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Società Italiana per il Progresso delle Scienze
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Società Italiana per il Progresso delle Scienze


Grandi spiriti hanno sempre lottato contro la feroce opposizione da menti mediocri.
A.Einstein


Con lo spirito di informare , apro questo nuovo thread, affinchè una maggiore diffusione di ciò che è scienza possa in minima parte sopperire alla stragrande e spropositata diffusione di ciò che  scienza non è.
Impresa è ardua ma l'incoraggiamento ricevuto è stato per me di grande onore.

Pubblico il seguente manifesto, allo stesso tempo dare inizio ad una più incisa diffusione di articoli di scienza con l'intento divulgativo.

http://www.sipsinfo.it/

Manifesto della Comunita' Scientifica Italiana

Testo approvato dal Consiglio di Presidenza SIPS nella seduta del
14 giugno 2011
Sarà reso pubblico all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, nelle più autorevoli Istituzioni nazionali e nelle Università ed Accademie itali
ane


01/07/11 - In un momento storico come quello che stiamo vivendo, defraudato dei più democratici capitoli di vita comunitaria, indebolito nei più elementari valori della vita, resi incredibili, distopici, impossibili, in un momento storico, ripeto, dove l’individualità è con-fusa, irrimediabilmente irriconoscibile nel caos d’una globalizzazione non solo materiale ma soprattutto spirituale e di coscienza, ci giunge un “Manifesto” per essere condiviso.

Ci appare un’oasi in un deserto privo di idee e di buone volontà.
Riteniamo utile e giusto che lo si divulghi, e perché è l’ennesima testimonianza d’una realtà politico sociale confusionaria e opportuna, e perché ciò che il Manifesto della Comunità Scientifica Italiana propone è ancora un rispettoso richiamo all’Idea di Unità così “sentita” in occasione di questo Anniversario dei 150 anni d’Italia.

La SIPS è la nostra più antica Istituzione scientifica dove, per citarne solo alcuni tra i più noti, hanno trovato un preciso ruolo uomini come Marconi e Fermi.
Oggi, la Società Italiana per lo Sviluppo delle Scienze, fa un appello.

La Società Italiana per il Progresso delle Scienze, nella continuità dei suoi 172 anni di vita e nella ricorrenza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, richiama l'attenzione delle istituzioni italiane sul ruolo svolto dalla comunità scientifica italiana e dalle sue scuole nella costruzione del Paese e nel suo consolidamento culturale in Europa e nel contesto mondiale.

Nel segno di questa tradizione è cruciale favorirne il processo di internazionalizzazione che richiede opportune politiche per portare in un mondo in trasformazione un fattivo contributo di competenze e di leadership delle eccellenze scientifiche e tecnologiche italiane: altrimenti si registrano solo passive acquiescenze.

Aderendo all'appello della SIPS, noi scienziati italiani riaffermiamo il convincimento che la ricerca scientifica sia la chiave principale per sostenere adeguatamente le sfide della globalizzazione.

Anche per questi obiettivi - e non solo per scelta culturale - riteniamo che la ricerca scientifica costituisca elemento essenziale per la competitività economica e per consentire all'Europa di sviluppare una civiltà fondata sui valori di libertà e dignità della persona.

Crediamo, pertanto, che l'azione dell'Unione Europea, in tutte le sue articolazioni, debba porre a suo fondamento la ricerca scientifica di base e interdisciplinare. E' l'unica che conferisce respiro di medio e lungo termine anche a fondamentali invenzioni e all’innovazione tecnologica.
Per cui è indispensabile una intensificazione degli sforzi di collaborazione tra i mondi scientifici, accademici e industriali.
Nel nostro Paese purtroppo si rileva una diminuzione dell’attenzione verso la ricerca di base che è fondamentale per lo sviluppo della conoscenza.

Secondo la vecchia logica della CEE, essa è sempre stata affidata agli Stati perché non porta risultati trasferibili nell'immediato al mondo della produzione: oggi è tempo che anche la politica dell'Unione cambi impostazione.

Le grandi conquiste dell’umanità sono sempre state appannaggio della ricerca di base.

Gli scienziati italiani auspicano quindi che il mondo politico rivolga la sua attenzione a questo fenomeno che sta generando nel Paese l’involuzione della conoscenza con la sterilizzazione di quei luoghi ove tale ricerca si svolge istituzionalmente.

I "beni immateriali", frutto della ricerca libera - per loro stessa natura - hanno, sul profitto, il vantaggio di produrre lo sviluppo sociale e civile; per questo, sono il risultato di un lavoro con ricadute enormi.

Una protratta indifferenza e negligenza politico-culturale verso la scienza, costituirebbe uno dei peggiori segni di decadenza di un paese, e preludio di sottosviluppo. Se la politica nazionale e quella dell'Unione - concentrando l'attenzione solo sulla crisi economica - continuassero a trascurare la crescita dei "beni immateriali", si tenderebbe consapevolmente ad un rovesciamento dei valori; superate le soglie di irreversibilità, si cadrebbe nel sottosviluppo.

Occorre reagire a questa sommersa involuzione.

Per questo chiediamo ai governanti e agli imprenditori di fare propria questa convinzione - che ha il sostegno di tutta la storia delle scienze, delle invenzioni e delle tecnologie - e di adoperarsi perché il massimo delle risorse materiali e intellettuali, con particolare riguardo ai giovani, sia reso disponibile per portare il nostro Paese a traguardi degni di una società storicamente capace di continua evoluzione.

I fenomeni naturali generano legittimamente perplessità nell’opinione pubblica, ma la loro rilevanza e la loro ricaduta vanno valutate, non attraverso l’emozione, ma da uomini che con autorevolezza e competenza riescano a capire, in modo attento, i fenomeni naturali del mondo in cui viviamo.

Per questo occorre che la scienza italiana venga dotata di una sede di rappresentatività istituzionale, soprattutto a tutela dell'eticità della scienza che in Italia ha avuto tanti illustri storici sostenitori.

Con la creazione dello Spazio europeo dell'Istruzione Superiore (SEIS) che va ad affiancare lo Spazio Europeo della Ricerca (SER), il governo dell'Unione sembra abbia iniziato a prendere atto che occorre sostenere con programmi appositi la ricerca non commissionata, cioè la ricerca concepita, programmata e condotta con finalità pubbliche da atenei ed organismi scientifici.

Noi chiediamo che anche il Parlamento e il Governo italiano pongano mano ad iniziative legislative ed amministrative volte a costruire - in piena consapevolezza e competenza scientifica - i grandi obiettivi nazionali di ricerca, sviluppo e innovazione previsti dall’Agenda di Lisbona e dalla Strategia Europa 2020, e a rafforzare la vitalità della ricerca scientifica italiana evitando la perdita di promettenti o già prestigiose personalità.

Auspichiamo che il Governo, consapevole che il futuro del Paese è legato all’ampliamento della conoscenza, provveda a potenziare l'azione delle Università e degli Enti scientifici perché tornino ad essere polo di attrazione per i giovani anche d'oltre confine, consentendo di trasferire alle prossime generazioni un rinnovato patrimonio culturale.

Per ottemperare a questa missione, riteniamo che atenei ed organismi scientifici italiani, non debbano sottrarsi ad una seria e vincolante valutazione rivolta all'eccellenza dei risultati scientifici e didattici.

Proprio per tale ragione, chiediamo un'inversione di tendenza nell'azione legislativa ed amministrativa affinché, anche l'ordinamento giuridico delle università favorisca nel sistema degli atenei la ricerca dell’eccellenza invece di indurla ad improprie pratiche di concorrenza.
L'università infatti non è un'impresa; deve restare il terreno di trasmissione, nonché di crescita, della conoscenza.

La scienza è prima di tutto un valore intellettuale che diventa campo di investimenti e condizione di sviluppo attraverso il progresso della conoscenza.

Per tutti questi motivi e aspirazioni, gli scienziati italiani chiedono che le istituzioni della Repubblica - ciascuna nel proprio ruolo e nelle singole sedi nazionali, europee e internazionali - esercitino e dimostrino un impegno rinnovato per sostenere le ragioni e il ruolo della ricerca italiana e della scienza come fattore di crescita civile, di sviluppo e di convivenza pacifica tra i popoli.

TESTO PUBBLICATO DA
Michele Greco
di Circolo della Stampa di Viterbo e della Grande Tuscia


Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
ma pochi ne discernono la linea di confine.



Cher03@hotmail.it
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RE: Società Italiana per il Progresso delle Scienze

IL RISCALDAMENTO GLOBALE NON È ANTROPOGENICO
I FISICI USA SI RAVVEDO
NO.
http://www.sipsinfo.it/SeT%20gen-feb%202010.pdf

SCIENZA E TECNICA, NN. 473-474, 2010

Recentemente i “rovinografi”, che vaticinano un forte ed esiziale riscaldamento globale causato dall’uomo, sono stati presi con le mani nel sacco: a novembre 2009 un hacker ha pubblicato una lunga serie di e-mail che P. Jones (Climatic Research Unit britannico) e M.E. Mann (Penn State University) si sono cambiati negli ultimi anni e in cui discutevano “trucchi statistici” per negare l’esistenza del periodo caldo medioevale e
della piccola era glaciale (dal XV al XVIII secolo) e su come nascondere misure recenti di temperature calanti che contraddicevano i drammatici aumenti menzionati nei loro articoli. Si accordavano anche su come evitare che note riviste scientifiche pubblicassero lavori di scienziati che non condividevano la loro fede nell’esistenza di un surriscaldamento
antropogenico dell’atmosfera.

L’Istituto russo di Analisi Economiche ai primi di dicembre 2009 (v. “Rionovosta” su Google) ha denunciato che il Centro Hadley sui Cambiamenti Climatici, facente parte dell’Ufficio Meteo Britannico,a Exeter, ha eliminato dalle sue basi dati fra il 60% e il 75% dei rilevamenti ricevuti dalle stazioni meteo russe. Secondo l’Istituto russo, il Centro
Hadley avrebbe eliminato i dati che non indicavano aumenti di temperatura, riportando solo quelli provenienti da grandi zone cittadine influenzate da riscaldamento urbano.

Il 20 dicembre 2009 il Daily Telegraph di Londra ha pubblicato un servizio sulla fortuna accumulata da Rajendra Pachauri, presidente dell’IPCC,
mediante i suoi traffici con le aziende attive nel carbon trading, il commercio di crediti e permessi per l’emissione di anidride carbonica.

Ironia della sorte: i catastrofisti climatici hanno accusato (senza
mai addurre prove) scienziati critici delle loro posizioni di essere pagati dai petrolieri; invece proprio Pachauri, il loro capo, è stato direttore di India Oil, la più grossa azienda petrolifera indiana, e della National Thermal Power Generating Company.

Pachauri è stato descritto come un guru del clima, invece è ingegnere ferroviario e ha una laurea in economia. Dal 2001 dirige il Tata Energy
Research Institute (TERI) creato dal Gruppo Tata che produce acciaio, auto, energia, telecomunicazioni e ha comprato fra l’altro Jaguar e Land Rover.

TERI ha una filiale a Washington che conduce attività di lobbying su questioni di energia e ambiente, ottenendo contratti per rimettere a posto i disastri lasciati da Saddam durante l’invasione del Kuwait.

TERI Europe gestisce un progetto sulle bio-energie finanziato dall’Unione Europea.
La TERI non pubblica bilanci e le entrate di Pachauri sono segrete.

La Tata è attiva nel carbon trading. Pachauri ha incarichi anche da altri enti e aziende che possono trarre benefici dalle misure invocate dall’IPCC.

Fra questi: ONU, Siderian (finanziaria californiana specializzata
in tecnologie sostenibili), Credit Suisse,Rockefeller Foundation, Pegasus (fondi di investimento),

Nordic Glitnir Bank, Indochina Sustainable Infrastructure Fund, Climate and Energy Institute dell’Università di Yale, Comitato di Consulenza
Economica per il Presidente del Consiglio dei ministri indiano, Deutsche Bank, Istituto Giapponese per le Strategie Ambientali Globali, SNCF
(Ferrovie dello Stato francesi).

Chi è interessato, potrebbe andare a lezione di Conflitto di Interessi.

L’American Physical Society (APS) nel novembre 2007 aveva affermato: “L’emissione di gas serra dovuti ad attività umane modificano l’atmosfera
e il clima terrestre. Le prove sono incontrovertibili.
Il riscaldamento globale è in corso. La APS sollecita governi, università, laboratori ad appoggiare misure per ridurre l’emissione di gas
serra.”


Ora membri autorevoli dell’APS hanno proposto di rivedere quella dichiarazione riconoscendoche “… misure e ricostruzioni di temperature terrestri indicano che quelle del XX e XXI secolo non
sono eccezionali né persistenti, che i dati storici e geologici mostrano che in periodi passati le temperature erano maggiori delle attuali. Inoltre la letteratura scientifica dimostra gli effetti benefici di un aumento dell’anidride carbonica sia per le piante,sia per gli anim
ali.”

Questo ravvedimento dei fisici americani è tardivo: erano disponibili da tempo grafici della temperatura atmosferica degli ultimi 11 millenni
elaborati dalla NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration). Il grafico mostra gli aumenti della temperatura ogni 1000 anni rilevati
dai carotaggi di ghiaccio profondo nella Groenlandia centrale.

La tabella riporta i valori più alti della velocità di crescita della temperatura: simili e in due casi doppi di quello di circa mezzo grado per secolo verificatosi negli ultimi due secoli.

Il 22 dicembre 2009 il mensile SPECTRUM, dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers, ha pubblicato sulla conferenza di Copenhagen una corrispondenza allineata sulle posizioni convenzionali dei catastrofisti: dopo poche ore pubblicava on line duri commenti critici, il mio e di altri.

Ora John Beddington, professore di scienze ambientali e capo dei consulenti scientifici del Governo inglese, ha condannato gli scienziati che, per non essere criticati, rifiutano di rendere noti i dati su cui basano le loro analisi. Ha ricordato che la critica è vitale per la scienza (va meditata, non soffocata) che previsioni e modelli matematici del clima sono affetti da grosse incertezze e, quindi, le previsioni vanno diffuse come ipotesi e non come certezze.

Sono emersi, infatti, vari passi falsi dell’IPCC .

nel 2007 annunciò che i ghiacciai Imalaiani si scioglieranno nel 2035, citando un articolo divulgativo del 1999 su New Scientist che
indicava la data del 2350.

Ha stimato che i ghiacci artici spariranno nel 2020 ma la loro area è
variabile e negli ultimi 2 anni è cresciuta.

Ha dichiarato che il riscaldamento globale causa un
aumento di uragani e inondazioni, citando  lavoro di R. Muir-Wood, il quale rettifica: “Mi hanno male interpretato e l’idea che le catastrofi
causino danni maggiori a causa del cambiamento climatico è del tutto fuorvia
nte.”

Diedero credito a queste visioni distorte anche Miliband, ministro inglese di energia e ambiente, e il Primo Ministro Brown. Molti, come loro, sono ora in imbarazzo: la bolla del riscaldamento globale si sta finalmente sgonfiando.
ROBERTO VACCA

Per visionare le tabelle, accedere tramite il link.


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Cher03@hotmail.it
06-07-2011 11:29
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mi.greco
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Messaggio: #3
RE: Società Italiana per il Progresso delle Scienze

Ringrazio Cher e il NuclearMeeting di aver contribuito a rendere pubblico il ]Manifesto della Comunità Scientifica Italiana, redatto dalla Società Italiana per il Progresso delle Scienze tenuto in vita grazie alla volontà di autorevoli personaggi del nostro panorama scientifico come, per citarne i più laboriosi, i proff.Maurizio Cumo e Enzo Casolino.
Aggiungo che il Manifesto in questione è stato oggetto di discussione lo scorso sabato 2 luglio all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli che lo ha condiviso soffermandosi, in particolar modo, sui concetti di "verità", di "cultura" e di "ricerca" che coinvolgono direttamente anche il mondo umanistico oltre quello scientifico.
A proposito, la Sips si rende promotrice di una cooperazione stabile e continua associando corporativamente alcune istituzioni europee e uomini di cultura, siano essi appartenenti al mondo scientifico che a quello umanistico, in un movimento europeo che si proponga di diffondere, difendere e migliorare la conoscienza e la ricerca a tutti i livelli, liberando infine la cultura di questi mondi compenetranti dall'apparire "serva sciocca" d'un padrone o pedissequa interprete di qualche ideologia. E' proprio vero che se la montagna non va da Maometto, è Maometto che va alla montagna!
Riteniamo, pertanto, che questo Manifesto, debba essere inteso come un punto di partenza perché si ristabilisca, se mai vi fosse mai stato, un dialogo corretto tra le Istituzioni Politico-amministrative del nostro Paese ed il mondo culturale scientifico, perché l’uomo comune possa guardare alla ricerca come portavoce delle proprie umane esigenze, incentivo, inequivocabile, di crescita e progresso.

Aggiungo un'informazione utile ai lettori di questa rubrica, pertinente allo spirito che la ispira:
Mercoledì 13 luglio, ore 18, presso la Libreria Mel's Bookstore, Roma, Via Nazionale 254 - 255, Telefono 06.4885405,
Maurizio CUMO, professore ordinario di Impianti nucleari dell'Università di Roma - La Sapienza
e Adriano MONTI-BUZZETTI, giornalista RAI,
presentano il volume di
Marco CASOLINO, ricercatore INFN-Roma e RIKEN-Giappone,

Come sopravvivere alla radioattivitàCooper ed., Roma, maggio 2011.


COME SOPRAVVIVERE ALLA RADIOATTIVITA’

Non spaventatevi.

Provate ad accettarla

Compratevi un Geiger

Radioattività: se la conosci la temi un pò di meno. Perché non c’è modo di evitarla completamente. Siamo circondati dalla radioattività: proviene dallo spazio, dalle viscere della terra, dai nostri cari e persino da noi stessi. Radioattivo non vuol dire pericoloso, entro certi limiti. Ma quali sono questi limiti?

“Come sopravvivere alla radioattività” spiega in maniere semplice e comprensibile le nozioni di base di fisica nucleare e biologia per comprendere cosa sia la radioattività e la sua influenza sul corpo umano. Spiegando i recenti avvenimenti in Giappone, si esaminano le applicazioni moderne della radioattività per apprezzare anche il suo “lato buono” (dalle ricerche archeologiche alla diagnosi e cura dei tumori).

Un semplice ma utilissimo decalogo per sopravvivere alla radiazione: da quella apocalittica (ma improbabile) di una Guerra termonucleare globale a quella più insidiosa e reale che si può annidare nelle nostre case

Marco Casolino (casolino.marco@gmail.com), fisico delle astroparticelle di alta energia, è ricercatore dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e collabora con il Dipartimento di fisica dell’Università di Tor Vergata ed il RIKEN, centro di ricerca del Giappone. E’ esperto di metodi di protezione degli astronauti dalla radiazione spaziale. Ha pubblicato più di cento articoli scientifici su riviste internazionale quali “Nature” e “Science” e su riviste nazionali di divulgazione scientifica



Michele Greco

07-07-2011 13:05
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mi.greco
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Messaggio: #4
RE: Società Italiana per il Progresso delle Scienze

Consiglierei agli amici che collaborano a tener vivi i dialoghi e gli scambi d'opinione su NuclearMeeting che domani, 13 luglio possano nella compatibilità della distanza e del tempo disponibile, essere presenti alle 18 alla libreria di via Nazionale a Roma Met's Bookstore alla presentazione del libro di Marco Casolino " Come sopravvivere alla radioattività".
Relatori: maurizio Cumo e Adriano Monti Buzzetti.
Nota:
Marco Casolino (casolino.marco@gmail.com), fisico delle astroparticelle di alta energia, è ricercatore dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e collabora con il Dipartimento di fisica dell’Università di Tor Vergata ed il RIKEN, centro di ricerca del Giappone. E’ esperto di metodi di protezione degli astronauti dalla radiazione spaziale. Ha pubblicato più di cento articoli scientifici su riviste internazionale quali “Nature” e “Science” e su riviste nazionali di divulgazione scientifica.

Michele Greco

12-07-2011 20:44
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lucaberta
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Messaggio: #5
RE: Società Italiana per il Progresso delle Scienze

Ripeto quanto da me riportato anche in un altro messaggio.
---

Sono in contatto con l'autore Marco Casolino, e gli ho gia' fatto notare taluni errori che ha riportato nel libro, causati anche dal fatto che il libro e' stato approntato quando ancora la crisi di Fukushima Dai-ichi era ancora in fase di sviluppo.

Marco ha preparato una pagina del suo sito web come errata corrige del suo libro:
http://marco-casolino.blogspot.com/2011/...rrige.html

A breve appariranno anche delle mie note sulla questione della piscina del combustibile del reattore numero 4, da lui riportata in maniera incorretta nel libro.

Ad ogni modo, il libro e' valido e ne consiglio la lettura, e' comunque una buona sorgente di informazioni, anche se non viene trattato in alcun modo il concetto di ormesi e non viene fatto alcun appunto alla discutibile validita' del concetto di Linear No-Threshold (LNT) che e' uno dei grossi problemi nel campo della radioprotezione.

Ciao, Luca


Luca Bertagnolio
Futuro Nucleare
http://futuronucleare.com
@futuronucleare
13-07-2011 12:48
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RE: Società Italiana per il Progresso delle Scienze

http://www.sipsinfo.it/SeT%20gen-feb%202010.pdf
LA NATURA*
* (Seconda parte dello scritto di Edoardo Boncinelli apparso in “Idea di natura - 13 scienziati a confronto”, curato da Elio Cadelo
con la prefazione dì Corrado Clini.)

LA COMPRENSIONE DELLE LEGGI DELLA NATURA

La nostra comprensione della natura, e più precisamente della natura, è enormemente avanzata negli ultimi tempi, senza che si possa dire per questo che abbiamo compreso tutto.

Si è partiti originariamente dalla descrizione
e, poi, dalla comprensione dei fenomeni che riguardano le cose del nostro mondo quotidiano, quelle che siamo naturalmente attrezzati a osservare
e comparare. Si tratta di oggetti che hanno una dimensione fisica che va dai millimetri alle decine di chilometri e di eventi che si estendono
per un tempo che va dai secondi alle decine di anni. Tali entità costituiscono il nostro mondo, quello nel quale ci siamo evoluti e sviluppati.

Il culmine di questo processo si è avuto tra la
fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando sembrava che si fosse scoperto tutto e che almeno la fisica e la chimica non avessero più
alcun segreto. Nel primo quarto del Novecento ci siamo però trovati a dover ammettere che ci eravamo persi una grossissima fetta della realtà: il mondo dell’infinitamente piccolo e quello dell’infinitamente grande.

Due mondi che seguono principi assai diversi da quelli degli oggetti del nostro mondo quotidiano. Sono, infatti, dominati dalle leggi che appartengono a due grandi, bizzarre teorie fisiche comparse appunto in quel tempo: la fisica quantistica domina nel micromondo e la teoria della relatività generale nel gigamondo.
L’infinitamente piccolo mostra proprietà tutte sue, che lo distinguono da tutto ciò che ci è familiare. Le particelle elementari di cui è costituita
tutta la materia mostrano molte caratteristiche inconsuete, tra le quali la mancanza di un’individualità.
Tutti gli elettroni sono identici fra di loro, così come tutti i protoni o tutti i neutroni. Non è possibile, neppure in linea di principio, distinguere
un elettrone da un altro, in qualsiasi parte dell’universo questo si trovi. E non invecchiano.
Tali caratteristiche sono essenziali per la stabilità della materia, come è essenziale il fatto che anche l’energia, come la materia, abbia una
natura granulare o corpuscolare. Si è scoperto infatti, allora, che l’energia non può essere emessa o assorbita in quantità qualsiasi, ma che queste devono equivalere a multipli interi di un’unità fondamentale detta quanto d’energia. Si può trattare di 1 quanto, di 1000 quanti o di miliardi di miliardi di quanti, ma non di tre quanti e mezzo o di 16,28 quanti. Quando l’energia in gioco è molto grande, come succede nella maggior parte dei fenomeni quotidiani, è praticamente impossibile accorgersi del fatto che questa consiste di un numero intero di granuli, i quanti,appunto, dai quali la teoria prende il nome, e ciò spiega come
mai il fenomeno non era stato mai notato prima del XX secolo.

Se, però, si osservano processi che implicano una quantità di energia molto piccola, la sua natura quantistica si manifesta in tutta la sua evidenza.
Anche la luce ha una struttura granulare e consiste di un numero definito di quanti di luce, chiamati generalmente fotoni. Il punto fondamentale è che se la materia e l’energia non avessero una natura corpuscolare, il mondo stesso non esisterebbe.

Delle particelle che costituiscono la materia non è possibile, inoltre, conoscere troppe cose contemporaneamente. Di una particella posso
conoscere per esempio la posizione o la velocità, ma non tutte e due le cose contemporaneamente con precisione. Se ne conosco bene la posizione, avrò inevitabilmente una grande incertezza sulla sua velocità. Se al contrario conosco molto bene la sua velocità, dovrò accontentarmi di conoscerne solo approssimativamente la posizione. Qual è il motivo di una tale conoscenza parziale? Per misurare una grandezza è necessario uno strumento di misura, per quanto elementare. Per vedere con precisione dov’è un elettrone occorre almeno colpirlo con un raggio di luce elementare, cioè con un fotone. Questo impartisce inevitabilmente
all’elettrone una «spintina», così che non potrò mai sapere con precisione che velocità aveva prima che facessi la misura.

Semplicissimo ma profondamente inquietante.
Tra l’altro, si capisce perché questo non abbia importanza per esempio per una gomma da cancellare: se questa viene colpita da qualche fotone non ne riceve alcuna spinta e non ci sarà di conseguenza alcun incremento di velocità, se non infinitamente piccolo.
Un’analoga esclusione reciproca si osserva per l’energia e il tempo: non
è dato sapere qual è in questo preciso istante l’energia esatta posseduta da una particella.
Posso conoscerne esattamente l’energia solo se mi riferisco
a un intervallo di tempo piuttosto lungo,mentre se considero un intervallo molto breve devo rinunciare a conoscere con esattezza l’energia
posseduta.
Ma la cosa probabilmente più ardua da accettare è che una particella possa stare in più stati contemporaneamente, cioè in una mescolanza di
stati diversi. Non possiamo sapere per esempio che traiettoria ha percorso un elettrone di cui sappiamo che è andato da un punto A ad un punto B.
Si comporta, infatti, come se avesse percorso una combinazione di traiettorie diverse. Analogamente un elettrone che si trova all’interno di un atomo può trovarsi in molte posizioni diverse con livelli energetici diversi. È difficile comprendere perché sia così, affidandoci alla nostra mente abituata a corpi estesi e tempi relativamente lunghi, ma è
così. Pensandoci bene, però, come poteva essere altrimenti? Come poteva essere che questo tavolo avesse al suo interno dei pezzettini di legno e che dentro questi pezzettini di legno ci fossero altri pezzettini più piccoli e via discorrendo e che godessero tutti delle stesse proprietà?
Mentre per entità materiali molto piccole non si può fare a meno di mettere in campo l’apparato della meccanica quantistica, per oggetti più grandi come per i tavolini e per le sedie, come pure per gli esseri umani, invece, le vecchie formule vanno benissimo. Esiste a questo proposito un
principio che impone che ogni descrizione in termini quantistici debba trasformarsi progressivamente nella corrispondente descrizione classica
quando si passa dallo studio del mondo submicroscopico a quello dei corpi estesi e quindi dotati di una certa massa.

In questa luce, un elettrone lanciato contro una parete teoricamente insormontabile ha una certa probabilità di trovarsi, magicamente, dall’altra
parte. Questo fenomeno, chiamato effetto tunnel, ha luogo quotidianamente nel mondo delle particelle e l’uomo lo ha sfruttato per
costruire molti congegni elettronici. L’effetto tunnel vale ovviamente anche per le lepri e per gli esseri umani, ma perde progressivamente di
importanza fino a divenire irrilevante. Non è stato mai osservato un essere umano che lanciatosi contro una parete si sia trovato dall’altra parte, ovviamente senza romperla, anche se questo non
è teoricamente impossibile. Se si calcola infatti la probabilità che ciò accada, si vede che non è zero, ma è incredibilmente bassa.

Passare dalle particelle agli oggetti estesi ha anche questa conseguenza, come quella per cui noi viviamo in un mondo discretamente deterministico, mentre il micromondo segue principi probabilistici
o statistici. Nel nostro mondo, date certe condizioni di partenza, ne deve per forza seguire un certo corso degli eventi, in maniera determinata e prevedibile, almeno in linea di massima. Nel mondo delle particelle subatomiche,invece, le cose non stanno così.
Il comportamento della singola particella non è prevedibile nel suo dettaglio, nemmeno in linea di principio. Quello che è prevedibile è solo il comportamento di un gran numero di particelle messe nelle stesse
condizioni.
Il micromondo è quindi popolato di entità sfuggenti e misteriose che obbediscono a leggi ferree ma incomprensibili. Che dire, sull’altro versante, del gigamondo, quello che ospita entità enormi come pianeti, stelle, galassie e ammassi di galassie e dell’universo stesso? All’interno degli astri ci sono le particelle e talvolta gli atomi.
Questi e quelle seguono le leggi della fisica quantistica e la luce che molti corpi celesti emettono è una conseguenza dell’azione di queste strane
leggi. Al di fuori dei corpi celesti esiste lo spazio interstellare, anzi lo spazio-tempo interstellare con le sue proprietà.

Nel secolo scorso abbiamo appreso che un
corpo di grande massa deforma, incurvandolo, lo spazio-tempo circostante in modo che anche un raggio di luce che passi nelle sue vicinanze ne viene un po’ deviato. Un corpo celeste abbastanza
grande può arrivare a deformare lo spazio-tempo fino al punto di inghiottirlo. Un buco nero è proprio il residuo di un tale evento: lo spazio-tempo vi si è incurvato a tal punto che ha ceduto ed è rovinato sul corpo stesso, così che qualsiasi cosa vi si avvicini troppo ne viene risucchiato e ci cade dentro. Anche la luce vi va a morire ed è questa l’origine del nome: niente ne può più riuscire, nemmeno la luce.

Probabilmente al centro di ogni galassia esiste un buco nero, che quindi sarà molto difficile da osservare direttamente. D’altra parte ci viene
detto che chi si avvicinasse a un buco nero e ne venisse risucchiato probabilmente non si accorgerebbe di niente. Gli altri vedrebbero il suo tempo rallentare progressivamente e le sue dimensioni contrarsi, ma lui non ne avrebbe una percezione soggettiva cosciente.
Tempi che rallentano e dimensioni spaziali che si contraggono fanno parte dell’armamentario logico della teoria della relatività. Se si guarda
al cosmo e alla forza di gravitazione che vi domina, si possono osservare appunto le strane cose che abbiamo appena ricordate. Le masse,
soprattutto le grandi masse, incurvano lo spaziotempo
circostante, facendo per esempio rallentare gli orologi che si trovano nelle vicinanze. Se il campo gravitazionale è molto forte, il rallentamento
è sensibile, ma ci può essere una lieve differenza nella misura del tempo anche fra due orologi identici funzionanti in un grattacielo, uno
nello scantinato e l’altro sul tetto. Il primo andrà un po’ più lento del secondo perché si trova a operare in un campo gravitazionale più intenso, anche se di poco, come è stato sperimentalmente
accertato qualche anno fa.
La concezione dello spazio-tempo offerta dalla teoria della relatività generale ha una grandiosità inarrivabile. In questa visione sommamente
astratta tutta la fisica del cosmo si può ricondurre a geometria, la geometria dello spaziotempo.
Un pianeta o una cometa orbitano intorno a una data stella perché quella è «la loro via». Lo spazio-tempo intorno alla stella è deformato da
quella in modo tale che il pianeta o la cometa seguano naturalmente una data traiettoria, perché è quella permessa dalla struttura locale dello spazio- tempo. Spazio, tempo, massa e gravita si fondono allora in un’unica equazione semplice e grandiosa che descrive le varie realtà locali e l’intero universo.
Ma c’è un piccolo problema: la risoluzione di questa equazione mostra incontrovertibilmente che l’universo non può essere statico ma deve
espandersi in continuazione. La teoria della  relatività
generale ha ricevuto negli anni innumerevoli conferme e l’idea che l’universo si stia espandendo è divenuta ormai familiare anche all’uomo
della strada. D’altra parte, il fatto che il cielo di notte sia scuro, invece che di una luminosità accecante, non può essere spiegato se non supponendo che le stelle e le galassie si allontanino costantemente, fuggendo da noi e le une dalle altre. Non è parimenti possibile comprendere perché a lungo andare stelle e galassie non precipitino
le une sulle altre sotto l’azione della forza di gravità, se non invocando l’esistenza di un meccanismo di fuga e di espansione.
L’universo nella sua totalità si espande e si può pensare che ci sia stato un momento in cui tutto era concentrato in un unico punto di densità
infinita. Si ritiene che ciò sia accaduto circa quattordici miliardi di anni fa. In quel momento c’è stata una gigantesca esplosione cui è stato
dato il nome di Big Bang, il grande schianto, e da allora l’universo ha cominciato a espandersi.
Quello che non sappiamo è se l’espansione durerà per sempre o arriverà un momento, per quanto remoto, in cui l’universo smetterà di
espandersi e comincerà a contrarsi. Sono scenari da brivido, ma esistono numerosi studi che rendono il tutto scientificamente ineccepibile. Molti
autori ritengono anche che il fenomeno dell’espansione dell’universo sia la causa ultima, se non unica, dell’irreversibilità degli eventi della
nostra vita. Se c’è qualcosa di tanto fondamentalche è così palesemente asimmetrico, non è impossibile pensare di ricondurre tutte le altre
asimmetrie temporali a questa.
Negli immensi spazi siderali si aggirano quindi oggetti che incurvano con la loro stessa presenza il continuo spazio-temporale fino a
inghiottirlo. Ma non è finita qui. In anni recenti si è cominciato a sentir parlare di cose ancora più misteriose e affascinanti, come la materia oscura e l’energia oscura. Per spiegare perché l’universo si espanda all’attuale velocità, occorre pensare che contenga molta più materia di quella che riusciamo a osservare. Questa ipotetica materia è stata definita oscura perché non riusciamo a vederla e non ne sappiamo niente. Inoltre, comunque la si possa spiegare, l’attuale velocità di espansione dell’universo sta aumentando.
Le galassie fuggono le une dalle altre sempre più in fretta. Ci deve essere qualcosa quindi che le allontana e che bilancia e sovrasta la forza di
gravita che tenderebbe a frenarne la fuga. Questa pressione interna della fabbrica del cosmo è stata chiamata energia oscura e nessuno ha al momento la più pallida idea di che cosa possa essere. La materia oscura e l’energia oscura potrebbero rappresentare tra il 95% e il 97% del contenuto dell’universo, lasciando alla materia che conosciamo un mero 3%!
Nel considerare i mondi dell’infinitamente piccolo e dello straordinariamente grande non possiamo che affidarci ad analogie o a immagini mentali più o meno azzardate. Oppure a formule matematiche, quelle formule che per quanto riguarda gli oggetti del nostro mondo sono poco più che riassunti di un gran numero di affermazioni, ma che per i fenomeni che hanno luogo in questi mondi remoti rappresentano quasi l’unica forma possibile di conoscenza e di previsione.
Eppure, nonostante tutte le nostre difficoltà ad afferrare le leggi di questi mondi remoti, è la nostra stessa esistenza di esseri viventi e intelligenti
che costituisce una garanzia per la realtà del gigacosmo e del microcosmo, anzi la richiede.
Ne fa una condizione necessaria se non sufficiente perché noi possiamo essere così come siamo. Vediamo perché.
Se non esistesse, infatti, l’infinitamente piccolo, la materia vivente non esisterebbe come tale. Anche un tavolo o una roccia sono costituiti
di molecole e di atomi ma per comprendere molte delle loro proprietà questo fatto può essere momentaneamente ignorato. Non così per la vita, né per la vita intelligente. Un essere vivente è costituito di cellule che sono necessariamente piccole e contengono organuli e microapparati
ancora più piccoli e per poter pensare deve possedere anche un numero imponente di cellule nervose.
Le cellule sono piccoli mondi organizzati e sufficientemente autonomi che non possono che essere formati da un numero enorme di unità
costitutive elementari. Se i mattoni del mondo fossero delle dimensioni a noi familiari, anche solo dell’ordine dei millimetri, non ci sarebbero esseri viventi e noi non ci saremmo.
Per essere vivi bisogna essere costituiti di parti piccole, che contengono altre parti ancora più piccole che interagiscono continuamente tra
di loro. Se le cellule nervose non fossero, inoltre, sufficientemente piccole da convivere a miliardi nel nostro corpo e nella nostra testa e non si toccassero tra di loro con contatti ancora più piccoli, noi non saremmo in grado di pensare.
Nel solo nostro cervello ci sono per esempio cento miliardi di cellule nervose. Si tratta di un numero enorme, astronomico nel vero senso
della parola, perché cento miliardi sono le stelle della galassia e cento miliardi sono anche probabilmente le galassie dell’universo. Per non parlare
della miriade di microconnessioni, chiamate in gergo tecnico sinapsi, che mettono in contatto tra di loro le varie cellule del cervello. Gè ne sono in
media diecimila per cellula. Se moltiplichiamo diecimila per cento miliardi otteniamo la sbalorditiva cifra di un milione di miliardi. Il nostro
cervello contiene quindi un milione di miliardi di connessioni, più di qualsiasi calcolatore elettronico esistente al momento sulla terra. Non meraviglia che siamo capaci di prestazioni mentali fuori dell’ordinario e che siamo anche incredibilmente diversi l’uno dall’altro: basta una connessione
allacciata in una maniera invece che in un’altra ed ecco che due cervelli non sono più uguali e danno vita a menti e coscienze diverse e
costitutivamente uniche.
Il fatto che siamo organismi viventi e che abbiamo un cervello piuttosto potente lo dobbiamo insomma all’esistenza del mondo del piccolissimo
con tutte le sue stupefacenti proprietà. Ma è vero anche l’inverso. Se l’universo non fosse tanto grande, non potrebbe avere una storia abbastanza lunga alle spalle. Abbiamo visto che, come si pensa, l’universo abbia approssimativamente quattordici miliardi di anni: l’universo fisico è tanto grande perché è da tanto tempo che sta lì e si espande. Se fosse stato più piccolo e la sua storia fosse stata più breve, non ci sarebbe stato il tempo per alcune stelle di esistere e di «sputare»
gli atomi degli elementi pesanti o di generare i pianeti, né per alcuni pianeti di raffreddarsi al punto da sopportare la vita e arrivare a pullulare
di strane creature che possono vivere solo a certe temperature e in condizioni ambientali relativamente stabili.

In conclusione, abbiamo serissimi problemi a raffigurarci il molto grande e l’eccezionalmente piccolo, ma la nostra stessa esistenza ne esige e
giustifica l’esistenza: il piccolo perché senza di quello non ci sarebbe né vita né intelligenza; il grande perché se l’universo non fosse stato così
grande non ci sarebbe stato il tempo materiale perché si formasse la nostra casa comune, la terra, e si potesse avere su di essa un’evoluzione
biologica di tale estensione da portare ai gigli, ai colibrì e agli esseri umani.
Anche la conoscenza della natura biologica ha fatto enormi progressi e ha introdotto punti di vista e concetti profondamente nuovi, anche
senza tirare in ballo la genetica e la biologia molecolare. La teoria dell’evoluzione biologica, il nocciolo duro del concetto di natura, ci ha
costretto a guardare le cose del mondo, cioè della natura, con occhi molto diversi e con una logica tutta particolare. La zoologia, l’ecologia e
l’etologia ci hanno offerto da parte loro una visione più dettagliata e approfondita delle dinamiche biologiche naturali. Colpisce quindi il
fatto che spesso quando si contrappone la natura alla cultura, soprattutto in questioni che coinvolgono l’etica e la bioetica, ci si avvale di una visione della natura stessa che risale a decenni,se non a secoli fa.

Non si può affermare, secondo me, che «la natura si comporta cosi», oppure che «questo è secondo/contro natura», se non si conosce la
natura stessa.
Non ha diritto di parlare di natura chi della natura non sa nulla: la natura va studiata, prima di parlare in suo nome. Eppure si assiste quotidianamente allo spettacolo di persone anche autorevoli che si richiamano di continuo a fenomeni e principi «di natura» che in genere non conoscono e che nella maggior parte dei casi si inventano di sana pianta. Non c’è niente di più immorale, per me, che inventarsi principi morali ad hoc, soprattutto se fondati su un ipotetico comportamento della natura.
Senza contare che noi uomini non abbiamo accettato come oro colato tutto quello che la natura biologica pratica e impone agli animali non
umani. Tutt’altro: certe cose profondamente naturali a noi non sono piaciute e non piacciono. A noi non piace che chi è nato geneticamente svantaggiato subisca tutte le conseguenze del suo stato.
Non piace che i bambini muoiano in gran numero, falcidiati dalle più tremende, ma «naturali», malattie. Non piace che soccombano i deboli, i
sofferenti e gli anziani. Non piace perché consideriamo gli altri come individui, che hanno impiegato tanto tempo a crescere, a formare la loro individualità personale e con i quali possiamo avere avuto una comunanza di esperienze e di vita.
Gli altri esseri umani sono per noi potenziali parenti, se non potenziali «noi stessi», poiché la nostra esperienza interiore ci fa toccare con mano
che cosa voglia dire soffrire e perdere la speranza e perché siamo abituati ad attribuire agli altri i nostri stessi pensieri e le nostre stesse sensazioni.
Aiutando gli altri aiutiamo noi stessi. Per le nostre esperienze interiori e per la lunghezza del periodo nel quale siamo stati bisognosi di aiuto e
abbiamo successivamente fornito ai nostri figli aiuto e protezione.
Siamo eterni figli e genitori e pensiamo di poter comunque essere utili. Tale convinzione ci ha portato a sviluppare forme di conforto sociale
inusitate e da una certa epoca storica in poi forme di soccorso materiale assolutamente senza precedenti.
La medicina e la chirurgia ci offrono oggi tutti i motivi per tentare di essere d’aiuto a chi soffre e non possiamo non compiacerci di tali successi. Se la pietà è oltre un certo livello innaturale,i progressi tecnici che quella ci ha ispirato possono far tornare i conti e darci ragione oltre la natura e al di sopra di essa. Siamo orgogliosi di essere come siamo, proprio perché per moltissimi aspetti della vita ci siamo affrancati dai dettami della natura e dalle imposizioni del destino.
E bene ricordare però che la natura si può trascendere ma non ignorare.

Occorre sapere come opera e, entro certi limiti, come «ragiona».
La natura ha sempre ragione, dal suo punto di vista. È giusto quindi superarla, come del resto abbiamo sempre fatto, ma è anche giusto comprendere le sue ragioni, non per rassegnarvisi, ma proprio per afferrarne il significato ed eventualmente trascenderlo.

Per quanto riguarda in particolare la morale individuale e collettiva, guai se seguissimo in tutto e per tutto la logica della natura. Non che la natura non abbia principi -ne ha tanti e molti utili anche per il nostro comportamento- ma il nostro senso morale si è sviluppato come una cosa nostra, un portato della nostra cultura, a volte in consonanza
e a volte in dissonanza con i principi naturali.
Occorre quindi valutare e giudicare caso per caso, utilizzando la ragione e la pietà umana, senza pregiudizi e apriorismi, soprattutto se basati su una
falsa conoscenza della natura e dei suoi principi.

EDOARDO BONCINELLI
Professore emerito, Università Vita e Salute di Milano


Una  fredda nebbia illividisce il cielo,
le notti incominciano prima.
Tutti conoscono il declino,
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RE: Società Italiana per il Progresso delle Scienze

Caro Cher,
cosa vuoi che ti dica?
Hai riportato una esauriente lezione di vita dettata dalle attenzioni scientifiche di Edoardo Boncinelli che merita un nostro plauso, soprattutto per come conclude il suo scritto.
Si dovrebbe portare questa "rubrica" a sviluppare certe tematiche che fondono scientificità, intuizioni e morale in una unica sapiente voce-
Hai sicuramente riportato lo scritto di Bandinelli dopo che personalmente ti ho parlato nell'aver distinto la morale in: morale naturale, sociale ed individuale.
Trovo conforto in detto scritto ed aggiungo che quando Bandinelli dice che noi " (...)Non c’è niente di più immorale, per me, che inventarsi principi morali ad hoc, soprattutto se fondati su un ipotetico comportamento della natura.
Senza contare che noi uomini non abbiamo accettato come oro colato tutto quello che la natura biologica pratica e impone agli animali non
umani. Tutt’altro: certe cose profondamente naturali a noi non sono piaciute e non piacciono. A noi non piace che chi è nato geneticamente svantaggiato subisca tutte le conseguenze del suo stato.
Non piace che i bambini muoiano in gran numero, falcidiati dalle più tremende, ma «naturali», malattie. Non piace che soccombano i deboli, i
sofferenti e gli anziani. Non piace perché consideriamo gli altri come individui, che hanno impiegato tanto tempo a crescere, a formare la loro individualità personale e con i quali possiamo avere avuto una comunanza di esperienze e di vita.(...)"- lo dice perchè sa che l'uomo non ama ciò che "potrebbe essere", ha paura della sofferenza, della diversità, delle identificazioni. Ciò ci fa riflettere sulla condizione coscienziale e psichica dell'uomo d'oggi che non riesce a capire che anche in quei piccolissimi mondi vivificano a ragione i grandi. Ritengo che Edoardo Bonginelli ci faccia riflettere e che mi spinge a fare considerazioni di mero valore:
Vi siete mai chiesti, quanto vale la carne di un bimbo del terzo mondo o quella di un bimbo lasciato morire di freddo e di fame alle soglie di una grande città occidentale e, la carne di un uomo che viene condannato a morte, per non parlare di quanta carne sia andata perduta nelle terre flagellate dalle calamità.
Lo sapevamo tutti che la carne va conservata in freddi contenitori per essere consumata tranquillamente nei giorni futuri, però quando la realtà dei nostri giorni ci fa vedere carne umana conservata in enorme quantità in grandi frigoriferi pronta ad essere sottoposta alla identificazione ed al pianto di chi la aspetta, ci rendiamo conto di come la nostra vita vale giusto un giorno di cronaca.
Ma, al di là queste “piccole” considerazioni, che ci indicano fatti ”irrilevanti” e volutamente rilevati, è toccante pensare che la nostra società consumi, divori, distrugga piccoli mondi e deboli creature emarginate dalla miseria e dalla indifferenza.
Ci domandiamo se è possibile che oggi, alle soglie del terzo millennio, l’uomo che non è altro che uomo, debba chiedere ad altri, che gli sia riconosciuto un prezzo, un valore, la sua dignità.
Ho sempre pensato e scritto in altre occasioni che la vita è un vuoto a perdere, procede per sostituzioni progressive di mondi ed individui.
E' il momento magico che ci indica questa solitaria strada che molti non vogliono percorrere per stare in pace con la propria coscienza; è quel momento della vita dove la verità, una volta avvertita, fa paura; non è una vetrina dove si può esporre ciò che gli altri sono obbligati a vedere. Questo è il nostro quotidiano, il nostro eterno Carnevale, il cui valore è zero, dove si oppone alla propria sconosciuta identità quella di un altro che forse non è mai esistito, dove si espone falsità, gioiosa riproduzione infantile dei nostri sogni forse proibiti. Quando il sogno non si concilia più con la realtà, in una unica possibile benefica utopia, è giusto temere il peggio, è giusto credere che stiamo sempre di più perdendo la coscienza della nostra reale dimensione e di questa il rispetto-

Michele Greco

13-07-2011 16:39
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Messaggio: #8
RE: Società Italiana per il Progresso delle Scienze

Tratto  da :
MENSILE DI INFORMAZIONE DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER IL PROGRESSO DELLE SCIENZE

ANNO LXXIII - NN. 473-474 gen.-feb. 2010
DEL COMUNICARE DEI FUTURISTI Di ANTONELLA LIBERATI


OGNI FUTURISTA ATTITUDINALE DIMOSTRA CREATIVITÀ NELLA
FORMULAZIONE DEL MEZZO IDONEO A COMUNICARE ALL’OPINIONE
PUBBLICA LA SUA PERCEZIONE FUTURISTA DEL MOMENTO

Si conclude il primo centenario della pubblicazione del primo Manifesto Futurista, che insieme agli altri che lo seguirono, fissò a priori, per iscritto e in modo sintetico i parametri programmatici del comunicare la realtà ambientale o prossima ventura della prima metà del XX secolo. A quel gruppo e a quel Manifesto si riferiscono generalmente tanto la definizione di “Futurista” quanto quella di “Futurismo”.

Quel Futurismo avrebbe interessato ogni ambito cognitivo, tecnologico e culturale, superando ogni aspetto del già noto o creduto tale, proponendo una lettura futurista dell’ambiente presente o prossimo futuro. Tale articolata percezione ambientale richiedeva la formulazione o la riformulazione di altrettanto articolati linguaggi e strumenti comunicativi ad hoc per informare l’opinione pubblica e quindi formarla alla globale rivoluzione tecnologica in fieri di quegli anni.

L’innovazione futuristica consiste nella formulazione di metodiche di approccio alla realtà ambientale apparente, visibile e invisibile, manifesta
o da rappresentare. Le sue metodiche implicano adeguate, innovative strategie comunicative di quanto è futuristico, esistente, ma percepito come presente o immanente soltanto dai futuristi. Quei Futuristi
ne hanno lasciato vasta, motivata documentazione. Quella codificazione, congiunta ad una manifestazione di intenti, spesso a priori del fare, indica
che il “futurismo” è uno stato immanente.

I futuristi di ogni tempo e in ogni luogo (attitudinali, quindi) si trovano a dover individuare un medium comunicativo ad hoc con la duplice funzione
di sintetizzare, semplificare la loro percezione futurista, quanto di comunicarla all’opinione pubblica. Più che inventori o scopritori, sono
elaboratori di media comunicativi delle loro percezioni ambientali futuriste. I loro media comunicativi possono somigliarsi, essere univoci indipendentemente dallo spazio-tempo in quanto spesso legano un evento di tipo tecnologico alle sue ricadute socio-ambientali.
Tali media rendono noto all’opinione pubblica anche l’imponente indotto trasversale che ogni fenomeno tecnologico comporta. Nel 1912 Marcel
Duchamp (1887-1968) dipinge “Nudo che scende una scala”. Nello stesso anno, Giacomo Balla (1871-1958) dipinge “La mano del violinista”.
Entrambe le opere mostrano evidenti somiglianze comunicative. Paolo Orano (1875-1945), verso la fine degli anni venti del secolo scorso,
percepì che l’opinione pubblica era entità ben distinta dalla folla. Tanto le manifestazioni che la formazione dell’opinione pubblica potevano e
dovevano diventare oggetto di studio articolato su basi scientifiche e che quanto attinente l’opinione pubblica era trasversalmente multidisciplinare.
Tale intuizione costituì percezione futurista e germe della metodica della futura demodoxalogia, scienza ed arte della quale si vanno implementando incessanti sviluppi.

Edward Estlin Cummings (1894-1962), poeta (ma non solo, come accade spesso ai futuristi) statunitense, elaborò diversificati media comunicativi.
Tra gli altri, le sue poesie, specialmente da quando cominciò ad usare una macchina per scrivere, si arricchirono di effetti visuali e onomatopeici,
per cui il suo lettore riceve una combinatoria di messaggi: dalle parole scelte alla distribuzione grafica delle singole lettere di ogni parola
sul foglio, dall’impiego di corsivo, maiuscolo, punteggiatura, spaziatura alle pause, dalla composizione grafica d’insieme del testo alla sonorità
delle parole se pronunciate ad alta voce. Nel 1931 pubblica la raccolta ViVa, con la poesia Space being (don’t forget to remember) Curved, dove, con attitudine futurista, Cummings comunica all’opinione pubblica le sue titubanze per le scopertedi Einstein.

Medesima percezione futurista spinge Mary Shelley, nel 1816, a immaginare gli esponenziali frutti dell’attività del suo “Moderno Prometeo”, o Dottor Frankenstein, il quale riesce ad applicare a una sua ri-composizione antropomorfa di parti anatomiche di deceduti le possibilità del galvanismo.
La Shelley comunica la sua percezione futurista della realtà possibile che potrebbe determinarsi se il galvanismo si sposasse con lo spirito di Prometeo attraverso un medium, allora molto diffuso presso l’opinione pubblica, il romanzo ma riformulandolo ad hoc: il romanzo di fantascienza.

Altre percezioni futuriste trasformate in creative comunicazioni all’opinione pubblica sono generate dal fenomeno “automobile”, da ogni
macchina in qualche modo automatica e dal paradossale conseguente legame uomo-macchina.
L’essere umano vive in ambiguità il suo rapportarsi con la macchina da lui prodotta (o scelta, come una sposa): un rapporto complesso quale quello fra coniugi. Nel dipinto “Il marinaio” (1930) Diulgheroff, estremizza il concetto trasformando la sagoma antropomorfa del fonditore in lamiera calandrata, da egli medesimo prodotta. Molti futuristi attitudinali hanno paventato e rappresentato le complesse implicazioni fra uomo e la sua creatura tecnologica, sua apparente protesi migliorativa, ma con complesse proiezioni psico affettive: in “Metropolis” di Fritz Lang, film del 1927, l’eroina si confonde con il suo clone-automa.
Sempre E.E. Cummings pubblica, nel 1926, “is 5”: nella sezione ONE si trova “she being Brand”, dove she è minuscolo e Brand maiuscolo, perché la poesia tratta, con ambigua sottile ironia allusiva, di un primo rapporto fra un “lui” tanto esperto amante di una inesperta compagna (sposina?), quanto sensibile conducente di una vettura nuova di zecca. Nel
1951 Marshall Mac Luhan (1911-1980) pubblica “La sposa meccanica” [l’automobile].
Sono di quegli anni le ricerche di mercato che impiegando l’ipnosi rivelano insospettate motivazioni da sfruttare per vendere le autovetture; da
qui l’associare a vetture di prestigio immagini di procaci ragazze pin-up. Nel 1925 Francis Scott Fitzgerald pubblica “The Great Gatsby”, dove
l’automobile di grande prestigio diventa causa di morte e crescente tragedia. “Tempi moderni”, film del 1936 prodotto, diretto e interpretato da Charlie Chaplin, comunica all’opinione pubblica gli effetti reali tanto della catena di montaggio che dell’esasperata ottimizzazione dei tempi e metodi ideata da Taylor e, tra gli altri applicata, da Henry Ford
per produrre la Ford T.

Avvisano delle inevitabili conseguenze della sorveglianza a distanza e dell’automazione in genere i citati “Metropolis”, “Tempi moderni” ma
anche “Il Mondo nuovo” (1932) di Aldous Huxley, 1984 (1948) di George Orwell , per non dimenticare lo specchio in “Biancaneve” (1936/1937) di
Walt Disney.
Le Corbusier (1887-1965), con la sua “macchina da abitare” comunica all’opinione pubblica la sua percezione di un rapporto ben più complesso
di quello di semplice uso umano di una struttura abitativa. Tra il 1929 e il 1931 edifica la Villa Savoye a Poissy, in Francia, dove applica i suoi
cinque punti comunicando all’opinione pubblica le potenzialità dell’impiego del cemento-calcestruzzo armato in funzione della sua percezione
futurista dell’abitazione prossima ventura: i piloni, il tetto giardino a terrazza, la pianta libera, la facciata libera, la finestra a nastro.
Futuristicamente, con questi cinque punti preconizza la necessità di provvedere idonea area di parcheggio delle automobili sotto gli edifici, per cui il primo solaio abitabile sarà sopra ai piloni. Al primo piano; lo spazio verde dovrà trovare luogo sul lastrico di copertura dell’edificio; la pianta della macchina da abitare sarà libera di adeguarsi alle esigenze del suo conducente; la facciata libera da sovrastrutture decorative consentirà di recuperare la necessaria migliore interazione ambientale; la finestra, un unico nastro sulla parte alta delle pareti, per consentire arredi modulari e continui, oltre ad un’illuminazione naturale senza angoli d’ombra.
Secondo l’evoluzione a spirale del susseguirsi dei cicli demodoxalogici, i Futuristi storici con i loro Manifesti e codificazioni di metodica futurista,
inseriti nel secolo che li ha ospitati e che ne riceve caratterizzazione, costituiscono una chiosa utile a fornire mezzi, linguaggi, tecniche comunicative assimilabili a dizionari multifunzionali per leggere,
decrittare, scoprire i futurismi e i loro media comunicativi di ogni passato e frattale ambientale; oltre a contribuire all’operosità dei futuristi a noi oggi contemporanei e di quelli futuri.
Ci congediamo dal primo secolo di consapevolezza futurista citando un medium che sintetizza ed esemplifica un iter completo di elaborazione, esperienze, tecniche e tecnologie utile alla fabbricazione
di un medium ad hoc ex novo per comunicare all’opinione pubblica la percezione futurista di una realtà ambientale: l’intonarumori (Russolo).
“Nell’anno 3000 il nostro secolo sarà ricordato non per la scoperta di fissioni nucleari, ma per la prima formulazione esatta dei principi di
comunicazione” dalla prefazione dello scienziato Donald H. Andrews, professore di chimica alla John Hopkins University, alla raccolta di poesie
XAIPE (1950) di E.E. Cummings.

ANTONELLA LIBERATI


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RE: Società Italiana per il Progresso delle Scienze

Anche se in ritardo vorrei rispondere al collaboratore Lucaberta in merito ad uno "schiaffo ed ad una carezza" dati a Marco Casolino che nei giorni scorsi presentava una sua pubblicazione "Come sopravvivere alla Radioattività".
Lucaberta scrive :
-Ripeto quanto da me riportato anche in un altro messaggio.
---

Sono in contatto con l'autore Marco Casolino, e gli ho gia' fatto notare taluni errori che ha riportato nel libro, causati anche dal fatto che il libro e' stato approntato quando ancora la crisi di Fukushima Dai-ichi era ancora in fase di sviluppo.

Marco ha preparato una pagina del suo sito web come errata corrige del suo libro:
http://marco-casolino.blogspot.com/2011/...rrige.html

A breve appariranno anche delle mie note sulla questione della piscina del combustibile del reattore numero 4, da lui riportata in maniera incorretta nel libro.

Ad ogni modo, il libro e' valido e ne consiglio la lettura, e' comunque una buona sorgente di informazioni, anche se non viene trattato in alcun modo il concetto di ormesi e non viene fatto alcun appunto alla discutibile validita' del concetto di Linear No-Threshold (LNT) che e' uno dei grossi problemi nel campo della radioprotezione.-

Ciao, Luca


--------------------------------------------------------------------------------
Luca Bertagnolio
Futuro Nucleare
http://futuronucleare.com
@futuronucleare

Qualche mese fa scrivevo in Archivio Nucleare quanto segue:
"(...) Mi rammarica avvertire che, anche se velatamente, vi sia comunque da parte nostra (mi riferisco a chi scrive su questa rubrica) un contrasto, una voluta presa di posizione "possibilmente autorevole" da primi della classe, un concorrere nel fornire notizie o opinioni più “intelligenti” e più “scientificamente aderenti al tema”. E’ un esibizionismo di bassa letteratura per lo più assistita da considerazioni e “rimproveri” che lasciano il tempo che trovano.
Gradirei perciò una critica più sostanziale, diretta a ciò che realmente di errato viene detto o a ciò che si possa prestare ad interpretazioni soggettive.
Questo è un altro problema, apparentemente secondario, che attesta la nostra insicurezza nell’esporre fatti e circostanze e la nostra “necessità” di emergere e prevalere. Lasciamo ad altri tali abitudini, “privilegiate” dal piccolo o grande potere conquistato senza meriti acquisiti.(...)

Michele Greco

24-07-2011 18:42
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lucaberta
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RE:  Società Italiana per il Progresso delle Scienze

mi.greco ha Scritto:

Anche se in ritardo vorrei rispondere al collaboratore Lucaberta in merito ad uno "schiaffo ed ad una carezza" dati a Marco Casolino che nei giorni scorsi presentava una sua pubblicazione "Come sopravvivere alla Radioattività".
[...]
Qualche mese fa scrivevo in Archivio Nucleare quanto segue:
"(...) Mi rammarica avvertire che, anche se velatamente, vi sia comunque da parte nostra (mi riferisco a chi scrive su questa rubrica) un contrasto, una voluta presa di posizione "possibilmente autorevole" da primi della classe, un concorrere nel fornire notizie o opinioni più “intelligenti” e più “scientificamente aderenti al tema”. E’ un esibizionismo di bassa letteratura per lo più assistita da considerazioni e “rimproveri” che lasciano il tempo che trovano.
Gradirei perciò una critica più sostanziale, diretta a ciò che realmente di errato viene detto o a ciò che si possa prestare ad interpretazioni soggettive.
Questo è un altro problema, apparentemente secondario, che attesta la nostra insicurezza nell’esporre fatti e circostanze e la nostra “necessità” di emergere e prevalere. Lasciamo ad altri tali abitudini, “privilegiate” dal piccolo o grande potere conquistato senza meriti acquisiti.(...)

buondi' Michele, e grazie del commento, che ammetto di non aver forse compreso completamente.

Non ritengo di avere dato alcun schiaffo e nemmeno nessuna particolare carezza a Marco Casolino, ma di avere semplicemente messo a sua disposizione delle informazioni piu' recenti rispetto a quelle che aveva a disposizione quando ha scritto il libro.  E difatti, nella pagina dell'errata corrige qui:

http://marco-casolino.blogspot.com/2011/...rrige.html

Marco ha aggiunto le note che ci siamo scambiati privatamente, dopo che io gli ho concesso la facolta' di pubblicare il nostro scambio di messaggi privati.

Il tutto e' stato fatto con estrema cortesia e correttezza sia da parte sua che da parte mia.  Io penso che essendo Marco vero uomo di Scienza, non ci sia stata alcuna idea da parte sua che i miei commenti fossero volti a sminuire il suo lavoro, che io considero ottimo anche se, come gia' detto, l'aver tralasciato la questione annosa della radioprotezione, e cioe' la teoria dell'ormesi contro la teoria LNT (linear-non threshold), abbia certamente semplificato la sua trattazione, a discapito di una poca chiarezza di cosa effettivamente succede alle basse dosi di radiazioni.

Ma come abbiamo visto con gli articoli sul latte (10 litri al giorno da bere per un bambino!) o peggio ancora sulla carne contaminata (200g di carne al giorno per un anno, quando sono state trovate solamente 6 dico *sei* vacche contaminate), l'opera di informazione deve andare molto piu' in profondita' per essere compresa.

Non ritengo di avere fatto esercizio di primo della classe con Marco Casolino, sinceramente.  E penso che quanto da lui scritto nell'errata corrige sul suo blog ne sia la prova.

Un cordiale saluto,

Luca Bertagnolio


Luca Bertagnolio
Futuro Nucleare
http://futuronucleare.com
@futuronucleare
24-07-2011 20:15
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