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La Radioterapia in campo oncologico.
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RE: La Radioterapia in campo oncologico.

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Black-out di scintigrafie? Esaurite giacenze di radionuclidi
postato il 3.mar.2011 alle 8:13 pm | da admin
Di Riccardo Schiavo *
Liste di attesa, malasanità, c’entra qualcosa il “nucleare”? Questa domanda avrebbe dovuto sorgere spontanea nella pubblica opinione allorquando, nel mese di maggio, molte persone che avevano prenotato una scintigrafia presso un centro di Medicina Nucleare sono state contattate per rinviare il loro appuntamento per “motivi tecnici”. Perché si è verificato questo disservizio? Perché siamo in Italia, paese di rifiuti, di “malasanità”, di corruzione? Errore! Il disservizio si è verificato in tutto il mondo, occidentale o orientale, nord o sud del pianeta, indifferentemente, a causa del fermo-macchina contemporaneo di 3 reattori nucleari (in Canada, in Olanda, in Sud Africa) dei 5 in totale che producono Molibdeno-99, radionuclide madre del Tecnezio-99m, che costituisce a sua volta la base dei radiofarmaci utilizzati per eseguire le più comuni scintigrafie! Di tale possibile carenza si erano date avvisaglie già un anno fa, ma non si era giunti a un’interruzione di attività così pesante e nessuno di noi, medici nucleari, presagiva si potesse arrivare a tali livelli di inattività (alla lettera carenza di “radio”attività).

A questo temporaneo “black out” di prestazioni diagnostiche di elevato impatto (la scintigrafia ossea serve a scoprire la presenza di metastasi nel carcinoma mammario e della prostata, la scintigrafia miocardica indirizza diagnosi e prognosi della malattia coronarica) ha corrisposto un quasi analogo “black out” di notizie perché i “media” non si sono occupati quasi per nulla della questione (un paio di note sulla Reuters Health, qualche notizia sui siti web specificamente dedicati alla Medicina Nucleare).

L’idea del “ritorno al nucleare” suona quindi particolarmente urgente per chi, come me, fa il medico nucleare da quasi 30 anni ma che solo nella primavera scorsa ha avuto la percezione che si fosse “abbandonato il nucleare”. Si è dato allora un forzoso “risveglio” e ci si è improvvisamente accorti che non può esistere una Medicina Nucleare se non c’è dietro un’industria nucleare che garantisca la disponibilità dei nuclidi necessari per produrre i radiofarmaci.

La triste realtà è che la nostra disciplina dipende dall’attività di pochi reattori, di vecchia generazione, bisognosi di interventi di manutenzione sempre più ravvicinati: il braccio di ferro tra industria e governo dell’Ontario per assumersi la responsabilità di riparare il reattore di “Chalk River” è durato settimane.

Da maggio a oggi è cambiato qualcosa? Negli USA la politica si sta muovendo e al Senato è in discussione “Bill 99” un progetto di legge volto a garantire la disponibilità dei radiofarmaci tecneziati necessari al fabbisogno di scintigrafie (16 milioni all’anno in quel paese), che comporta il graduale blocco all’esportazione di uranio arricchito per produrre radioisotopi a scopo medico; la Russia ha recentemente firmato un contratto di fornitura all’Iran di Molibdeno-99 e Iodio-131 per scopi medici; la NEA (Nuclear Energy Agency dell’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica) con la benedizione dell’IAEA ha fatto partire un “survey” per valutare il fabbisogno di Molibdeno-99 nei prossimi 10 anni; da noi, in Europa e in Italia, non si è data una vera presa di coscienza del problema, l’AIFA (Agenzia governativa per i farmaci) ha tentato di monitorizzare la situazione per qualche mese, ma l’idea che vadano riannodati i rapporti tra medicina nucleare e industria nucleare non è emersa con chiarezza.

Eppure in Italia le attività di Medicina Nucleare erano nate sotto un diverso auspicio. Nel 1956 FIAT e Montecatini avevano fondato la SO.RI.N. (Società di Ricerche Nucleari) installando a Saluggia (Vercelli) un reattore (Avogadro RS1) per sostenere diversi filoni della ricerca scientifica, anche in campo biomedico. Il reattore ebbe vita breve e già nel 1971, a causa del disimpegno di queste due aziende, in uno scenario di politica energetica nazionale che aveva relegato il “nucleare” ai margini, terminò la sua attività. SORIN proseguì la sua avventura come SORIN-Biomedica spostando progressivamente il suo “core business” ai dispositivi cardiochirurgici, per disfarsi successivamente della parte radiofarmaci, ceduta ad Amersham nei primi anni ’90.

Il distacco dell’industria energetica e chimico-farmaceutica dalla nostra disciplina è stato apparentemente indolore perché la rete di distribuzione SORIN è passata in blocco ad Amersham e poi a GE Healthcare, ma è venuto meno il centro di Saluggia e con esso la possibilità per i medici nucleari italiani di interagire direttamente con i laboratori di produzione dei radiofarmaci.

Ecco che oggi, in una nazione che sta invecchiando, in un sistema sanitario che dovrà gestire in modo “cost-effective” patologie croniche, parlare di “ritorno al nucleare” ha senso anche per la salute pubblica, perché è chiaro che le nostre attività (scintigrafie, PET, terapia con radionuclidi) non potranno svilupparsi al di fuori di un serio programma di sviluppo dell’energia nucleare.

Perché non si è parlato sui media di questo black out di scintigrafie? Forse perché nessun politico in quei giorni ha avuto bisogno di fare una scintigrafia? La risposta è certamente più articolata: esistono colpe dei medici nucleari che, in un clima “anti-nucleare”, non hanno pubblicizzato con forza i risultati ottenuti da oltre 50 anni di uso clinico dei radionuclidi non-sigillati (oggi classificati e riconosciuti come radiofarmaci) e non hanno valorizzato a sufficienza i vantaggi offerti già ora dall’Imaging Molecolare in termini di tutela della salute. Va poi considerato che nell’imaging diagnostico domina un altro tipo di industria, quella che vende apparecchiature, che con le scintigrafie fa pochi affari (le gamma camere durano molti anni) e sta intravedendo l’occasione per piazzare un po’ di tomografi PET, in sostituzione di queste, spostando il “mercato” dalle scintigrafie (che utilizzano radiofarmaci tecneziati il cui precursore è prodotto da reattori) alle PET (i cui radiofarmaci sono prodotti da ciclotrone): tale scelta non è attualmente sostenibile dai nostri sistemi sanitari.

E’ comunque probabile che anche noi “medici nucleari” scontiamo il peccato connesso al devastante uso bellico di questo tipo di energia e d’altra parte non possiamo disconoscere le nostre radici perché sappiamo che le prime applicazioni di radionuclidi in medicina sono andate a rimorchio della sperimentazione militare: in un articolo riportato nel Forum ho già ricordato che in quegli stessi anni, negli stessi luoghi (Oak Ridge), probabilmente le stesse persone, lavoravano a progetti che avrebbero dato frutti completamente diversi.

La mia impressione è che sia venuto il momento, per noi medici nucleari, di approfittare di questo clima di “revisionismo nucleare”, per far conoscere, senza sensi di colpa, le potenzialità delle nostre metodiche, insostituibili per una medicina che mira a personalizzare diagnosi e terapia .

*

* Mediconucleare, Delegato Regionale AIMN Lazio, Ospedale Belcolle, Viterbo


Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.



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