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The secret knowledge di David Mamet
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The secret knowledge di David Mamet

David Mamet (Chicago, 1947) è un regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e drammaturgo. Nominato due volte agli Oscar per la sceneggiatura de Il verdetto (1983) e per la sceneggiatura di Sesso & potere (1988), nel 1984 ha vinto il Premio Pulitzer, per il dramma Glengarry Glen Ross. Oltre ai citati, ha sceneggiato film quali Il postino suona sempre due volte, Gli intoccabili e Hannibal. Il suo libro The Secret Knowledge, che il Giornale offre in esclusiva ai suoi lettori, ha suscitato un enorme dibattito in America: Mamet, in questa autobiografia intellettuale, abbandona la sinistra per abbracciare il liberalismo.

Tutte le religioni hanno origine dagli stessi universali bisogni. Ognuna comprende concetti come rispetto, obbedienza, misericordia, studio, preghiera e sottomissione. Ogni religione ordina e sottolinea in maniera differente questi elementi, ma la loro radice è identica: il desiderio di comprendere il Divino e i suoi orientamenti per l’umanità. Allo stesso modo l’impulso politico, comunque si manifesti, deve procedere da un’universale esigenza di dare ordine alle relazioni sociali.

Le emozioni possono elevare concrete differenze di schieramento al piano spirituale o dottrinale (rendendole inconciliabili). Per esempio è probabile che i Democratici più dei Repubblicani credano alla buona fede dei terroristi catturati mentre combattono contro il nostro Paese, e che molti liberal di origine ebraica credano più alle dichiarazioni di Hamas che a quelle di Israele. Durante le elezioni del 2008 al centro dei programmi di entrambi i partiti c’era la necessità di cambiamenti in campo ambientale, sociale e finanziario. La Destra riteneva che un ritorno ai principi della tradizione avrebbe fermato la corsa verso la bancarotta e i pericoli geopolitici che corriamo. Suggeriva politiche di conservatorismo sociale, un maggiore e più flessibile sfruttamento delle risorse naturali, tasse più basse e forze armate più potenti. L’opinione della Sinistra era che il Cambiamento in se stesso fosse un bene - che il problema non dovesse essere trattato ingegneristicamente (con atti la cui efficacia fosse storicamente dimostrabile) ma che dovesse essere affrontato psicologicamente, identificando «il cambiamento in se stesso» come soluzione.

La sottostante questione, comune a entrambe le parti era come gestire i cambiamenti necessari; la risposta dei conservatori - maggior sfruttamento delle risorse e limitazione delle spese superflue - appare di fatto l’applicazione di buoni principi di amministrazione; quella dei liberal una rinuncia ad essi. Ognuna delle due parti aveva proposte nel campo della sicurezza: i liberal suggeriscono la politica della distensione, i conservatori un aumento degli armamenti; ogni parte appariva interessata ai temi della giustizia: i conservatori ritengono che questa possa essere raggiunta con una severa applicazione del concetto di sovranità della legge, i liberal con la concessione di più diritti.

Le mie prime opere teatrali si occupavano di capitalismo e affari. Il tema mi coinvolgeva dato che stavo tentando di mantenermi e come molti altri giovani uomini o donne mi ero trovato di fronte a una ostinata realtà: il mondo sembrava non accorgersene. In quel periodo non mettevo in discussione il mio presupposto «tribale»: il capitalismo è un male....

Anche se, allo stesso tempo, sul piano pratico non ho mai agito di conseguenza. Cercavo di mantenermi, come tutti quelli che non vivono a spese dello Stato, operando nel libero mercato. Allora mi piacevano - anzi, come molti miei contemporanei ne avevo un rispetto sacrale - i lavori propagandistici di Brecht, e la sua condanna del capitalismo. Più tardi mi è venuto in mente che anche le sue opere erano tutelate dal diritto d’autore, e che anche lui, esattamente come me, viveva grazie ai meccanismi del libero mercato. Il suo atteggiamento di protesta non derivava, né avrebbe potuto, dal suo comportamento. Allora perché si dichiarava comunista? Perché era una scelta vincente dal punto di vista commerciale. L’ammirazione del pubblico verso le sue opera lo manteneva economicamente; così come Marx era stato mantenuto dalla fortuna che la famiglia di Engels aveva messo insieme vendendo mobili; così come le università, fondate e finanziate dal sistema della libera impresa - e cioè dall’accumulazione di ricchezza - ospitano, sostengono, e viziano generazioni di giovani impegnati in dissertazioni sui mali dell’America.
Non possiamo vivere senza lo scambio. Una società non può progredire né migliorare senza un eccesso di reddito disponibile. E questo eccesso può essere accumulato solo grazie alla produzione di beni e servizi che la gente considera necessari o desiderabili. Un sistema finanziario che lo consente conduce alla disuguaglianza; un sistema che non lo consente alla fame di massa. A Brecht, un tedesco dell’Est, i comunisti consentivano di tenere i suoi soldi e di vivere negli agi svizzeri, vero animale da fiera del comunismo. E quello che è riuscito a portare a casa, in ogni caso, non deve essere visto come una condanna ma come una consacrazione del potere della libera impresa. E lo stesso vale per la passione, apparentemente insradicabile, verso il dirigismo statale. È il libero mercato delle idee a mantenere sulla cresta dell’onda questa assurdità, così come fa per ogni altro tipo di divertimento disprezzato e definito «stupido» dalla sinistra. Ma la finzione del Dirigismo Statale, dell’Economia pianificata è nella sua essenza, un reality show, vale a dire un imbroglio. E in generale le Buone Cause della sinistra sono come le gare automobilistiche che si corrono nei circuiti americani: offrono l’eccitante distrazione di vedere le auto che girano in un cerchio ma non vanno da nessuna parte.

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Chi non vuole la giustizia? Ognuno di noi naturalmente la vuole per sé e tutti, salvo pochi senza senso morale, capiscono che dobbiamo essere giusti gli uni con gli altri. Il problema è la sua distribuzione, perché la giustizia non può essere infinita. C’è una finita quantità di tempo, conoscenza saggezza e denaro. E dunque mettere tasse senza limiti, anche nel tentativo di perseguire la giustizia, non può che causare ingiustizia da qualche altra parte. Si può essere giusti nei confronti delle foreste, ma si impoveriscono i boscaioli e si aumentano i costi per costruire nuove case; se a tutti i detenuti si consente un accesso illimitato a tutti i tribunali, per i quali tempo ed energia sono finiti come ogni altra cosa, ad altri postulanti bisognerà imporre delle restrizioni. Per quanto mi riguarda la rivelazione è stata la lettura di La strada della servitù di Friedrich Hayek: è stato lui a spiegarmi che c’è un costo per ogni cosa, non c’è nulla che non abbia un costo, e l’energia impiegata per A non può essere usata per B.

Ed è questo il significato di costo: la rinuncia ad altri impieghi del denaro. Hayek scriveva che non ci sono soluzioni ma solo compromessi: il denaro speso in vigili urbani non può essere speso in libri. Entrambi sono necessari, una scelta bisogna farla e questa è la tragica realtà della vita.
Tutto mi è diventato chiaro. E, come per la sequenza di Fibonacci ho iniziato a vederne l’applicazione dappertutto. Milton Friedman ha fatto notare che il sofisma: «Un Paese in grado di mandare un uomo sulla Luna dovrebbe provvedere a garantire pasti gratis nelle scuole» manca il bersaglio. Il paese non può garantire pasti gratis nelle scuole proprio «perché» ha mandato un uomo sulla Luna: i soldi sono sempre quelli. L’ho capito perché anch’io ho un libretto degli assegni, e leggendo ho realizzato che l’equazione non è diversa a livello nazionale: «denaro» è un concetto finito e bisogna fare delle scelte. I soldi, ho capito più tardi, sono solo un modo efficiente per dare conto della produzione di ciascuno, del suo lavoro e della capacità che questo lavoro ha di provvedere utilità per gli altri. Più il denaro circola, più tutti ne traggono beneficio. E lo Stato può fare poco o nulla se non sprecare quanto è stato prodotto. Potrebbe tassarlo o confiscarlo ma non potrebbe distribuirlo con un grado di giustizia maggiore di quanto può fare il mercato libero; potrebbe e dovrebbe allora provvedere solo a quei servizi che il mercato libero non è in grado di garantire: le strade, le fogne, i tribunali, l’illuminazione pubblica, il sistema legislativo e la difesa comune. Il pensiero che possa fare di più è un’indimostrabile illusione. Certo lo Stato può dichiarare di poter fare di più, visto che burocrati e legislatori giocano sul bisogno umano di guida e di certezze, e naturalmente, sul nostro desiderio di giustizia. Ma la probabilità è che chi opera all’interno della struttura statale, di destra o di sinistra, tenti di sfruttare la sua posizione come faremmo io o voi: e come per Brecht è probabile che lo faccia sia per approfittare dell’umana credulità sia per alleviare i bisogni dell’uomo. La politica, allora mi sembrava, come il business, una divertente collezione di presunzioni, errori e conflitti- una pozza d’acqua lasciata dal mare, ideale oggetto di studio per i naturalisti.

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Ho scritto una commedia politica. Per il giorno del Ringraziamento è venuta a casa nostra un’amica. Era arrivata in aereo da Washington passando per Los Angeles, e la cabina di prima classe del suo aereo era occupata da due tacchini «graziati» dal presidente Bush, e venduti o dati in prestito alla Disney per la parata del Ringraziamento di Disneyland. Questo incrocio di due trovate da cattivo pubblicitario mi ha irresistibilmente indotto a inventare.

Dato che tutti sono venali per natura e che i politici lo sono, doppiamente, anche per professione, non era evidente che un presidente non avrebbe graziato i tacchini se non per qualche calcolo? La mia immaginazione vedeva un presidente a poche settimane dal giorno del voto e senza possibilità di essere rieletto. Il suo partito aveva smesso di occuparsi della sua corsa senza speranza. Gli si chiedeva di graziare un paio di tacchini in cambio di un piccolo contributo elettorale. Ma lui ha un’ispirazione e dice a tutti i produttori di tacchini che vuole 200 milioni di dollari o concederà il perdono presidenziale a ogni tacchino d’America....


Fin qui tutto bene, ed ora arriva il bello - per convincere gli americani a sostenere il suo divieto di uccidere i tacchini, assume il genio tra i più famosi speech writer. Lei, una lesbica, è appena tornata dalla Cina, dove insieme con la sua partner è andata per acquistare un bambino. La donna dice che scriverà il discorso solo se il presidente in cambio la sposerà con la sua compagna in diretta su un canale nazionale.
La trama è abbastanza divertente. E il soggetto è che non solo siamo tutti umani, ma, meglio, che siamo tutti americani.

Ecco Clarice Bernstein (la speechwriter) mentre legge una bozza del discorso a Charles Smith, il presidente. Il collega o la collega alla macchinetta del caffè? Non conosciamo come la pensano politicamente. Giudichiamo il oro carattere da semplici cose: se sono educati, puntuali, se sanno ascoltare e riescono ad andare d’accordo, badiamo al fatto se tengono ben verniciata la loro staccionata. Non sappiamo per chi votano. Non sappiamo che cosa fanno a letto. Chi sarebbe così irrispettoso da fare domande? Se guardate ai sondaggi sembra che siamo una nazione divisa, ma non è così. Signore, siamo una democrazia. Abbiamo differenti opinioni. Eppure: ridiamo allo stesse barzellette, ci battiamo una mano sulla spalla quando abbiamo raggiunto gli obiettivi aziendali del mese; e Signore, non sono così sicura che non ci amiamo gli uni con gli altri.

Alla fine destra e sinistra, etero e gay, si riconciliano, e ogni cosa va a posto grazie al deus ex machina, Chief Dwight Gracile, di un movimento fondamentalista di destra, arrivato per assassinare il presidente, e l’ultima battuta è «Dio, io amo questo Paese». Anch’io lo amo. E il mio amore più ci penso, più aumenta. E considero quest’opera come una lettera d’amore all’America.

Un giornale locale di New York stroncò la commedia. Il loro critico teatrale era offeso, la trovava politicamente scorretta, giudizio nel quale si è dimostrato sorprendentemente acuto.

Visto che la vicenda si complicava il Village Voice mi chiese di scrivere un articolo sulle idee politiche che stavano alla base della piéce. Ho scritto un saggio intitolato Educazione politica, che spiegava le mie idee. In ogni caso sapevo che il Voice (a) è sempre stato la voce della sinistra; e (b) nel corso degli anni ha sempre accettato molto a malincuore i miei lavori. Così ho usato un trucco per metterli in trappola. Ho iniziato il mio saggio con un aneddoto sullo stesso Village Voice. Quello di Norman Mailer quando recensì la prima rappresentazione di Aspettando Godot sul Village Voice e la definì «spazzatura». Poi andò a casa e ci pensò su. Tornò a rivedere un’altra volta lo spettacolo. E a quel punto lo riconobbe come l’opera di un genio e comprò una pagina sullo stesso Village Voice per ritirare la sua recensione, profondendosi in mille lodi. Ho iniziato il mio articolo con questo aneddoto e.. aha... The Voice ha abboccato all’amo e pubblicato l’articolo. Mettendogli però un altro titolo: Perché non sono più un trinariciuto liberal. Il giornale di New York, furibondo, ha recensito un’altra volta la mia opera teatrale, esprimendo un giudizio ancora peggiore della prima. Da allora sono stato adottato dalla destra. Poi mi hanno chiesto di scrivere un libro di politica. E, usando le parole di Gertrude Stein, io l’ho scritto. Ed è questo.

IL REALITY AMERICANO

Qualcuno, non mi ricordo più chi, ha scritto: «come tutti gli scrittori prolifici, era molto pigro». La frase è perfetta per me. Scrivo e produco molto e mi capita di guardare l’elenco, lungo e variegato, delle cose che ho fatto come un ostinato scialacquatore controlla la lista completa dei suoi debiti. La cosa mi riempie di vergogna. Perché? Forse perché nulla di quello che ho fatto mi è sembrato un lavoro. Al massimo una possibilità di evasione. Chi sarebbe così sciocco da dover placare i suoi peggiori pensieri lavorando così tanto? In ogni caso mi è stato concesso un dono: trascorrere i miei giorni rendendo piacevole ciò che piacevole non è. Chi mi ha fatto questo regalo? La società in cui vivo, che ha trovato i miei lavori abbastanza divertenti da pagarmi per star seduto tutto il giorno e continuare a fare quello che ho fatto finora. Aver tempo libero per riflettere, quasi alla fine di una lunga carriera, mi porta a ringraziare Dio perché mi consente di vivere in una società relativamente libera da ogni controllo dello Stato. Una società in cui i cittadini possono esprimere la loro «vera» diversità, e cioè quella di pensiero. Certo, i miei lavori non piacciono a tutti. Ma io, quando scopro quello che non piace, sono libero di inseguire i gusti del mercato, di continuare come prima, o di smettere del tutto. In breve: sono libero di sbagliare, che è come dire che sono libero di avere successo, e, nel caso, di godere di ogni singola cosa che il successo può regalarmi. Questo non è semplicemente il sogno americano, è la realtà americana. E il fatto di averlo capito mi ha indotto a scrivere questo libro.

Ho avuto modo di parlare con qualche conservatore solo a 60 anni di età. Il mio rabbino, Mordecai Finley, moderato, e membro fondatore del tempio Endre Balogh, si è preso la briga di darmi retta. E sono rimasto impressionato non dalle sue idee politiche, che al tempo per me non volevano dire molto, ma dalla sua gentilezza e pazienza. Mi ha dato un libro, White Guilt di Shelby Steele, e mi ha fatto riflettere sulla risposta a una difficile domanda: «Che cosa vuoi, la verità, o una bugia...?». Avendo trascorso la mia vita in teatro so che dalla gente si può plasmare un pubblico, cioè un gruppo di persone che rinunciano per un paio d’ore a parte della loro razionalità per godere di un’illusione. Poi, quando ho iniziato a leggere e scrivere di politica, ho capito con orrore quanto sia facile trasformare la gente in una massa informe e irrazionale. Ho capito che a creare questa massa possono essere quelli che più approfittano dalla rinuncia a ragione e libertà. E ho capito infine che questi ultimi sono i politici. Allora la mia domanda è diventata: dato che non possiamo vivere senza governo, come dobbiamo trattare quelli che sono orientati ad abusarne - i politici e il loro manutengoli? Il tentativo di risposta a questa domanda è nella Costituzione americana - un documento basato non sull’assunto filosofico che la gente è di fondo buona, ma sulla tragica confessione che è vero il contrario.

***

Ho esaminato in profondità il mio essere liberal e l’ho trovato simile alla dipendenza dal gioco d’azzardo: nonostante le possibilità di vincere siano scarse e la certezza di perdere evidente a chiunque conosca un po’ di aritmetica, il giocatore, sbagliando una volta dopo l’altra, è convinto di possedere una qualche sorta di grazia che gli consenta di contravvenire alle leggi naturali.
E quando inevitabilmente arriva a essere disperato non mette sotto accusa la natura della roulette, o della sua delusione, ma si impegna a sviluppare un nuovo sistema di gioco, e a procurarsi nuovi fondi. Ho anche scoperto la grande perfidia del pensiero Liberal: quelli che si occupano di escogitare continuamente nuove Utopie di Stato, siano essi imbroglioni o sciocchi, lo fanno per mandare in rovina e ostacolare non se stessi, ma gli altri. (Qualche temo fa il presidente Obama ha detto: «Ad un certo punto bisogna essere in grado di dire: ho abbastanza soldi». Ma, una volta terminato il suo incarico, il signor Obama lo dirà di se stesso e della grande ricchezza di cui potrà godere? È lecito dubitarne.)
Mi sono reso conto che vivevo in uno stato di ignoranza, accettando passivamente un’illusione mai verificata e chiamandola «compassione», ma che c’era chi era abbastanza coraggioso da non badare alle parole d’ordine dominanti e da cercare razionalmente una coerente e praticabile comprensione delle relazioni umane. Per costoro la politica non è manipolare ignoranti e indecisi, ma dedicarsi alla difesa e all’affermazione di nobili principi fondamentali, per esempio quelli della Costituzione degli Stati Uniti. Mi sono reso conto che dichiarare di credere nella libertà politica e sociale degli individui, e di considerare un male la resa dei poteri dei cittadini allo Stato era difficile tra la gente in generale, letteralmente impossibile nell’ambiente liberal. Eppure uomini e donne di coraggio hanno dedicato a questo le loro vite ed energie, senza farsi scoraggiare dal disprezzo e dalla mancanza di speranza. Mi sono anche reso conto che Destra e Sinistra non sono diversi per i loro programmi ma per i loro obiettivi: l’obiettivo della sinistra è un Paese gestito dallo Stato, e quello della destra la libertà dell’individuo dallo stesso Stato. I due obiettivi sono difficili da conciliare, dato che è impossibile indurre la sinistra a dichiarare realmente le sue intenzioni, o a valutare onestamente i risultati delle sue azioni.
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Reprinted by arrangement with Sentinel, a member of Penguin Group (USA) Inc.
From THE SECRET KNOWLEDGE by David Mamet. Published by arrangements with Berla & Griffini Rights Agency
Traduzione di Angelo Allegri


Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.



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RE: The secret knowledge di David Mamet

Questo è un argomento ( OT ) purtroppo non inserito nel titolo, me ne scuso con i lettori, anche se tocca argomento nucleare come "ordigno nucleare" sotto un aspetto puramente "dialettico" credo pur sempre di interesse.

http://www.loccidentale.it/node/112344

L'Occidente, lo Stato ebraico e la bomba iraniana
Israele, Isacco e il ritorno del sacrificio umano


di David Mamet* 24 Dicembre 2011


Mentre l’Iran corre verso la bomba ( atomica n.d.r), molti osservatori sembrano pensare che la minaccia più grande sia il fatto che Israele possa agire contro il programma nucleare iraniano.

Questo è qualcosa che solleva degli interrogativi: cosa succederebbe se - e Dio non voglia - l’islam militante con la forza delle armi, e con il supino permesso dell’Occidente, riuscisse a distruggere lo Stato d’Israele?
1) Il popolo ebraico non avrebbe più la sua terra ancestrale;
2) Gli ebrei non avrebbero più alcuna luogo dove stare;

Alla conferenza di pace di Versailles, Woodrow Wilson affermò come chiaro assertività morale che ogni popolo avrebbe dovuto vedersi garantito il diritto all’auto-determinazione nazionale. L’Occidente, dal quel momento in poi, non combatté né per l’impero, né per l’espansione nazione, bensì in autodifesa, o in difesa di quest’asserzione. Invece, per lo Stato ebraico, l’Occidente di sinistra mette da parte questo intendimento.

Sin dalla propria nascita, Israele ha porto l’altra guancia. Eric Hoffer ha scritto che Israele è stato l’unico paese a cui il resto del mondo abbia chiesto un comportamento da cristiano. Alcuni ebrei sostengono che gli arabi hanno un migliore sistema di relazioni pubbliche. Non ne hanno bisogno. L’Occidente di sinistra non ha bisogno di essere convinto. Si eccita al solo pensiero di avere una scusa per recedere da qualcosa che considera un colossale errore.

L’Occidente di sinistra ha per decenni indugiato in un’orgia d’auto-flagellazione. Abbiamo goduto di comodità e sicurezza, ma ciò, in assenza di gratitudine e patriottismo, ha generato insicurezza. La cura a questo sentimento d’insicurezza si può toccare con mano nella protesta contro la nostra inutilità e la condanna della proprietà privata.

Ma nessuno nel ricco Occidente e nessuno tra i vari manifestanti che si battono contro le varie ingiustizie è pronto ad agire in coerenza con le proprie proteste.

L’avversario nel film “The Corporation” usa comunque un IPhone che gli permette di aggregare i propri simili. Le celebrità che fanno la manfrina alle manifestazioni di Occupy continueranno a investire i propri proventi da capitale, e lo stesso campione dello spossessato di Levante (i palestinesi, ndt) non solo si schermirà di fronte alle richieste degli indiani d’America che reclamano la sua terra, la stessa ch’egli stesso sente come propria ormai – ma quel campione è lo stesso che farà addirittura pressioni sul consiglio comunale locale per chiedere che i rifugi per senza tetto siano costruiti ovunque ma non nel suo circondario.

I precettori coraggiosi che vorrebbero eliminare la Povertà, la Guerra, lo Sfruttamento, il Colonialismo, l’Ineguaglianza e via dicendo, si fermano alle dichiarazioni d’intenti. Ci spieghino come fanno a sincronizzare il proprio saggio fervore con la propria inazione?
Come fanno a mettere a tacere l’ansia che ne risulta? La risposta della Sinistra è la più vecchia del mondo: la chiama degli Dei. Ma come potranno gli Dei essere rabboniti? L’immemore risposta è: con il sacrificio umano.

Qual è l’essenza della Torah? Non sono i Dieci Comandamenti, quelli si conoscono e la loro messa in atto ha aspirato quasi ogni civilizzazione. Il rabbino Lawrence Kushner insegna che essi sono al massimo un biglietto da visita; a dire: “ti ricordi di me…?”.
L’essenza della Torah è l’Akedah, il sacrificio di Isacco. Dio parlò ad Abramo, come accadde per millenni quando gli dei del deserto parlavano ai nomadi: “Se vuoi superare il tuo patema, dammi la cosa più preziosa che hai”.

Per questo la chiama di Dio ad Abramo non fu né inusuale né, forse, inaspettata. Dio aveva chiesto ad Abramo di lasciare la sua gente e la sua dimora, e di dirigersi al luogo che Dio gli avrebbe indicato. E Dio disse ad Abramo di portare suo figlio alla montagna e di ucciderlo, come hanno fatto gli esseri umani per decine di millenni.

Ciò detto, non si dimentichi che per la prima volta nella storia, quella narrativa cambiò. Il sacrificato, Isacco, non si fece fare. Domandò a suo padre: “Dov’è il capro che dobbiamo sacrificare?”. Quella fu la voce della coscienza e di fronte ad essa la mano di Abramo, mentre si abbatteva il suo coltello, fu fermata. Quella fu la nascita dell’Occidente, e la nascita del peso dell’Occidente che è la coscienza.

Precedentemente il patema d’animo e la paura presente su tutti gli essere umani era chiamata paura degli Dei, alla quale si rispondeva con la propiziazione ovvero con il sacrificio. Ora, invece, il peso dell’uomo non è dare agli Dei come si faceva un tempo ciò che si immaginava, per paura, fosse il loro volere, bensì dare in coscienza quel che un Dio compreso richiede.

Nell’abbandono dello Stato d’Israele, l’Occidente torna al sacrificio pagano, una volta ancora, non facendo un’offerta propiziatrice, stavolta non con quel che si possiede, bensì con quello che appartiene ad altri.

Nella cornice della Realpolitik, l’Occidente di sinistra antisemita può essere paragonato alla cessione di Chamberlain della Cecoslovacchia a Hitler, un tozzo di pane dato al terrorismo. Al livello di coscienza, è il rinnovarsi del dibattito sul sacrificio umano.

*David Mamet è autore di teatro e scenografo.
Tratto dal Wall Street Journal
Traduzione di Edoardo Ferrazzani


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24-12-2011 14:55
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