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Il muro della vergogna dei giornalisti
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Cher
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RE: Il muro della vergogna dei giornalisti

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BOSSINI, LA RINASCITA DI UN CAMPIONE
Ha sconfitto il cancro, ora vuole Londra 2012

ALESSANDRO MASSINI INNOCENTI0 7/09/11

La voce di Paolo Bossini tradirebbe chiunque. Se non fosse per i dati anagrafici (è nato a Brescia il 29 giugno 1985) nessuno crederebbe di parlare al telefono con un giovane 26enne lombardo. Nove anni di vita a Roma (dove gareggia per l’Aniene), hanno trasformato il suo accento da bresciano a romano e il timbro vocale è quello tipico del fratello maggiore, da uomo navigato. Una voce rassicurante. Del resto Paolo è cresciuto alla svelta: medaglia d’oro nei 200 m rana agli Europei di Madrid nel 2004, a soli diciannove anni. Nel 2006, medaglia d’argento a Budapest. Stessa rassegna, stessa specialità. Senza dimenticare le altre medaglie e i record in giro per il mondo (pochi, ad esempio, ricordano il suo record europeo, nel 2008, alle Olimpiadi di Pechino). Proprio da Pechino in poi, il fisico di Paolo va in tilt. Le malelingue lo accusano di essere privo di stimoli, di sentirsi realizzato, ma non è così. Qualcosa lo sta divorando da dentro, un male con cui nessuno vorrebbe fare i conti: il cancro.

Mi parli prima delle sue origini sportive. Com’è nata la sua passione per il nuoto?

Quasi per caso. Soffrivo d’asma e i medici consigliarono a mia madre il nuoto per fare fronte alle mie difficoltà respiratorie. Avevo solo quattro anni, non era il mio sport preferito, ma a quell’età non puoi decidere ciò che è meglio per te. Poi, con il tempo, ho visto che nuotare mi dava benefici a livello fisico e soddisfazioni dal punto di vista agonistico. Da lì non ho più potuto farne a meno, anche se davvero, è uno sport che mi ha dato tutto, immense gioie e grandi dolori.

Come ha scoperto la malattia?

Tre mesi prima delle Olimpiadi del 2008 ho fatto gli Europei in vasca corta a Eindhoven. Non andarono male, di più. Questo perché il mio fisico subiva già degli scompensi che non mi permettevano di mantenere i miei ritmi. A Pechino invece accadde l’impensabile: probabilmente era un giorno che mi girava bene, perché feci il record europeo. Poi dopo Pechino, il tracollo. Non riuscivo a nuotare bene, a fare una gara decente. Cominciò così a girare la voce che avessi perso la voglia, gli stimoli. Ma la gente si sbagliava. Semplicemente il mio fisico non reggeva. Non riuscivo nemmeno a sopportare i carichi di allenamento. Cominciai ad avere febbri, malesseri continui. E’ stata una malattia subdola perché io stavo sempre peggio, facevo le analisi e queste erano perfette. Poi a fine 2010, durante un allenamento, facendo un movimento con il collo ho sentito qualcosa di strano, come un bozzolo, sotto la pelle. A quel punto gli esami specifici hanno dato il verdetto, avevo un tumore al sistema linfatico.

Cosa le hanno detto i medici?

Che il tumore era causato dal disastro nucleare di Chernobyl. Al tempo io avevo solo un anno e rientravo nella fascia di popolazione più a rischio. Non so se fosse davvero quello il motivo o un modo dei dottori per giustificare la cosa. L’origine reale di questo male non è individuabile. Comunque credo avessero ragione, perché io ho sempre avuto una vita sana, regolare. Se c’è una spiegazione, quella è l’unica possibi
le.

E a quel punto, a chi si è aggrappato per farsi forza?

Mi sono aggrappato agli affetti. A mia moglie Laura e alla nostra splendida figlia Angelica, alla mia famiglia a Brescia. Anche gli amici sono stati importanti. Ho ricevuto tanti messaggi di sostegno via sms, via Facebook. Anche questi mi hanno fatto bene, ma la famiglia ha vissuto con me, in prima linea, il mio dolore. La forza mi è arrivata da loro.

La storia più recente, simile alla sua, è quella di Eric Abidal (difensore del Barcellona operato per un tumore al fegato ndr). Secondo lei quali sono le motivazioni che aiutano un atleta a non mollare in un momento così difficile?
Abidal è riuscito a dimostrare a tutti quanto vale, anche come persona. Le nostre sono storie diverse, io ho dovuto fare cicli di chemioterapia. E’ una cosa che ti distrugge letteralmente il fisico, che ti avvelena. Lui ha avuto la “fortuna” di non vivere quel calvario. Ogni storia del resto, è una storia a sé. Le motivazioni sono rappresentate dalle persone che hai vicino e che ami, combatti per loro e per te stesso. Io ho vissuto quel periodo come una gara. Ora il mio obiettivo è ottenere la qualificazione alle Olimpiadi, con la malattia è stata la stessa cosa. Mi sono posto l’obiettivo di sconfiggerla. Pare incredibile, ma l’ho vissuta come una cosa semplice, non riuscivo a vivere la malattia come un dramma, vedevo solo il traguardo della guarigione, e l’ho raggiunto.

Durante la malattia ha avuto, a livello umano, sorprese o delusioni particolari?

Ho avuto grandi sorprese. Persone che credevo semplici conoscenti si sono rivelate vere amiche. Ho vissuto anche alcune delusioni, ma non voglio fare nomi.

Un altro ranista eccellente, Domenico Fioravanti, ha dovuto lasciare definitivamente la carriera agonistica per motivi di salute. Come pensa che avrebbe riorganizzato la sua vita, se l'avessero costretta a rinunciare alla sua più grande passione?
Non so come avrei reagito, perché avevo troppa sete di rivincita. Ho dovuto ingoiare rospi su rospi. Volevo rispondere a chi mi accusava negli anni precedenti di avere perso gli stimoli, la voglia. No, non ho pensato a cosa avrei potuto fare di diverso. Ho ancora troppo da dare a livello sportivo. Può darsi che fra cinque anni farò l’allenatore, gestirò un centro sportivo, non lo so. Il pensiero di riporre gli occhialini nel cassetto non mi ha mai sfiorato. In più ho solo 26 anni, ho ancora alcune cartucce da sparare.

L’obiettivo, ora, è Londra 2012. Quanto ci crede? Il suo fisico come risponde agli allenamenti?

Ad oggi il mio fisico risponde abbastanza bene. Ho ripreso ad allenarmi da pochi giorni e se la testa va a mille il fisico non riesce ancora a tenergli il passo. Il “problema” è che la testa, con quello che ho vissuto, ha acquisito un livello tale di sicurezza che è davvero difficile, per il fisico, stargli dietro. In allenamento ho il ritmo dei compagni, poi, però, quando torno a casa mi lecco le ferite, sono letteralmente sfiancato. Credo che ci vorranno ancora un paio di mesi per tornare completamente nei ranghi, ma a Londra ci credo eccome.

Ai recenti mondiali la rivelazione è stata Fabio Scozzoli, anche lui ranista. Se lo aspettava?

Fabio è un grandissimo atleta, ha avuto una crescita fenomenale. Io l’ho visto da vicino e posso scommettere che sarà protagonista anche alle Olimpiadi.

Pensa che possa diventare un suo rivale a Londra?

Nello sport mai dire mai. Credo comunque che si concentrerà sulla sua distanza preferita, i 100 m. E’ arduo puntare sia sui 100 che sui 200. E’ anche vero che ci sono atleti che riescono a farlo, come il giapponese Kitajima, che riesce a sfoderare ‘temponi’ sia nei 100 che nei 200. Ma è una mosca bianca. A certi livelli, per rendere al meglio, si prepara solo una delle due distanze.

Come ha vissuto questi ultimi mondiali? Per chi ha tifato in particolare?

Io ho seguito tutte le gare in tv, e a grande malincuore. Avrei pagato di tasca mia per essere in vasca. Ammetto che non ho preferenze, quando guardo una competizione internazionale tifo per gli azzurri, senza distinzioni. Questo perché il nuoto, anche se è uno sport in crescita, è minore rispetto ad altri. Un risultato positivo da parte dei miei compagni fa crescere il movimento e questo è quello che conta, l’importante è la medaglia.

Ci saranno di sicuro altri atleti che, pur non essendo famosi, stanno vivendo o hanno vissuto un calvario simile al suo. Qual è l’incoraggiamento che vorrebbe dargli?

A chi è in difficoltà dico che con la mente e con il cuore si può davvero arrivare a traguardi impensabili. Sembra una frase fatta, lo so, ma quando ci si trova nella malattia ci si rende conto veramente di tante cose. So che il mio essere atleta sotto i riflettori, forse mi avrà agevolato, ma nulla è stato facile, anzi. Nella mia carriera, per ottenere certi risultati, ho dovuto scalare montagne e ostacoli che sembravano insormontabili. Io ho sempre lottato e visto una luce in fondo al tunnel del mio male, che mi faceva andare avanti spedito, senza mollare. Anche quando quella luce in realtà non c’era, perché all’inizio della cura non potevo avere la certezza che mi sarei salvato. Eppure ho subito pensato che piangersi addosso non avrebbe funzionato. Autocommiserandomi non mi sarei svegliato una mattina guarito, o sulla via della guarigione. A mio avviso l’errore più grande, in queste circostanze, sta nel domandarsi: “Perché proprio a me e non a qualcun altro?”. Sono domande inutili, l’unica cosa che bisogna fare è tirare fuori le palle e andare avanti. Ho conosciuto tante persone che non facevano altro che piangere, che chiedersi il perché del loro male. Non è questa la via. Bisogna crederci fino alla fine perché, lo posso assicurare, con le testa, se si vuole, nulla è impossibile.

Il suo messaggio dà forza anche a chi ha la fortuna di stare bene

Ci tengo a dire questa cosa, che sembra assurda: per me non è stata una tragedia. Il detto “Non tutti i mali vengono per nuocere” ha il suo perché, anche nel mio caso. Sono maturato. Nemmeno in vent’anni di vita sana avrei potuto trarre altrettanti insegnamenti e crescere di testa come sono cresciuto in quest’ultimo anno. La vita poi, ha davvero un altro sapore, la vedi da un’altra prospettiva. No, non è stata una brutta esperienza, mi ha lasciato tanto, tantissimo. Ovvio, non auguro a nessuno di vivere in prima persona una malattia simile e, soprattutto, spero di non averci più niente a che fare. Però sarei felice se la mia storia donasse un sorriso e un filo di speranza a chi ne ha bisogno. E so che sono in tanti.

Una nota di colore per chiudere l’intervista, nota sicuramente leggera rispetto a quello di cui si è parlato fino ad ora. Pellegrini-Magnini, che ne pensa?

L’idea che mi sono fatto è che Luca (Marin, ex della Pellegrini ndr) per me è come un fratello. Ognuno è davvero libero di fare quello che vuole, poi tutto il resto, come dicono a Roma, è noia…

Questo è Paolo Bossini. Campione di nuoto che ha sconfitto Chernobyl e ritorna alle gare. Forse non vincerà medaglie a Londra 2012, ma il record del coraggio non riuscirà mai a strapparglielo nessuno.


Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.



Cher03@hotmail.it

Messaggio modificato il: 09-09-2011 alle 20:45 da Cher.

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