allo zero, il dividendo tende all’infinito. La progressione esponenziale del debito misura il grado di distruzione dell’economia. .

Nell’opinione popolare la spesa statale originata dal debito pubblico ha la stessa natura di quella originata dal capitale cioè dal risparmio. Ma la prima rappresenta inflazione pura e dissolve come un acido il secondo. Quando la società non è più capace di creare capitale decade immediatamente.

Per scampare ad una catastrofe economica certa c’è solo un rimedio: tagliare drasticamente la spesa pubblica e azzerare le tasse su redditi e capitali e sostituirle con una tassa sui consumi. Lo sviluppo che ne conseguirebbe sarebbe sensazionale e annullerebbe il debito in pochi anni. Un sogno? No, una realtà e la storia passata e recente lo dimostra.

Tornare a David Ricardo

L’economista inglese Alfred Marshall (1842 –1924) affermò che se per assurdo andasse distrutta la ricchezza materiale del mondo, ma rimanessero invece vive le idee in base alla quali essa fu formata, si potrebbe rapidamente ricostruirla. Queste idee sono racchiuse nell’apparato analitico creato da Adam Smith e da David Ricardo più di duecento anni fa. Il primo, che impostò in un unico corpo organico i problemi che sono stati oggetto di tutta la riflessione scientifica successiva, sostenne che la libertà di mercato era la premessa per la piena utilizzazione delle forze produttive e per il loro ulteriore sviluppo perché l’intervento dei governi, raramente efficace, è quasi sempre dannoso. Ricardo, rielaborando e perfezionando le analisi di Smith mostrò come, nella distribuzione del prodotto sociale, il ruolo del capitale fosse condizionante per l’aumento di prosperità generale.

“Il capitale – scrive Ricardo – è quella parte della ricchezza di un paese che viene impiegata a scopo di produzione futura e può aumentare allo stesso modo della ricchezza” (Principles of Political Economy and Taxation). Per chiarire: la parte che viene prodotta e che non va ad aumentare il consumo finale è investimento e poiché anche l’investimento, ossia il capitale, fa parte di ciò che il sistema economico complessivamente produce, tutto ciò che promuove l’espansione del sistema, promuove anche l’accumulazione di capitale. E’ l’ammontare del capitale a determinare la capacità dell’economia di produrre beni e servizi e di impiegare lavoro ed è il rapporto tra capitale e lavoro ad aumentare la produttività.

La tassazione sul capitale mina questo processo perché trasferisce il capitale dalle mani di chi produce nelle mani di chi consuma.

Ricardo scrive:

"“Nonostante l’enorme spesa del governo inglese negli ultimi venti anni è praticamente certo che l’aumentata produzione da parte della popolazione l’abbia più che compensata. Non soltanto il capitale non è stato intaccato, ma esso è grandemente aumentato e il reddito annuale della popolazione, anche detratte le imposte, è ora probabilmente maggiore che in qualsiasi altro periodo della storia inglese… È tuttavia certo che, senza l’imposizione questo aumento di capitale sarebbe stato molto maggiore. Non vi sono imposte che non tendano a diminuire la capacità di accumulazione. Tutte le imposte ricadono o sul capitale o sul reddito. Se intaccano il capitale riducono in proporzione il fondo la cui entità determina l’entità dell’industria produttiva; se ricadono sul reddito diminuiscono l’accumulazione o costringono i contribuenti a risparmiare l’ammontare dell’imposta e a diminuire in misura corrispondente il loro precedente consumo. ..I governi dovrebbero non imporre mai tributi che gravino inevitabilmente sul capitale perché così facendo essi intaccano i fondi destinati alla sussistenza dei lavoratori e diminuiscono la produzione futura del paese”. (Ibid)

Per Ricardo la riduzione di capitale ad opera della tassazione cambia il rapporto tra capitale e lavoro, ne abbassa la produttività marginale e quindi riduce il salario reale. Un sistema fiscale volto a salvaguardare il reale interesse dei lavoratori dovrebbe tassare solo la parte di reddito che viene consumata e non quella che viene risparmiata od investita perché è questa parte a creare lo sviluppo e l’occupazione.
Grazie alla dottrina di Ricardo l’Inghilterra divenne la più grande potenza industriale.

L’economista contemporaneo Arthur Laffer, (consigliere di Ronald Reagan cui si deve la famosa “curva Laffer” che mette in relazione l’aliquota di imposta con il gettito fiscale e per la quale esiste un livello del prelievo fiscale oltre il quale l’attività economica non è più conveniente e il gettito si azzera), scrisse che le ragioni principali per cui le economie declinano sono due: una tassazione esagerata e l’instabilità monetaria e sono questi due elementi che spiegano l’ascesa ed il crollo delle nazioni. Laffer si ispirava a Ricardo per entrambi gli aspetti. Ricardo, infatti, in uno dei suoi famosi pamphlet monetari (The High Price of Bullion, a Proof of the Depreciation of Bank Notes) scrisse che le politiche monetarie espansive e gli abbassamenti dei tassi di interesse avrebbe portato i paesi alla rovina. E ce ne siamo accorti. Ma le politiche monetarie espansive sono proprio la conseguenza della elevata tassazione la quale riducendo capitale e produttività porta alla recessione cioè alla contrazione dell’economia. Allora si cerca di combatterla con stimoli monetari che secondo i geniali economisti contemporanei, dovrebbero fare le veci del capitale; a sua volta il pompaggio di liquidità, creando inflazione, mina la stabilità valutaria.

È da settant’anni che si fanno queste politiche aspettandosi risultati diversi. Ci fu tuttavia l’intermezzo degli anni 80, gli anni di Reagan di Volker e della Thatcher, gli anni dei tagli fiscali, della stabilizzazione delle valute e della ripresa economica, anche se purtroppo negli USA non furono gli anni di riduzione della spesa pubblica.

Ma è la storia del Giappone dopo la seconda guerra mondiale a rappresentare un caso di scuola del paradigma ricardiano.

A partire da 1945 i politici giapponesi capirono che per ricostruire velocemente la loro economia distrutta dal conflitto, dovevano minimizzare le tasse su investimenti e capitali. Praticamente ogni anno e fino al 1970 ridussero l’imposizione fiscale. I guadagni in conto capitale, profitti, plusvalenze, interessi e rendite furono praticamente esentati. Quando fu loro chiesto come fosse possibile “finanziare” questi tagli, risposero che proprio i tagli avrebbero permesso all’economia di crescere abbastanza per originare nel futuro maggiori entrate fiscali per rinnovare il paese. I giapponesi compresero chiaramente che tutto il capitale esentato dalle tasse sarebbe stato automaticamente reinvestito nell’economia. La domanda di lavoro e l’occupazione aumentarono anno dopo anno. Assistiti da maggior capitale i lavoratori migliorano la produttività e ottennero salari crescenti.

Fu un’ascesa impressionante accompagnata da uno sviluppo tecnologico e sociale che fece del Giappone la seconda potenza mondiale e la più grande economia esportatrice con una valuta fortissima. Non si penalizzarono gli aspetti sociali, tutt’altro, nacque infatti il concetto sociale dell’impiego permanente nelle aziende (lifetime employment), cioè il posto di lavoro assicurato. Nel decennio 1960-1970 il PIL del Giappone quintuplicò. I leader dell’epoca avevano afferrato un principio empirico importante: l’incidenza fiscale non deve mai superare il 20% del PIL. E’ la cifra limite oltre la quale un paese entra nella zona a rischio. Perché? Perché i giapponesi capirono che è praticamente il settore privato ad essere responsabile dello sviluppo economico e non lo stato. Lo stato è il servitore della collettività che rappresenta, deve fornire servizi ed incoraggiare l’economia, non strangolarla.

Ma a partire dagli anni 80 il vento cambiò. L’incidenza fiscale sul PIL salì al 40% e cominciando a manifestarsi i segni recessivi e le nuove generazioni al potere abbandonarono il modello ricardiano per impalmare quello keynesiano di spesa pubblica, di stimoli monetari con tutto quel che segue: ipertrofia burocratica, bancocentrismo, lobbismo e una corruzione senza freni. Il destino del Giappone era segnato. Accumulò il debito interno più elevato del mondo ed entrò in una recessione permanente che dura da più di vent’anni.

Potremmo continuare a parlare del miracolo economico della Germania creato dal taglio delle tasse di Ludwig Erhard o del boom economico italiano iniziato nel 1948 (ma allora c’era un altro campione del libero mercato, Luigi Einaudi) a cui seguirono quindici anni di costante e sostenuto progresso economico ad un tasso del 6% ed una stupefacente esplosione di attività imprenditoriale.

Oppure di quello del decennio dal 1990 della Corea del Sud che grazie ai tagli fiscali triplicò il PIL in piena crisi asiatica o di quello di Hong Kong dove l’incidenza fiscale sui redditi e imprese non supera il 17%.

Se un paese vuole entrare in un’era di prosperità non ha che da seguire i principi della scienza economica, non quelli della macroeconomia che affida allo stato e alla banca centrale poteri illimitati riducendo chi produce e chi crea capitale al ruolo di servo che deve fare quello che vogliono i padroni.


RE: [OT] Tea Party - Cher - 21-12-2011 16:01

http://www.ilgiornale.it/articolo_lunedi...comments=1

Se un "non si può" nasconde un "non voglio"


di Francesco Alberoni - 19 dicembre 2011, 16:23

Due anni fa ho incominciato a lavorare a un nuovo format di fiction per la città di Milano che però si può applicare a tutte le città del mondo. È un giallo in cui non ci sono morti, non ci sono magistrati, polizia, carabinieri, l’Fbi e il problema o il pericolo vengono risolti non con la violenza, ma con l’intelligenza, l’intuizione e l’abilità. Avevo definito con cura i criteri da seguire per stendere le storie e ho chiesto di collaborare a sceneggiatori, registi, giallisti, scrittori di ogni genere.

Tutti hanno provato ma ciascuno cambiava le regole, inseriva nuovi personaggi, insomma voleva fare un’opera originale mentre io invece insistevo perché rispettassero le regole del format. E poiché protestavo mi rispondevano «tu chiedi una cosa impossibile, non si può». Allora ho trovato gente nuova, più fresca, più umile e oggi ho 24 bellissime storie armonizzate fra di loro. Non è vero che non si poteva, si poteva benissimo. Il «non si può» nascondeva il «non voglio» o il «non sono capace». Non è la prima volta che arrivo a questa conclusione.

Sarà capitato a tutti di avere un superiore, un dirigente, un funzionario che, per prima cosa, vi risponde: «non si può» in modo autoritario, inappellabile, con ragioni tecniche di fronte alle quali vi sentite disarmati. Il medico vi guarda con compatimento. L’ingegnere vi fa sentire un uomo dell’età della pietra. Il politico vi spiega che l’opposizione lo rende impossibile. Il finanziere vi dimostra che l’affare è sballato. Il burocrate elenca regolamenti insuperabili. Il giurista vi annienta con citazioni di leggi. E invece quella cosa si poteva invece benissimo fare.

Bastava trovare una soluzione nuova, intelligente. Ma chi dice di no non fa lo sforzo di cercarla. Non vuol cambiare, non vuol fare fatica, non vuol pensare e sperimentare il nuovo. Ma chi dice sempre di no, lo fa anche per conservare ed affermare il suo potere.

Quando un uomo di mediocre intelligenza e fondamentalmente privo di fantasia, raggiunge una posizione di potere come fa a conservarla?

Circondandosi di persone che gli ubbidiscono prontamente, e creando ostacoli per impedire ai potenziali concorrenti di emergere, di acquistare visibilità e credito.

Il mediocre, di fronte all’inventore, al creatore, è smarrito, ha paura.

Non capisce la sua proposta, il suo progetto, ma oscuramente sente che, se glielo fa realizzare le cose cambieranno e il suo tranquillo e sonnolento dominio verrà turbato. «Quieta non movere» dice l'antico motto latino. Tradotto in italiano, «non si può».



RE: [OT] Tea Party - Cher - 21-12-2011 19:15

http://www.ilgiornale.it/interni/propost...comments=1

La proposta del Pdl: elezione diretta del capo dello Stato Cosa ne pensi? Di' la tua

di Sergio Rame - 21 dicembre 2011, 15:51

Elezione diretta del capo dello Stato e governo semipresidenziale alla francese. In questa direzione va la proposta di legge costituzionale firmata da centoventidue deputati del Pdl per introdurre lielezione a suffragio universale diretto del presidente della Repubblica.

"La necessità di una decisiva revisione dell'impalcatura dei poteri disegnata dalla Carta del 1948, in particolare del presidente della repubblica e del presidente del Consiglio, si impone ormai con forza e con urgenza improcrastinabile". Inizia così la proposta di legge pubblicata oggi integralmente dal Foglio: "Quello che abbiamo di fronte è un grave fenomeno di scissione tra potere e responsabilità politica che caratterizza la nostra Costituzione, in contrasto con il principio non scritto del costituzionalismo liberale secondo il quale essi devono sempre andare di conserva". D'altra parte il governo del presidente è già nei fatti: l'operazione di Giorgio Napolitano per scalzare Silvio Berlusconi e mandare a Palazzo Chigi Mario Monti l'ha sancito. Adesso la politica dovrebbe dargli valore costituzionale. La scelta che propongono i 122 deputati del Pdl è semplice: o il parlamento attribuisce al premier quel corredo di poteri già previsti nelle maggiori democrazie dell'Eurozona oppure l'unica soluzione è adottare il sistema presidenziale o semipresidenziale. "E' in gioco il principio della sovranità popolare sancito dall'articolo 1 della Costituzione in quanto le stesse elezioni politiche rischiano un drastico ridimensionamento della loro fondamentale funzione", ha spiegato Giuseppe Calderisi sul Foglio. Non è, infatti, unmistero il fatto che l'ordinario funzionamento della democrazia parlamentare può essere messo in crisi da una qualsiasi minoranza interna alla maggioranza.

Secondo Calderisi, l'attuale sistema vigente in Italia dà troppo potere agli alleati minori della coalizione e ai gruppi interni generando "comportamenti opportunistici nella speranza di massimizzare le proprie rendite politiche". Non solo. C'è anche il rischio - è il ragionamento del deputato del Pdl - di indebolire la capacità del governo che, "sempre esposto al potere di interdizione e di ricatto di gruppi interni alla maggioranza, rischia di rimanere in vita in condizioni di precarietà numerica e politica". Da qui la proposta, sottoscritta da esponenti come Antonio Martino, Paolo Romani, Maria Stella Gelmini, Elio Vito, Giorgia Meloni, e Osvaldo Napoli, per rivedere la Carta.

L'introduzione della forma di governo semipresidenziale sul modello francese non richiederebbe una revisione costituzionale particolarmente complessa. Partendo dal testo proposto dal relatore Salvi alla commissione per le Riforme istituzionali presieduta da Massimo D'Alema, Calderisi propone di allineare il mandato del capo dello Stato alla durata delle Camere, di attribuire all'inquilino del Colle la presidenza del Consiglio e il diritto di sciogliere le Camere. Questa, in sintesi, la proposta di legge costituzionale che potrebbe far uscire il sistema parlamentare italiano dal pantano.


RE: [OT] Tea Party - Cher - 27-12-2011 16:41

http://www.ilgiornale.it/cultura/ci_serv...comments=1

Ci serve autorità per essere liberi


di Marcello Veneziani - 27 dicembre 2011, 09:46

E se il deficit maggiore nella società del nostro tempo fosse l’Autorità? Impronunciabile parola ormai da troppi decenni, ci assoggettiamo senza critiche solo ai comandi impersonali del mercato, della Borsa, della tecnica, del progresso.

O accettiamo poteri e strapoteri in loro servizio, ma guai a sentir parlare di autorità. L’autoritàscontaundiscreditostagionato. Nel dopoguerra perché odorava ancora di fascismo e di antidemocrazia. Nel ’68 perché era la bestia nera della liberazione giovanile, femminile, proletaria. Nei socialismi, sovietici e liberali, perché considerata da ambedue nemica giurata dell’egualitarismo. Nelle società liberali e permissive perché vista come l’antagonista funesto della libertà. La principale carenza dei governi Berlusconi non è stata certo la deriva autoritaria, come spesso si è ripetuto, ma al contrario, l’assenza di un principio di autorità e di autorevolezza, la ricerca di compiacere gli italiani, di allentare le regole e di assecondarli, rinunciando a priori a ogni tentativo di correlare educazione e libertà.

Se la modernità sorge sulla fratellanza, l’uguaglianza e la libertà, l’autorità fu ritenuta uno sfregio a tutte e tre; perché l’autorità non è fraterna, semmai paterna, o al limite materna; non indica uguaglianza, semmai promuove differenza e gerarchia; e non è considerata amica della libertà, ma il suo inevitabile rovescio. Oppressiva in pubblico, repressiva in privato, l’autorità è stata l’innominabile belva della nostra epoca.

Per riammettere una sua vaga parente, si è preferito ribattezzarla in Italiacolpiùrassicurante termine di authority , anglosassone e americano, tollerata perché «di servizio», a tutela delle regole. O dissimulata nell’invocazione diffusa della leadership. E invece l’autorità ci manca, eccome se ci manca.

È uscito di recente un saggio di Alexandre Kojève, La nozione di autorità (Adelphi, pagg. 143, euro 29) che risale al 1942 ma che fu pubblicato postumo pochi anni fa- il filosofo morì nel 1968 - e ora tradotto in Italia. Un saggio scritto all’ombra di Vichy, con un’appendice che riguarda il regime di Pétain, con curiosi riconoscimenti al Maresciallo collaborazionista, provenienti da uno che lottò contro l’occupazionenazista.

Proprioneimesi precedenti, Kojève indirizzava a Stalin un altro suo saggio filosofico. Incroci pericolosi. Kojève classifica quattro tipi originari di autorità - del Padre, del Signore sul servo, del Capo e del Giudice- e ad essi fa risalire tutte le forme di autorità. In realtà altre fonti di autorità ci sembrano irriducibili a quelle indicate dal filosofo russo: l’autorità fondata sul carisma spirituale-religioso o sul ruolo di pontifex , l’autorità fondata sulla sapienza e sul ruolo di magister, e l’autorità fondata sull’opera o l’impresa e sul ruolo di artifex. Autorità di derivazione diversa. Kojève distingue tra l’autorità trasmessa per nomina, per elezione e per eredità. L’autorità può discendere anche dal divino: per Kojève «è divino tutto ciò che può agire su di me senza che io abbia la possibilità di reagire nei suoi confronti». Originale e dinamica la sua idea di autorità,perché per lui l’autorità non garantisce la stabilità e lo status quo , come diffusamente si ritiene, ma il mutamento e il movimento: «l’autorità appartiene a chi opera il cambiamento». Emerge qualche assonanza col decisionismo di Schmitt: «Sovrano è colui che decide in stato di eccezione». Un’idea dell’autorità dopo la modernità, che non riposa sul sacro e immobile universo degli enti eterni e immutabili.

L’autorità è un bisogno vitale di ogni società, non solo per garantire l’ordine e la tradizione, ma anche per governare il cambiamento e cavalcare la tigre della trasformazione. Quando manca una norma e una tradizione a cui attenersi, là insorge il bisogno di un’autorità che colmi quel deficit con la sua autorevolezza.

L’autorità è un onere prima di essere un onore, è una responsabilità e non un privilegio. Solitamente è un argine contro gli abusi, le violenze e le ingiustizie; solo degenerando diventa essa stessa abuso, violenza e ingiustizia. Allora sorge l’autoritarismo, dove il rapporto costitutivo dell’autorità si capovolge:non è l’autorevolezza a decretare il potere, ma il potere a decretare l’autorevolezza. La superiorità, da causa diventa effetto. Ma il poteresenzaautoritàèabuso, la forza senza autoritàèprevaricazione, ilcomando senza autorità è sopraffazione. Perché l’autorità è una legittimazione sul campo, fondata sul merito e il talento, la cultura e la capacità, la competenza e l’esperienza, e nei livelli più alti il carisma e la sapienza.


Non è un bisogno di chi la esercita, ma di chi la segue.

Quando diciamo che mancano le guide o gli educatori, i modelli e i punti di riferimento, le classi dirigenti o le vere élite , parafrasiamo il bisogno di autorità. Urge l’ auctor , in ogni campo. Visibile, credibile, affidabile. È l’autorità che distingue una classe dirigente da una classe dominante, per usare due categorie gramsciane. Ma l’autorità è pure ciò che distingue un leader da un esecutore ( oggi diremmo un tecnico). Perché il tecnico è esperto di mezzi, autorità è invece chi sa commisurare i mezzi ai fini. Tecnologico uno, teleologica l’altra.

L’autorità garantisce la libertà, sorveglia i propri confini che le permettono di esprimersi e fluire, senzadisperdersi, esondare o capovolgersi nel suo contrario. La libertà ha bisogno dell’autorità e viceversa. La negazione dell’una o dell’altra o la coincidenza dell’una nell’altra segna la fine di una civiltà. E tutti coloro che le hanno teorizzate, se non si sono perduti in forme utopiche o anarchiche, hanno promosso, avallato o abbracciato soluzioni dispotiche e liberticide.

Oggi tutti parlano della libertà, ma chi osa evocare l’autorità e ricercarne gli uomini, i segni e i ruoli? Che sia questo il compito di questi anni e, in Italia, di questa delicata fase di transizione cieca? Facile l’obiezione:chi sono,dove sono,le forme e le élite in grado di incarnare l’autorità? Certo che non si vedono, ma intanto aprite le porte, intanto cercate, scrutate, riconoscete...


RE: [OT] Tea Party - Cher - 31-12-2011 13:37

http://www.loccidentale.it/node/112448

La lezione di Friedrich von Hayek
In periodo di crisi è sbagliato lasciarsi trascinare da nostalgie dirigiste


di Michele Marsonet* 29 Dicembre 2011

* Ordinario di ‘Filosofia della scienza’ e attualmente Direttore del Dipartimento di Filosofia di Genova

In un momento di grave crisi economica come quello che stiamo vivendo è inevitabile che riemergano tendenze dirigiste volte a limitare la libertà di mercato. Tali tendenze – lo sappiamo – sono sempre state vive e operanti, soprattutto in Italia, ed è inutile in questa sede ripercorrere la storia culturale del nostro Paese per spiegare i motivi di un simile stato di cose. E’ opportuno, invece, andare in controtendenza e richiamare alla memoria la lezione di Friedrich von Hayek, massimo rappresentante della Scuola economica austriaca, premio Nobel per l’economia nel 1974, nonché teorico tra i più grandi del liberalismo nel secolo scorso.

Hayek ritiene che, per sfruttare nel modo migliore le loro capacità di conoscenza, gli esseri umani non devono lasciarsi sedurre dall’abuso della ragione (titolo di un suo celebre libro), bensì rimanere nel solco di una ragione usata correttamente. Occorre insomma concentrarsi sui limiti delle nostre possibilità cognitive, i quali ci impediscono di predire il futuro e di formulare quei piani di lunga durata tanto amati dai collettivisti di ogni tipo. Proprio per tali ragioni, un ordine generato senza disegno alcuno può di gran lunga superare i piani che gli uomini creano consapevolmente.

Si potrebbe pensare a questo punto a una concezione pessimistica della storia, della società e della stessa natura umana. Nulla di più falso. Il riconoscimento dei limiti ci consente di trarre i maggiori vantaggi possibili dalla evidente fallibilità della nostra conoscenza, ponendoci altresì in grado di utilizzare in maniera adeguata le capacità di cui siamo dotati. Il progresso, scientifico o di altro tipo, è la conseguenza del riconoscimento anzidetto: il comprendere la nostra ignoranza è la molla fondamentale che ci consente di non accontentarci di ciò che abbiamo conseguito.

Non è, questa, una visione anti-razionalista né scettica. Si tratta piuttosto del ripudio dell’Illuminismo francese, caratterizzato dalla fede eccessiva nella ragione umana, e della parallela adesione all’Illuminismo britannico, consapevole dei limiti della ragione e rispettoso dei processi storico-sociali concreti. Le istituzioni sociali non sono frutto di un progetto deliberato, e la forma mentis collettivista è esattamente il prodotto di un atteggiamento che cancella i limiti umani.

In realtà noi traiamo vantaggi da processi di cui non siamo perfettamente consapevoli, a differenza di quanto affermano collettivisti come Sant-Simon, Comte, Hegel e Marx. Esistono soltanto individui, e in questo senso gli autori da seguire sono John Locke, David Hume, Adam Ferguson, Adam Smith, Edmund Burke e Alexis de Toqueville, per citare solo i nomi maggiori. La pianificazione centrale contiene unicamente la conoscenza di chi l’ha progettata e la sua rigidità.

Da quanto detto segue, tra l’altro, che non si può progredire facendo tabula rasa del passato, anche perché si tratta di un’operazione impossibile da realizzare. Ogni progresso deriva da una rielaborazione critica delle tradizioni che ci hanno preceduto, e dalla correzione mirata di ciò che esse hanno prodotto. Come si affermava all’inizio di questo articolo, può darsi che simili riflessioni appaiano oggi “datate”. Ma non è così. L’aggettivo va piuttosto applicato alle nostalgie dirigiste - già bocciate clamorosamente dallo sviluppo reale degli eventi storici - che riaffiorano ovunque.


RE: [OT] Tea Party - Cher - 17-01-2012 11:38

http://www.chicago-blog.it/2012/01/15/ca...a-lezione/


Hazlitt. Capitolo 1 – La lezione

Il 6 febbraio uscirà per IBL Libri “L’economia in una lezione” di Henry Hazlitt, un testo classico della divulgazione economica. Da oggi fino a quella data pubblicheremo ogni giorno un breve riassunto di ciascun capitolo del volume.

***

Per Henry Hazlitt, l’arte della politica economica sta nel prevedere tutte le conseguenze (non solo immediate ma anche lontane) di ogni programma e provvedimento, e nel considerare non solo le conseguenze su una parte della società, ma sull’intera collettività.

All’origine della gran parte degli errori compiuti dagli economisti moderni c’è proprio la negazione di questo principio.

Perso ogni senso di responsabilità e senza uno sguardo realista sul futuro, molti celebri economisti moderni – a partire da John Maynard Keynes – s’impegnano a promuovere l’abbandono del risparmio per una “prodigalità collettiva”, che essi difendono con sofismi che appaiono assai più attraenti degli argomenti razionali che invece si devono formulare per mostrare l’incoerenza, se non l’assurdità, di quel modo di ragionare.

Per Hazlitt occorre recuperare la semplicità del metodo che va dal particolare al generale. Per questo sono importanti gli esempi, grazie ai quali passare in modo graduale a problemi più complessi.

L’autore propone, inoltre, di rivalutare alcuni degli insegnamenti più tradizionali, utili per affrontare criticamente “l’ortodossia degli errori economici”, la quale non manca di fare leva sull’irrazionalità anche dei policy maker di ogni Stato.

L’obiettivo principale che Hazlitt si pone è proprio quello di sgombrare il campo dell’economia da contaminazioni e illusioni sempre più intricate e dannose, e svelare l’errore che sta alla base di tutti gli altri, i quali sono all’origine, inevitabilmente, di politiche economiche deleterie.



RE: [OT] Tea Party - Cher - 18-01-2012 14:31

http://www.chicago-blog.it/2012/01/16/ca...more-11177

Hazlitt. Capitoli 2 e 3 – La finestra rotta e i supposti benefici della distruzione

Recuperando la lezione dell’economista francese Frédéric Bastiat, Hazlitt racconta la storia di un vandalo che rompe la vetrina di un panettiere. Le persone accorse sul posto articolano un comune ragionamento: la cosa non è poi così dannosa per la società, perché darà lavoro a un vetraio. I passanti non sviluppano che una relazione immediata con quanto hanno visto e ignorano, in tal modo, l’altro aspetto della vicenda: il fatto che il panettiere prevedeva di spendere quei 50 dollari, che ora gli serviranno per sostituire il vetro, per comprare un vestito nuovo.

Il “sarto invisibile” è un elemento fondamentale che pure è sempre trascurato.

Per Hazlitt l’errore del vetro rotto si insinua in molti grandi economisti e non è facile da individuare. Una volta confezionato in sofismi persuasivi, esso conduce a false credenze che minano i principi fondamentali dell’economia, a partire dalla relazione tra la domanda e l’offerta. Così come si pensa che la rottura di un vetro favorisca la produzione, allo stesso modo brillanti economisti sono arrivati a sostenere che la distruzione generata dalle guerre possa produrre crescita. Il fatto che nella fase post-bellica spesso si abbia un forte sviluppo induce a vedere un nesso tra le devastazioni e la successiva ripresa dell’economia.

In questo caso, gli elementi invisibili che ci impediscono di vedere che il potere d’acquisto è solo nominalmente accresciuto sono la svalutazione monetaria e l’inflazione. In altre situazioni la valutazione sul volume totale degli scambi di beni reali, specie a lungo termine, è distorta dal fatto che si presta attenzione solo a un numero limitato di settori particolari.

Un’altra tendenza esaminata da Hazlitt è quella che spinge a dimenticare che domanda e offerta sono due aspetti di uno stesso fenomeno. Si tratta di un elemento cruciale dell’economia, che però fa spesso la fine del sarto invisibile. In tal modo, gli economisti “spaccavetrine” continuano in modo compiaciuto a darci distorte rappresentazioni della realtà, costruite su ragionamenti fallaci e su previsioni errate.


RE: [OT] Tea Party - Cher - 02-03-2012 12:26

http://noisefromamerika.org/video/non-im...a-giornata


RE: [OT] Tea Party - Cher - 01-05-2012 12:23

http://www.ilgiornale.it/web/pdf/Lettera...italia.pdf



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Ill.mo Signor Sindaco,
negli ultimi tempi, Equitalia è stata al centro di molti dibattiti, in quanto ritenuta causa di gravi problemi economici e di
inquietudini a danno dei cittadini (privati o imprenditori).
Va senz'altro detto che i metodi adottati, i costi esorbitanti e gli interessi al limite dell'usura applicati nella riscossione da
Equitalia contribuiscono oltremodo ad aggravare la posizione dell'onerato che, sempre più spesso, non adempie per sua grave
incolpevole insolvenza, non già per mancanza di volontà. Inoltre, i numerosi episodi di iscrizione di ipoteca su case per valori
inferiori alla soglia legale minima ( la legge 70/2011 prevede come soglia minima euro 8.000), gli episodi emersi di conflitto di
interesse di funzionari Equitalia operanti anche in agenzie immobiliari relativamente all'acquisto di case messe all'asta, episodi
di cartelle pazze (per le quali sono state fatte pubbliche scuse), hanno acceso un dibattito da parte delle associazioni di
categoria, dei sindacati, e non da ultimo dal mondo della politica che chiede da tempo modifiche dei regolamenti di riscossione
delle imposte.
Se infatti il pagamento dei tributi fa indubbiamente parte degli obblighi di legge, raddoppiarne l'importo dovuto come spesso
accade a seguito dell'intervento di Equitalia, per chi non è riuscito suo malgrado a versarlo, può significare tracollo finanziario
e grave indigenza delle famiglie con un corrispondente e meramente virtuale vantaggio per le casse dello Stato.
D'altro canto, rilevasi che la riscossione dei tributi, nonché dei crediti da parte di Equitalia comporta per il comune
l'obbligo di pagamento di un importo a titolo di provvigione per tale servizio.
In sostanza, il tributo introitato dal comune viene decurtato dell'importo pari alla provvigione dell'ente riscossore,
mentre l'onerato paga un importo notevolmente superiore perché maggiorato di spese, interessi straordinari e sanzioni.
Ebbene, la legge dello Stato 388/2000 art. 36 e legge N. 106/2011 prevede che tutti i Comuni possano evitare le
conseguenze sopra descritte mediante la riscossione diretta dei rispettivi crediti senza dover delegare Equitalia.
A tal scopo, il Tea Party Italia, da sempre impegnato nella lotta contro l'eccesso di tasse e di burocrazia,
C H I E D E
che il Comune da Lei amministrato provveda alla riscossione diretta dei propri crediti, siccome previsto dalla legge N.
106/2011, nell'auspicata prospettiva futura di una distensione dei rapporti tra istituzioni da una parte e cittadini e imprese
dall'altra, in un momento di grave crisi economica e di liquidità. Consentendo così una maggiore entrata per le casse del
comune da lei amministrato determinato dal risparmio delle provvigioni a favore di Equitalia.
Per il Comune riscuotere direttamente non significa rinunciare al credito e premiare chi non paga, ma più
semplicemente evitare quegli sciacallaggi che troppo spesso hanno determinato il suicidio di persone in difficoltà.
Dimostri in questo modo di essere vicino ai cittadini alle loro imprese, in un momento di grande difficoltà. Con le risorse
risparmiate il Suo Comune potrà anche più agevolmente agire sul ribasso delle aliquote IMU.

Il Tea Party organizzerà eventi pubblici e raccolte di firme per sostenere la presente istanza.

Il Tea Party Italia sarà grato di ricevere riscontro in merito agli intendimenti del Comune onde poterne dare pubblicamente il
giusto risalto.

Con osservanza,
Tea Party Italia,
Segreteria Nazionale
--------------------------------------

Segreteria e ufficio stampa: 377 4178051 • segreteria@teapartyitalia.it
Sede operativa: Viale della Republlica, 159 – 59100 Prato (PO)

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RE: [OT] Tea Party - Cher - 06-11-2012 12:10

http://www.ilgiornale.it/news/cultura/ec...53228.html


Ecco perché è stupido odiare i ricchi
L'inedito del grande economista liberale. Il risentimento verso imprenditori e capitalisti danneggia tutti e spalanca le porte agli abusi di potere

Pubblichiamo uno stralcio de "In nome dello Stato" (Rubbettino, pagg. 212, euro 12, 90; prefazione di Lorenzo Infantino; traduzione di Enzo Grillo) del grande economista liberale Ludwig Von Mises

Il testo, inedito in Italia, dal punto di vista cronologico precede e segue di poco lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Mises interpreta la ascesa di Hitler nel quadro dell'avversione nei confronti della libertà individuale e del mercato, tipica di tutti i membri della famiglia del totalitarismo. L'analisi storica quindi lascia il passo alla analisi della mentalità anticapitalistica. Ed è da questa parte del libro che preleviamo il capitolo offerto ai nostri lettori.

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La riforma non deve co­minciare dallo Stato, dal governo e dalla vita pubblica.
Ciascuno de­ve cominciare da se stesso e deve essere il primo a liberarsi dal gio­go del dogmatismo, che gli impe­disce di usare liberamente le sue capacità mentali.

Ogni singolo in­dividuo deve sforzarsi di affran­car­si dalle frasi fatte e dalle formu­le che oggi considera verità intoc­cabili. Ogni singolo individuo de­ve riconquistare­ con un duro lavo­ro il diritto di poter dubitare di tut­to, e di non riconoscere nessuna autorità che non sia quella del pensiero logico.

Per conquistare questa libertà, occorre superare le inibizioni emotive che di solito offuscano il pensiero. Bisogna ac­ca­ntonare il risentimento e la pre­sunzione.

Il mercato dell’ordine sociale capitalistico è democrazia dei consumatori.

Gli acquirenti sono sovrani, e la loro domanda – o la mancata domanda – orienta i mezzi di produzione nelle mani di coloro che sanno impiegarli in maniera da soddisfare i desideri e le aspettative dei consumatori nel miglior modo possibile e al mi­nor prezzo possibile.

Che uno di­venti più ricco e l’altro più povero è un risultato del comportamento dei consumatori. Non è il crudele consumatore a rovinare l’impren­ditore poco capace, ma l’acqui­rente che compra dove viene ser­vito meglio e a minor prezzo.

Solo il consumatore domina nell’eco­nomia capitalistica. Gli imprendi­tori e i capitalisti sono i suoi servi­tori, la cui unica preoccupazione è quella di individuare i desideri del consumatore e cercare di sod­disfarli con i mezzi disponibili.

Im­prenditori e capitalisti nascono da un ripetuto, quotidiano proce­dimento di scelta; essi possono perdere in ogni momento la loro ricchezza e la loro posizione pre­minente, se i consumatori smetto­no di essere loro clienti.

È assurdo che il consumatore abbia invidia per la ricchezza delle persone che egli ha fatto ricche, perché ha pre­teso i loro servizi. Il consumatore danneggia se stesso quando chie­de provvedimenti contro il «big business». Chi invidia la ricchez­za del proprietario dei grandi ma­gazzini, compri pure dove ottiene una merce più scadente pagando­la di più.

Tutti oggi vogliono godere di più, consumare di più, sprecare magari di più e vivere meglio, ma poi invidiano il successo di colo­ro che hanno fatto del loro meglio per soddisfare questi loro deside­ri.

Offende l’amor proprio e l’or­goglio del filisteo il fatto di dover ammettere – sia pure controvo­glia – che altri sono stati più bravi a procurare tutti quei beni mate­riali che fanno ricca la vita esterio­re.

Lo umilia il fatto di essere riu­scito a occupare nella competizio­ne del mercato solo una posizio­ne modesta. E allora, per rimuove­re questo malumore, esco­gita una particolare giu­stificazione.

Egli non è più incapace dell’im­prenditore di successo, che si è arricchito; è so­lo una persona per be­ne, ed è più onesto di quei signori di gran successo, ma privi di scrupoli che hanno usato pratiche delin­quenziali che egli, per rimanere one­sto, ha sempre di­sprezzato.

Insom­ma – pensa il no­stro fariseo – io so­no bravo e capace quanto quelli che sono diventati ricchi; ma grazie a Dio sono moral­mente migliore di loro, che sono il peggio, e sarebbe doveroso da parte dell’autorità punirli per le loro malefatte, se­questrando la loro ric­chezza, illecitamente acquisita.

Se il governo pro­cede contro i ric­chi borghesi, può essere sicuro dell’applauso della massa. Que­sta­è una cosa che tanto i demago­ghi e i tiranni dell’antichità, quan­to i satrapi, i califfi e i cadì d’Orien­te e i dittatori di oggi hanno sem­pre saputo.

Quando un governo non sa far diventare ricche le mas­se, allora è il caso di far diventare poveri i ricchi. Tutte le volte che il filosovietico occidentale si è visto costretto ad ammettere che nella Russia dominata da Lenin e da Stalin le masse vivevano in mise­ria, ha sempre giocato la sua ulti­ma carta: sì, è vero, questi russi moriranno anche di fame e di stenti, ma sono più felici dei lavo­ratori occidentali, perché si sono presi la soddisfazione di vedere che gli ex «borghesi» russi se la passano peggio di loro.

I francesi hanno preferito perdere una guer­ra anziché permettere agli im­prenditori dell’industria bellica di fare profitti.

L’essenza del risentimento sta appunto in questo: essere prigio­nieri dei sentimenti di invi­dia, di vendetta e di gioia perversa per il male altrui, quantunque se ne riceva un danno per se stessi.

Non meno funesti degli effetti del risenti­mento sono gli effetti della pre­sunzione, che impedisce agli indi­vidui di ammettere il diritto altrui di interloquire.

Come il risenti­mento, anche l’intolleranza che vuole imporre solo la propria vo­lontà, e perciò invoca il dittatore affinché realizzi ciò che la propria volontà pretende, non è un segno di forza ma di debolezza e impotenza.


RE: [OT] Tea Party - Cher - 11-11-2012 12:14

http://www.miritalia.it/component/allvid...nt-vincent

http://www.liberoquotidiano.it/video/111...C3%AC.html

Questo il programma, molto interessante!

http://www.miritalia.it/component/allvid...-programma


RE: [OT] Tea Party - Cher - 18-11-2012 11:01

Possibile seguire il I° convegno di MIR-Italia qui http://www.miritalia.it/

Anche qui:
http://www.justin.tv/tvqui?utm_campaign=...896080/170


RE: [OT] Tea Party - Cher - 30-11-2012 12:47







http://www.youtube.com/watch?v=IuVeXttmJ6M


RE: [OT] Tea Party - Cher - 01-12-2012 21:36



Mir Moderati Italiani Rivoluzione
Annullate le primarie del Pdl Intervista all’Avv. Gianpiero Samorì
Ora che non si faranno più cosa succederà? «Faremo un nostro un movimento»

«La scelta che è stata fatta, se sarà confermata, credo sia la più giusta: il Pdl in quanto tale non può avere guida migliore che quella del presidente Berlusconi. In questo anno e mezzo di reggenza del segretario Alfano non sono stati prodotti grandi risultati.
Ora bisogna capire se, in un partito dove Berlusconi è leader indiscusso, persone che possono dare un contributo implementativo abbia senso che rimangano dentro il Pdl oppure sia preferibile che organizzino il proprio movimento
».
Avvocato sta quindi pensando di guidare questa nuova formazione politica?
«Sì, un movimento che possa poi imparentarsi con il Pdl e che possa intercettare una serie di voti che sono fuori al Pdl».

Un percorso chiaro, rivolto ad un gran numero di cittadini elettori? «A tutta una serie di persone che oggi hanno voglia di una visione di rottura dell’attuale sistema, che hanno votato per il Pdl ma ne sono rimasti delusi. Persone che vogliono contenuti programmatici forti, discontinuità con l’attuale sistema, compresi i grillini».

Insomma un programma rivoluzionario nei contenuti, moderato nello stile e con un approccio a risolvere i problemi fondamentali e più urgenti del paese. Temi che ha affrontato nelle ultime settimane davanti a milioni di persone che lo hanno seguito nelle principali e più importanti trasmissioni televisive e radiofoniche.
Uno spazio pubblico dove ha offerto le sue soluzioni a problemi fondamentali del paese come il debito nazionale:

«che bisogna abbattere in forma radicale e non attraverso politiche recessive che portano al disastro l’Italia.Bisogna prendere i soldi dove ci sono e non dai cittadini consumatori».

Quindi l’uso delle riserve auree e monetarie della Banca d’Italia, quelle delle Fondazioni (non solo bancarie), la dismissione di una parte di beni statali e una patrimoniale, ma solo per i più ricchi. Risorse necessarie per la ricostruzione del Paese.



RE: [OT] Tea Party - Cher - 06-12-2012 12:02

http://www.irpinianews.it/Politica/news/?news=111774

http://www.miritalia.it/component/allvid...5-dicembre

Samorì --------> MITICO! Agorà --->Time: 14.30 - Time: 32.50


RE: [OT] Tea Party - Cher - 07-12-2012 14:12

Chi è Gianpiero Samorì?
[i]Prof. Avvocato Gianpiero Samorì, nato a Montese (Mo) il 25/05/1957 ed ivi residente.
A)  Maturità Scientifica ottenuta nel 1976 con voti 60/60.
B)  Iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università di Bologna nell’anno Accademico 1976/77.
C) Laureato presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna in data 17/03/1981 con voti 110 e dichiarazione di lode.
D) Dall'aprile 1981 cultore della materia e assistente presso la Cattedra di Diritto Processuale Civile della Facoltà di Giurisprudenza della Università di Bologna.
E) Premio Iacchia per la migliore tesi del 1981 assegnato nel 1982.
F) Procuratore legale nel marzo 1984 con punti sessantacinque, arrivando secondo in tutto il distretto della Corte d’Appello di Bologna.
G) Nel 1984 superato il concorso di ammissione al Dottorato di Ricerca in Diritto Processuale Civile con sede a Bologna e vinto la Borsa Ministeriale per corsi di studio all’estero, che ha utilizzato nel biennio 85-86 presso l’Università di Salisburgo.
H) Nel 1987 ha superato il corso finale del Dottorato di Ricerca con il consenso unanime della Commissione.
I) Nel 1987 è divenuto professore di Diritto Fallimentare presso la Facoltà di Giurisprudenza di Urbino.
L) Dal maggio del 1990 iscritto nell’Albo degli Avvocati della Circoscrizione di Modena.
M) Ha al suo attivo undici pubblicazioni, quattro note a sentenza, sei articoli di dottrina, una monografia, nonché la redazione di una sezione del Commentario al Codice Civile di Procedura Civile edito dalla Cedam.
N) Nel 1990 nominato Commissario governativo del Consorzio Lattiero Caseario Italiano Soc. Coop. a r.l., che ha completamente risanato.
O) Nel 1991 Presidente del Consorzio Lattiero Caseario Italiano Soc. Coop a r.l. fino al 31-12-2000.
P) Nel 1994 Presidente della Banca di Modena, carica che ha ricoperto fino all’ 8-1-2002.
Q) Nel 2001 Presidente di ASSICURATRICE MILANESE S.P.A.
R) Nel 2002 ha promosso e costituito, diventandone Presidente del c.d.a., BANCA MODENESE S.P.A..
S) E’ presente in numerosi c.d.a. di importanti aziende industriali ed attualmente socio di riferimento della Holding di partecipazioni MODENA CAPITALE S.P.A. cap. soc. 125.000.000 interamente versato.
T) Presidente e fondatore dell’Associazione Bper Futura, fin dal 2007 porta avanti una campagna di informazione e mobilitazione per reclamare una politica di gestione delle banche più attenta alle esigenze dell’economia reale e porre un argine agli incredibili privilegi di cui gode la Casta dei Banchieri (compensi milionari, clientelismi, affidamenti), nonostante la loro gestione autoreferenziale abbia determinato distruzioni di valore senza precedenti.[/i]


RE: [OT] Tea Party - Cher - 11-12-2012 14:14

http://www.youtube.com/watch?feature=pla...OA7zSDc0#!


RE: [OT] Tea Party - Cher - 11-12-2012 19:01

COMUNICATO STAMPA - Gianpiero Samorì: “In campo per cambiare l’Italia”
  
Creato Lunedì, 10 Dicembre 2012 17:16
L’avvocato Gianpiero Samorì, fondatore e presidente dell’associazione M.I.R. (Moderati Italiani in Rivoluzione), dichiara:

“MIR, Moderati Italiani in Rivoluzione, sarà presente alle prossime elezioni per la Camera e il Senato con liste autonome. Le liste, che verranno presentate in tutte le Regioni, saranno espressione del movimento con candidati provenienti dalla società civile e quindi dal mondo del lavoro, delle imprese e delle professioni con grande spazio alle donne e ai giovani. MIR appoggerà la candidatura a premier del leader indicato dalla coalizione cui parteciperà. E alla decisione di presentare le liste con il simbolo del MIR si è giunti d’intesa con il Presidente Berlusconi a seguito dell’annuncio della sua  candidatura alla guida del Paese. Moderati Italiani in Rivoluzione ritiene di poter dare al fronte moderato un grande contributo in termini programmatici grazie alle proposte che saprà esprimere e a una rinnovata classe politica dirigente che metterà in campo. Con un obiettivo chiaro: ridare prosperità e serenità agli italiani”.      


RE: [OT] Tea Party - Cher - 13-12-2012 14:35

http://www.miritalia.it/component/allvid...2-dicembre


RE: [OT] Tea Party - Cher - 16-12-2012 16:33

http://blog.ilgiornale.it/sacchelli/2012...americana/

L’italiano che fece l’America

C’è un pezzo d’Italia nel Dna politico-culturale degli Stati Uniti. Lo si deve a Filippo Mazzei, nome che agli italiani dice poco o nulla, ma la cui importanza è stata riconosciuta dagli storici e da almeno tre presidenti americani.

Nato a Poggio a Caiano (a 15 km da Firenze) nel 1730, ebbe una vita decisamente movimentata: pur non avendo mai completato gli studi si improvvisò medico a Smirne. Più tardi si trasferì a Londra, dove visse circa diciassette anni come commerciante. Lì fece amicizia con personaggi del calibro di Benjamin Franklin e John Adams, e procurò al Granduca Pietro Leopoldo di Toscana due stufe disegnate dal poliedrico scienziato (nonché politico) americano.

Venuto a conoscenza che il clima e il paesaggio della Virginia non erano molto diversi da quelli della sua Toscana, nel 1773 si trasferì nella colonia, per introdurvi la coltivazione della vite e dell’olivo e, al contempo, avviare scambi commerciali tra l’America e l’Europa. Fu Thomas Jefferson a convincerlo a stabilirsi vicino alla sua tenuta di Monticello, nella contea di Albemarle. Ottenuta la cittadinanza della Virginia Mazzei si appassionò alle vicende della Rivoluzione, scrivendo numerosi pamphlet e articoli tradotti dal suo amico Jefferson, e arruolandosi come volontario per combattere contro gli inglesi.

Il 6 maggio 1776 Mazzei pubblicò le Istruzioni dei possidenti della Contea di Albemarle ai loro delegati alla Convenzione. Il 12 giugno 1776, la Convenzione adottò la Dichiarazione dei diritti della Virginia. Passa meno di un mese e il 4 luglio 1776, a Filadelfia, si incontrarono i rappresentanti delle tredici colonie in Congresso Generale. Fu adottata una Dichiarazione, che più tardi risulterà abbozzata dal vicino di casa di Jefferson, Filippo Mazzei, che affermava fra l’altro:

“Noi teniamo per certe queste Verità. Che tutti gli Uomini sono creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili…”. I pensieri di un immigrante italiano finirono, così, nel documento della fondazione degli Stati Uniti d’America: la Dichiarazione d’Indipendenza.

Nelle Istruzioni Mazzei scrisse con malcelato orgoglio: “La gloria di essere stato fra i fondatori comporta una tale gratificazione ai nostri cuori da controbilanciare tutti i problemi ed i sacrifici”.

“È il collegamento mancante (missing link) che pone Mazzei fra i nostri Padri fondatori. Non c’è dubbio che tale documento - “Bozza di Istruzioni”- fu scritta da Mazzei. La sua importanza è riconosciuta nel 1952 quando Julian Boyd afferma in una nota editoriale (Le Carte di Thomas Jefferson, Vol. 6) che la bozza di Costituzione redatta da Jefferson nel 1783 è influenzata dalle concezioni contenute nelle “Istruzioni degli abitanti di Alberarle”. Boyd stampò la copia trovata dall’impiegato fra le carte di Jefferson; non era consapevole che il documento è di Mazzei (Mario Biaggi, Un apprezzamento di Filippo Mazzei, Patriota americano sconosciuto; da “Congressional Record”, Washington, D.C., 12 Settembre 1984, pag. 3806).

Rientrato in Europa Mazzei fu spettatore privilegiato della Rivoluzione francese (come consigliere e in seguito rappresentante a Parigi del re Stanislao Augusto di Polonia) e ne condannò la deriva giacobina. Visse gli ultimi anni a Pisa, dove morì nel 1816.


RE: [OT] Tea Party - Cher - 17-12-2012 11:41

http://www.ilrestodelcarlino.it/modena/p...mier.shtml

Samorì: "Mi candido premier Alleanze solo se senza Monti"
L'annuncio su Radio2
Per l'imprenditore "Un altro anno con il professore significherebbe il 2-3% dei licenziamenti in più"

Modena, 16 dicembre 2012 - Gianpiero Samorì, l’imprenditore modenese che si era candidato alle Primarie del Pdl e fondatore dei ‘Moderati in Rivoluzione’, oggi al programma di Radio2 ‘Un Giorno da Pecora - Speciale Pecorarie’ ha spiegato di volersi candidare come premier. A Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro, oggi in diretta da Piazza di Spagna a Roma, Samorì ha spiegato: “Mi candido come premier alle prossime elezioni politiche, per la mia campagna elettorale spenderò centomila o duecentomila euro”.

Con quale lista si alleerà? “Le liste in campo ancora non ci sono, quindi - ha aggiunto - per ora posso dire solo con che non mi apparenterò con nessuna lista di sinistra né con liste che si richiamino a Mario Monti”. Perché esclude anche una lista Monti? “Perché se Monti resta un altro anno vi dico - ha concluso Samorì - che verranno fatti il 2-3% in più dei licenziamenti”.
..........................
Qui una interessante intervista , dove L'Avv. Samorì può parlare senza interruzione.
http://www.miritalia.it/component/allvid...embre-2012



RE: [OT] Tea Party - Cher - 19-12-2012 19:36


RE: [OT] Tea Party - lucaberta - 20-12-2012 10:35

Legiferare? Io vorrei distruggere una grande quantita' di leggi, altroche' metterne di nuove!

Io vorrei che lo stato fosse ridotto ai minimi termini, e per fare questo bisogna distruggere quasi interamente quello che c'e' oggi, in Italia cosi' come in tanti altri paesi.

Meno stato uguale piu' liberta' per i cittadini di fare gli imprenditori e di creare ricchezza. Non si crea ricchezza con le tasse, le tasse servono solamente per TOGLIERE ricchezza.

Luca


RE:  [OT] Tea Party - Cher - 20-12-2012 11:55

lucaberta ha Scritto:

Legiferare? Io vorrei distruggere una grande quantita' di leggi, altroche' metterne di nuove!

Io vorrei che lo stato fosse ridotto ai minimi termini, e per fare questo bisogna distruggere quasi interamente quello che c'e' oggi, in Italia cosi' come in tanti altri paesi.

Meno stato uguale piu' liberta' per i cittadini di fare gli imprenditori e di creare ricchezza. Non si crea ricchezza con le tasse, le tasse servono solamente per TOGLIERE ricchezza.

Luca


................stai dicendo ESATTAMENTE le stesse cose di Samorì!
http://www.miritalia.it/component/allvid...embre-2012

Qui puoi ascoltare una parte del suo programma senza interruzioni.
RE:   [OT] Tea Party - lucaberta - 20-12-2012 12:00

Cher ha Scritto:

................stai dicendo ESATTAMENTE le stesse cose di Samorì!

vediamo, perche' non e' quello che ho letto nelle due immagini che hai postato qui sopra, dove ha parlato di mettere una patrimoniale e di legiferare... due cose che personalmente mi fanno subito pensare all'ennesimo social-capitalista, di cui l'Italia e' piena.

Riporta:
http://www.miritalia.it/component/allvideoshare/video/latest/il-prof-avv-gianpiero-samori-a-xnews-11-dicembre-2012

Qui puoi ascoltare una parte del suo programma senza interruzioni


59 minuti! Ugh!  Vediamo un po' sotto le feste...

Comunque sia rimane il mio intento di non votare piu', il voto e' l'ultima cosa che mi rimane da fare. Ed e' NON votando che posso fare capire a questo stato ladro e a questa politica ingorda del fatto che non sto piu' al loro gioco.

Se si continua ad andare a votare, non si fa altro che legittimare lo stato ed i politici.

L'astensione e' la cosa che gli statisti temono di piu'.

Luca

RE: [OT] Tea Party - Cher - 20-12-2012 12:16

Il tuo ragionamento non fa una piega e mi trova d'accordo! Ti dirò di più ,si fregano anche i "voti" di che non è andato a votare! E questo mi fà incavolare ancora di più! ( c'è un meccanismo che risucchia tutti i voti, l'unico modo legalmente corretto affinché il tuo diritto al voto non venga risucchiato è quello di rifiutarti a votare, cioè tu vai al seggio prendi la scheda e poi fai mettere a verbale che NON voti. allora la tua scheda non viene utilizzata nel conteggio. Ma attenzione, un magistrato o giudice, non ricordo ha sanzionato questa pratica anche se è un diritto.
Vedi tu!
Cmq , dal mio punto di vista..... 5 anni secchi di NIENTE governo = 0 spese...... e poi ne riparliamo! Wink

Qui poi ascoltare Samorì e il suo programma!
http://www.miritalia.it/component/allvid...embre-2012

http://www.miritalia.it/component/allvid...9-dicembre

qui un'altra sintesi in 7 minuti


RE: [OT] Tea Party - Cher - 21-12-2012 12:14

Qui tutte le slide del programma della Ricetta SamoRì

http://www.slideshare.net/mirmoderatiriv...etta-samor[attachment=137]


RE: [OT] Tea Party - Cher - 19-01-2013 18:51




Semplice, chiaro, diretto. Il PROGRAMMA del MIR - Moderati In RIVOLUZIONE.

Difficilmente i media nazionali (sovvenzionati con soldi pubblici!) ci permetteranno di esporre il nostro programma.

Se lo ritenete di vostro gradimento, condividetelo. L'Italia ha bisogno di una svolta libertaria e radicale.

PROGRAMMA del MIR - Moderati In RIVOLUZIONE.

1. CREAZIONE della RICCHEZZA da REDISTRIBUIRE.
IL primo problema da risolvere è quello di trovare i soldi per finanziare tutti i punti del Programma, partendo dalla diminuzione del DEBITO PUBBLICO da 2000 miliardi di euro, portandolo a metà, (1000 miliardi ).
Andiamo a prendere i soldi dove sono. Basta prendere i soldi ai soliti sudditi Italiani
SOLDI DA ACQUISIRE per il bene degli ITALIANI.
1/A. 250 miliardi presi alla Banca d'Italia ( 80 oro depositato in USA + 170 in cassa )
2/B. 350 miliardi da tutte le Fondazioni Bancarie e non.
3/C. 100 miliardi dalla vendita di immobili inutilizzati però con destinazione d'uso.
4/D. 300 miliardi Restanti, con una PATRIMONIALE una tantum a tutti i veri Ricchi d'Italia, possessori di patrimoni che vanno da 10 milioni di euro in su. Da non confondere con il reddito da 10 milioni in su, perché sarebbero troppo pochi, 15.000 soggetti circa.
RISULTATO: TOTALE 1000 miliardi in meno di Debito - pari a 60/80mila miliardi di interessi RISPARMIATI, che lo Stato Italiano risparmierà ogni anno e che Saranno redistribuiti agli Italiani.

2. NUOVA TASSAZIONE della REDDITIVITÀ del POPOLO ITALIANO
Ridistribuire i soldi del punto (1) ai Lavoratori che sono anche Consumatori, questi rilancerebbero la Produzione in Italia ( PIL ) spendendo quanto ricevuto.
Come? Chi ha un reddito di 15.000 € oggi paga il 23% di MONTASSE, con Samorí sarà uguale a 0%.
Fino a 50.000 € il 15%
Oltre 50.000 € il 20 %
Oltre a 100.000 € il 30 %
Reddito da Impresa non più de 35% nel suo complessivo.

3. COSTI da TAGLIARE
TAGLIO NETTO a tutto quanto lo Stato sperpera in POLITICA/Parlamento e non solo, a tutti quei ceti burocrati tendenzialmente di servizio, asserviti e Finanziati dallo Stato in Pazzeschi stipendi e Vitalizi, con Benefit da veri regnati, Auto Blu, Ecc.cc. Questi Ceti, da servitori dello Stato sono diventati PARASSITARI, alcuni esempi: INPS, Uff.ENTRATE, EQUITALIA, ESERCITO (Intendendo solo i vertici di ogni Arma ), il QUIRINALE del CAPO DELLO STATO, SINDACATO, PARTITI, REGIONI, PROVINCE, COMUNI, UNIVERSITÀ, GIORNALI, TV DI STATO, BANCHE, nr. 7000 Municipalizzate Parastatali, insomma, tutti gli APPARATI che ricevono soldi dallo STATO.
I soggetti dell'elenco sottraggono alle IMPRESE ai LAVORATORI e ai CONSUMATORI, una parte eccessiva della ricchezza prodotta da questi 3 soggetti, senza dare nulla in cambio, per giunta soffocandoli.

4. LOTTA ALL'EVASIONE.
in che modo? quando il punto (2) sarà attuato, si toglierà qualsiasi alibi a qualsiasi soggetto , che avendo tasse elevate, giustifica come etico evadere, quando invece non lo è mai, come non è mai etico tassare il popolo fino a un 70%, da parte di uno Stato Ingiusto. Qualunque sciocco sa imporre le tasse, l'abilità consiste nel ridurre le spese e trovare i soldi senza aumentare le tasse.
Quando l'evasore avrà tasse eque e fosse stanato, in questo caso non avrà più ALIBI, nei confronti di questo soggetto si dovrà agire in modo draconiano, in modo progressivo, sino al caso limite di sospendergli ogni utilizzo del denaro, sino a quando non si è sanata la sua posizione.

5. FUTURO D'AVANGUARDIA.
Fine di un era dove lo Stato finanzia aziende che producono prodotti standard, in concorrenza con produttori di paesi poveri per basso costo della vita, e per una competizione persa in partenza.
ESEMPIO di SETTORI Finanziabili dalla Stato:
SCUOLA, SANITÀ e SOCIALE
Finanziamento dello Stato a tutti i settori, per formare menti capaci e professionalmente preparate ad affrontare la Competitività Mondiale.

Quando uno stato acquisisce la tranquillità finanziaria recuperata al punto (1), pensare al SOCIALE diventa un appagante soddisfazione, che riempie il cuore di gioia.

Quando questa ricchezza non esiste, diventa una promessa da mercante.

INNOVAZIONE TECNOLOGICA.
Norma di legge che vieta, tra 5 anni, la commercializzare di Autovetture a scoppio ad ogni costruttore mondiale su territorio Italiano. Obbligo di commercializzare solo autovetture Elettriche o a Idrogeno. Con questa norma si Catalizzeranno nuovi centri studi, in nuove imprese che investiranno i loro capitali.

EDILIZIA
Detassazione per la ricostruzione e relativa demolizione di tutte quelle abitazioni che? dagli anni 50 ad oggi, sono state costruite senza il rispetto dell'estetica, dell'ambiente, del risparmio energetico, Strutturale, e dell'antisismica. Basta con la costruzione di nuove case che servono solo a far abbassare i prezzi delle vecchie, allargando città e paesi a macchia di leopardo, aumentando così i costi per le urbanizzazioni e della loro manutenzione.

AMBIENTE
Lo Stato potrà finalmente finanziare tutte quelle attività che si assumeranno l'onore di intervenire sul patrimonio artistico, monumentale, territoriale, paesaggistico, naturalista, bonificando e rimuovendo, tutto ciò che di male abbiamo fatto in oltre 60 anni.

ATTUAZIONE PROGRAMMA. A Due condizioni.

Premessa: Tristemente la COSTITUZIONE permette di far mancare le maggioranze, incentivando sempre di più questa tristezza, offrendo, con le sue norme, aiuto a quegli uomini egoisti, predisposti al ricatto, con l'arma del cambiamento di coalizione ingiustificato, andando da destra a sinistra e viceversa, ripetendo periodicamente quella musica che va avanti da 60 anni. Ergo, anche il migliore dei programmi, il nostro ( MIR ), non troverebbe attuazione se non avessimo creato 2 Condizioni essenziali.

la PRIMA - UNICO MOMENTO
Il MIR ha già scritto da tempo tutte le norme di legge per l'attuazione del Programma, i candidati che vogliono candidarsi con il MIR le dovranno sottoscrive in toto a loro totale accettazione. I candidati non dovranno provenire dal sistema partitico vecchio o recente.
Quindi, una volta vinte le elezioni, la presentazione di tutte le norme di legge sarà immediata in UNICO MOMENTO.
Unico momento perché tutti quegli apparati, indistintamente BUROCRATICI e PARASSITARI, insorgeranno opponendosi duramente alla salvaguardia del proprio Status.

la SECONDA - TEMPI RAPIDI
30 giorni Per la presentazione delle Norme di legge
30 giorni Per l'attesa delle obiezioni dell'opposizione
30 giorni Per studiare le obiezioni.
Non più tardi del 90esimo giorno si dovrà porre la Fiducia sui testi normativi.

SE DOPO 90 gg. NON SI È RIUSCITI NELL'INTENTO significherebbe che i Ceti Parassitari con la loro struttura decennale sono risultati Vincenti.
RITORNO ALLE URNE IMMEDIATO, anche 10-100 volte. Il costo delle elezioni è tra i pochi costi che un popolo non deve risparmiare, è l'investimento migliore che un sistema democratico deve fare.

Apparentamenti da verificarsi, una cosa è certa, con nessuno che pensa al risanamento con le MONTASSE.

La situazione ITALIANA è Catastrofica, in un momento Straordinario bisogna prendere provvedimenti Straordinari.
Molti anni fa esisteva uno spot che rende bene l'idea.
PARETE GRANDE, GRANDE PENNELLO.

SINISTRA, DESTRA, FASCISTI, COMUNISTI...ECC.
Sono ormai concetti sorpassati, ma ancora vivi nelle menti degli Italiani, che devono cancellare e capire come in questa fase dobbiamo essere UNITI PIÙ CHE MAI.


RE: [OT] Tea Party - Cher - 24-01-2013 22:01