RE: Il problema delle scorie
Le scorie non sono un problema!
Il problema è la convinzione che sono un problema!
Cmq mi piacerebbe conoscere da dove deriva questa tua convinzione, affinché si possa tracciare una migliore linea di comunicazione, tra il problema reale e l'immagine di questo problema.
Ti riporto una sintesi del NON problema scorie, di facile lettura e sintetica nel suo concetto. Naturalmente in questo forum l'argomento è trattato, meglio sviscerato, in più occasioni da parte di autorevoli esperti.
Tratto da FUSION (2005) "Nucléaire - Les 50 prochaines années"
Le scorie? Il punto forte dell'industria nucleare
di Emmanuel Grenier, redattore di Fusion
Da qualche anno la questione del destino delle scorie delle centrali nucleari sembra essere diventata la questione condizionante il futuro del settore. Alcuni corrono freneticamente tra la gente, gridando "le scorie, le scorie, pericolo!"; altri assumono un atteggiamento ispirato, alzano gli occhi al cielo e sospirano: "sì, il nucleare è un bene, ma che ne è dei rifiuti?". La maggioranza di questa gente è radicalmente ignorante e si lascia trasportare dalla corrente dell'opinione più in voga. Alcuni sono palesemente in cattiva fede, presi dalla loro passione antinucleare. Altri ancora, competenti ma interessati, si compiacciono di sottolineare l'importanza e la difficoltà del problema, sperando di ottenere un finanziamento adeguato ai loro studi. Pochissimi hanno invece il coraggio di dire che si tratta di un problema già risolvibile dal punto di vista tecnico, e che la sola vera questione degna di nota è il grado di accettazione nei centri di deposito sotterraneo da parte della società.
Che fare dei rifiuti, dunque? A questa domanda, leggiamo che cosa risponde la rete "Sortir du Nucléaire" (uscire dal nucleare): "Le scorie nucleari sono per [loro] natura INGESTIBILI. Non esiste alcuna soluzione affidabile e accettabile per proteggersi dal pericolo che esse rappresentano. I metodi esistenti non sono che soluzioni di ripiego, peggiorative. La misura che s'impone sulla scala delle priorità è l'arresto della loro produzione." Ecco riassunte con poche parole le principali menzogne degli antinucleari, con il fanatismo che li caratterizza e che ha già fatto un morto, in Francia, l'anno scorso. Convinto di agire per il bene dell'umanità, Sébastien Briat il 7 novembre 2004 si legò ai binari del treno, per manifestare la sua opposizione al passaggio di un convoglio carico di rifiuti del processo di ritrattamento del combustibile nucleare, diretto in Germania. In seguito ad uno sfortunato concorso di circostanze, fu avvertito troppo tardi e non poté liberarsi per tempo, morendo travolto all'età di ventidue anni. Anziché affrontare le loro responsabilità nell'accaduto, gli organizzatori della protesta hanno, in maniera piuttosto ignobile, tentato di strumentalizzarne la morte. L'Est Républicain riprese in un titolo la dichiarazione di un militante antinucleare arrestato nel corso di operazioni parallele: "E' il nucleare che l'ha ucciso". Lo stesso giorno del decesso del giovane, i Verdi si dichiararono "profondamente sconvolti", reclamando l'organizzazione di un "vero dibattito democratico" sulla filiera nucleare e "interpellarono la COGEMA affinché cessasse immediatamente il trasporto delle scorie nucleari". Ricordiamo che i Verdi militano sin dalla loro nascita per la depenalizzazione del cannabis, un potente cancerogeno che colpisce anche il sistema riproduttivo. La loro responsabilità è dunque tale per due motivi: la diffusione del loro fanatismo ha condotto un giovane di ventidue anni ad esporsi ad un rischio insensato; la loro propaganda tendente a legittimare il consumo di cannabis ha condotto il gruppo dei giovani intorno a Sébastien a farne uso prima di entrare in azione, cosa che li ha privati della necessaria lucidità.
Ma ritorniamo ai nostri rifiuti "per natura ingestibili". E' una menzogna! Per lunghissimo tempo, la natura stessa ha saputo trattare dei rifiuti nucleari, quelli generati nelle centrali nucleari naturali di Oklo, nel Gabon. Sì, si tratta di una fatto poco noto: sono esistite sul nostro pianeta, ben prima della nascita dell'uomo, delle centrali nucleari naturali! Intorno a due miliardi di anni fa, ad Oklo ben sedici reattori naturali hanno funzionato per circa cento milioni di anni, producendo circa quattro tonnellate di plutonio e dieci tonnellate di prodotti di fissione radioattivi. Lo studio della dispersione di questi prodotti di fissione in quel sito naturale, ne mostra la forte limitazione, in assenza di qualunque misura di precauzione. Da questo studio, si ricavano dei dati fondamentali per descrivere le dispersioni che potrebbero aver luogo in un deposito creato dall'uomo. Il rischio di dispersioni impreviste è quasi nullo, se il sito è scelto oculatamente. In altre parole, se la natura ha saputo gestire le scorie ad altra radioattività da lei prodotte, perché l'uomo non potrebbe fare altrettanto? Con la scienza e la tecnologia, egli ha già superato la natura, in numerosi campi (alloggio, nutrimento, speranza di vita, trasporti, ecc.). Negli ultimi cento anni abbiamo costruito il calcolatore elettronico, la "rivoluzione verde", il viaggio spaziale e mille altre cose capaci di rivoluzionare la nostra esistenza. Possiamo immaginare seriamente che un tale processo creativo debba cessare brutalmente? Ciò potrebbe accadere se gli ecologisti giungessero a conquistare il potere e ad imporre una dittatura interdicente il progresso!
Francis Sorin, della Società Francese dell'Energia Nucleare, spiega che si sa benissimo che cosa fare dei rifiuti nucleari: "si tritano, si trattano, si condizionano, si trasportano, si pongono in fusti, si depositano seguendo le procedure e i metodi codificati precisamente, messi in opera sotto il controllo delle autorità pubbliche. Dai prodotti di fissione meno contaminati fino a quelli più virulenti, tutti i tipi di rifiuto nucleare hanno un percorso e un punto d'arrivo definiti. Le scorie a vita breve, che costituiscono il 90% del totale, sono depositati in superficie in due centri gestiti dall'ANDRA, creati nella Manche e nell'Aube. Le scorie a vita lunga sono trattati e depositati nei siti di produzione, nelle centrali nucleari o nelle industrie di ritrattamento dei combustibili di la Hague e di Marcoule, in strutture superficiali gestite con criteri speciali, oppure in pozzi coperti da colate di cemento. Questo modo di gestione funziona in Francia da un quarto di secolo senza che alcun rifiuto, isolato dalla biosfera con dei contenitori impermeabili, abbia mai causato dei problemi significativi alla salute degli individui o all'ambiente."
Per quanto riguarda il "pericolo che esse rappresentano", è interessante un paragone: a livello mondiale, l'elettricità è prodotta per una quota superiore al 50% da centrali a carbone. Secondo l'organizzazione "Sauvons le climat" (salviamo il clima), "una centrale che produce 1000 MW elettrici consuma ogni anno circa quattro milioni di tonnellate di carbone. Essa produce circa trecentomila tonnellate di ceneri che contengono quattrocento tonnellate di metalli pesanti tossici, delle quali cinque tonnellate sono di uranio e tredici di torio. Notiamo che questi radioelementi non sono gestiti [..] al pari di quelli prodotti durante il ciclo [di una centrale] nucleare. La centrale a carbone, inoltre, emette ogni anno dieci milioni di tonnellate di gas carbonici (CO, CO2) nell'atmosfera." Siamo ancora in attesa di una mobilitazione ecologista contro le scorie delle centrali a carbone.
Ugualmente interessante è il paragone tra il volume dei rifiuti nucleari e quello degli altri rifiuti industriali tossici. Nel 1998, nell'Unione Europea, il volume delle scorie nucleari ad alta radioattività (HAVL) era di 150 m3 (cioè un cubo di 5,3 m di lato) e il volume comprendente anche le scorie nucleari a bassa attività era di 80000 m3 (cioè un cubo di meno di 45 m di lato); il volume dei rifiuti industriali tossici era invece di dieci milioni di meri cubi (cioè un cubo di 215 m di lato) e quello di tutti i rifiuti industriali era pari a un miliardo di metri cubi (cioè un cubo di 1 km di lato).
La gestione dei rifiuti industriali tossici e quella dei rifiuti nucleari, a corto o a lungo termine, sono difficilmente comparabili; tuttavia, possiamo riscontrare gravi casi di intossicazione da piombo o da mercurio, anche nei Paesi sviluppati, mentre negli stessi Paesi non sono mai stati riscontrati casi di esposizione ai raggi che abbiano portato a conseguenze significative per la popolazione, durante la gestione dei combustibili usati o dei rifiuti del ritrattamento.
Quale industria può vantare una gestione dei rifiuti paragonabile per bontà a quella dell'energia nucleare? I rifiuti tossici derivati dalla produzione del computer che sto usando per scrivere questo articolo e quelli derivanti dalla stampa di quest'ultimo, o quelli dell'industria meccanica e chimica, e di qualunque altro settore industriale, restano tali in eterno. Essi sono posti nelle discariche di classe 1, ma nessuno può presentare garanzie in merito al loro destino nei prossimi 300 anni, data nella quale presenteranno ancora la stessa pericolosità, se non di più a causa del deterioramento dei fusti che ora li contengono.
All'opposto, più i rifiuti nucleari permangono nel tempo, e meno sono pericolosi.
Contrariamente ai rifiuti chimici come l'arsenico, il piombo, il cadmio, la cui durata di vita è indefinita (infinita), i rifiuti nucleari hanno il buon gusto di ridurre la loro attività nel tempo (cioè, dal punto di vista della ragione che li rende pericolosi, spariscono nel tempo), anche se per alcuni di questi occorre il passaggio di lunghissimi periodi di tempo. Si deve fare un'altra osservazione, generalmente passata sotto silenzio: più è lungo il tempo di decadimento e meno pericoloso è il rifiuto! Per esempio lo iodio 129, che ha una vita di quindici milioni di anni, è un 1,5 miliardi di volte meno pericoloso dello iodio 131, responsabile dei cancri alla tiroide nel disastro di Chernobyl, la cui attività si riduce nel corso di qualche settimana (tempo di dimezzamento pari a 8 giorni). La maggioranza dei nostri cittadini sono persuasi, invece, dell'identità dei due isotopi dello iodio!
Per tutto il tempo in cui restano confinati sotto terra, in un sito appropriato (opportunamente scelto con criteri e conoscenze geologiche), i rifiuti nucleari non presentano alcun pericolo per il pubblico. L'unico eventuale pericolo per il futuro può essere rappresentato dalla contaminazione delle acque superficiali da parte della frazione costituita di radioelementi a vita lunga. Tuttavia, affinché una tale contaminazione abbia luogo, è necessario che si presentino le seguenti tre condizioni improbabili:
- i contenitori delle scorie siano danneggiati da una corrosione a mezzo dell'acqua, un processo che conosce tempi tipicamente intorno ai diecimila anni;
- gli elementi radioattivi siano poi progressivamente dissolti nell'acqua (con tempi, anche qui, lunghissimi: centinaia di migliaia di anni), quindi siano così trasportati fuori dalla nicchia geologica che forma il deposito (altre centinaia di migliaia di anni);
- gli elementi radioattivi, infine, passino nella falda freatica superficiale (processo assai più rapido, in confronto).
Alla fine di queste tre tappe consecutive, i radionuclidi più attivi, il cesio 137, lo stronzio 90 e i principali attinidi (plutonio, americio e curio), sarebbero già scomparsi da tempo!
La regola fondamentale di sicurezza imposta dalle autorità coinvolte nell'individuazione di un sito geologico adeguato, raccomanda che l'aumento dell'esposizione delle popolazioni più prossime, in qualunque momento futuro, non ecceda il decimo della radioattività naturale. Per un deposito ben concepito, tutte le simulazione di ritorno dei radionuclidi in seno alla biosfera mostrano che questo limite non sarebbe mai superato, salvo nel caso di intrusioni volontarie, d'altra parte con conseguenze soltanto per coloro che entrassero ne deposito. Coloro che vivono nei pressi dei siti geologici di deposito e la loro lontana discendenza non rischiano in alcun modo, tranne che le conseguenze per la loro discendenza vicina per eventuali incidenti legati al trasporto dei materiali durante la loro gestione.
Rimane ancora da capire perché questa innocuità del deposito geologico sia largamente messa in dubbio dai media e dal pubblico. Il seguente estratto da Ouest-France del giugno 2005 è rappresentativo: "Oggi, l'agenzia [nazionale dei rifiuti radioattivi] non è in grado di affermare se l'argilla costituisca la scelta migliore. Restano numerose incognite da studiare. Questa roccia che si scava con la dinamite potrà conservare tutte le sua qualità dopo i lavori [di adattamento del sito]? Quale sarà il suo comportamento allorché le scorie molto calde vi saranno conservate? Faglie, sismi, geotermia, debolezza dello strato d'argilla, mancanza di esperienza, irreversibilità del deposito, rischi importanti di contaminazione: ecco le tante domande senza risposta che suscitano molto turbamento presso gli oppositori." Al di là degli errori tecnici (non si scava con la dinamite, naturalmente, ma con la massima cura possibile), il termine importante è: "domande senza risposta". Le risposte esistono, ma sono ugualmente nascoste o sussurrate in modo da non essere udite!
Invece che spiegare con coraggio i fatti elementari sopra elencati, il governo ha deciso di concedere altri dieci anni di ricerca supplementare, prima di affermare una soluzione definitiva al "problema" delle scorie radioattive provenienti dalla centrali nucleari!
"I lavori di ricerca condotti da ANDRA dovranno proseguire oltre il 2006. Se i risultati di queste ricerche saranno confermati e nel caso il Parlamento lo desidererà, la decisione di creare un'installazione (di deposito) potrebbe intervenire nel 2015, per inaugurarne lo sfruttamento nel 2025", spiegava François Loos nel giugno 2005.
Dopo circa tre miliardi di euro spesi, assistiamo allo stanziamento di una decina di miliardi di euro supplementari, senza alcuna necessità. Questo prolungherà certamente la vita dei laboratori incaricati delle ricerche, ma non permetterà in alcun modo di risolvere il problema reale, quello dell'accettazione sociale. E' necessaria una vigorosa campagna di educazione, commisurata alla propaganda incessante degli antinucleari. Per questo fine, sarebbe sufficiente una frazione di quei dieci miliardi.
La produzione dei rifiuti è qualcosa di peculiare di ogni attività umana. Voler sopprimerne la produzione risale dunque all'interdizione delle attività umane in generale; questo significa, in altri termini più crudi, interdire l'esistenza stessa dell'uomo. La soluzione che consistesse nella soppressione della produzione di rifiuti radioattivi, chiudendo definitivamente ogni installazione atomica a soddisfazione degli oppositori del nucleare, sarebbe puramente criminale in vista dello stato tecnologico attuale. Questo ci forzerebbe a ricorrere a processi d produzione energetica più primitivi, incapaci di sostenere i bisogni energetici di una popolazione umana intorno di circa 6,5 miliardi di individui; con la miseria, le carestie, l'aumento massiccio della mortalità, noi ritorneremmo allora ai livelli di popolazione compresi tra uno e due miliardi di individui. Questa diminuzione della popolazione umana globale corrisponde al desiderio degli ecologisti alla [Jacques] Cousteau, che si augurava il ritorno ad un massimo di settecento milioni di persone in tutto. Questo ritorno a processi primitivi di produzione energetica (eolico, solare, fermentazione delle biomasse, combustione di carbone e gas), ironicamente non porterebbe affatto all'eliminazione delle scorie, anzi ad un loro aumento.
Ben prima che gli ecologisti se ne facessero cruccio, l'industria nucleare applicò per prima il principio di precauzione, in quanto pioniera in materia di igiene, di sicurezza e di tutela dell'ambiente. La gestione delle scorie che essa ha istituito, anche se può subire delle migliorie, è per molti versi esemplare. Essa serve quale esempio a molti altri settori industriali meno avanzati.
La trasmutazione.
Il plutonio costituisce la parte più pericolosa dei rifiuti di tipo C. Da qualche anno, è recuperato negli impianti come quello di La Hague ed è sottoposto al riciclaggio, poiché va a formare un nuovo combustibile speciale chiamato MOX. Il plutonio, così, si trasmuta all'interno dei reattori [a MOX] in elementi meno radioattivi, mentre fornisce energia ulteriore. Anche per gli altri radioelementi del tipo C è stato pensato un adeguato processo di trasmutazione. Sfortunatamente, il principale strumento di definizione delle procedure, Superphénix, fu smantellato sotto la pressione dei [soliti] ecologisti.
I differenti tipi di rifiuti nucleari.
Tipo A - Rifiuti a bassa o media radioattività e a vita corta.
Questi rappresentano il 90% della totalità dei rifiuti radioattivi. Nella maggioranza dei casi contengono radionuclidi che emettono raggi beta e gamma, poiché si tratta di filtri, [gant] e altro materiale costruttivo proveniente dalle centrali, dai laboratori di ricerca o dagli ospedali. Devono essere compattati e contenuti in fusti di metallo o di cemento, poi depositati nel centro di Soulaines. Il periodo della loro radioattività è inferiore ai 300 anni.
Tipo B - Rifiuti a media radioattività e a vita lunga.
La loro media attività può durare, in alcuni casi, alcune decine di migliaia di anni. Questi rifiuti rappresentano poco più del 9% della totalità dei rifiuti radioattivi. Si tratta di resine di depurazione, concentrati, filtri o gusci metallici che hanno contenuto l’uranio. Devono essere trattati al fine di abbassarne il volume, contenuti in fusti di metallo o di cemento, quindi depositati a La Hague. Una delle opzioni previste per la loro conservazione è l’interramento in profondità.
Tipo C - Rifiuti a forte radioattività e a vita lunga.
Questi rifiuti sono anche chiamati “scorie vetrificate” perché sono colati dentro adeguate matrici di vetro. Pur essendo estremamente attivi, rappresentano circa il 0,5% della totalità dei rifiuti radioattivi. Si tratta, principalmente, delle ceneri della combustione dell’uranio (o dei suoi prodotti di fissione) prodotte dalle reazioni che hanno luogo nel nocciolo del reattore, e che sono recuperate per fare parte di altro combustibile grazie alle operazioni di ritrattamento. Sono previste molte tappe, nella loro gestione: al momento, i prodotti della fissione sono conservati in forma liquida per cinque anni in opportune celle di acciaio inossidabile, mentre perdono parte del loro calore e della loro radioattività.
Una fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.
Cher03@hotmail.it
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