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La bacheca dei giornalisti che fanno bene il loro lavoro
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RE: La bacheca dei giornalisti che fanno bene il loro lavoro

Pubblicato da “il Giornale” venerdì 22 Aprile 2011

L’effetto Fukushima si è fatto sentire anche sul governo

Caro Granzotto,
a proposito della diossina mi consenta di citarle queste righe da un mio articoletto di sei anni fa. «Alcune sostanze, oltre ad avere una dose oltre la quale sono velenose, ne hanno anche una inferiore alla quale esse sono benefiche.
Il fenomeno si chiama effetto ormetico. Nel complesso, circa il 10% delle sostanze chimiche studiate dalla tossicologia manifesta ormesi. Una di queste è la tetraclorodibenzo-p-diossina. I cui effetti cancerogeni sul fegato sono noti e assodati, sì, ma non a qualunque dose; gli esperimenti di laboratorio hanno dimostrato una diminuzione di tutti i tipi di cancro con l’aumento della dose sino ad una certa soglia, oltre la quale, aumentando la dose, si osserva l’aumento dei tumori al fegato».
A proposito della scadenza del 25° anniversario di Chernobyl (che fu un disastro comunista, non nucleare), ho visto che nel sito del Giornale appare un «confronto» ove si dichiara che «gli esperti si dividono». I «falchi», rappresentati da Bonizzi, dichiarano centinaia di migliaia di morti, e le «colombe», rappresentati da Del Vigo, dichiarerebbero che i morti sarebbero stati «secondo l’Aiea» 4 mila.
Orbene, non è vero che l’Aiea abbia dichiarato che vi sono stati 4 mila morti. (Il rapporto parla di 4 mila morti attesi, ma, se per questo, nel 1986 si parlò di l00mila morti attese entro 10 anni). Non è vero che gli esperti sono divisi. Si può tranquillamente dire che quell’evento ha fatto, in 25 anni, meno di 50 morti tra i lavoratori e i soccorritori (questi ultimi inviati al suicidio, senza alcuna ragione, dal cinico regime comunista) e zero morti tra la popolazione Zero. Non a caso l’Ucraina ha installato 9 nuovi reattori dopo il 1987 (e altri 2 sono in costruzione). E siccome le fuoriuscite radioattive di Fukushima sono state inferiori al 10% di quelle di Chernobyl, zero sono (i giapponesi non sono cinici comunisti e hanno protetto gli addetti) e zero resteranno anche i morti di Fukushima.
Buona Pasqua.
Franco Battaglia
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Anche se il governo ha malauguratamente detto addio al nucleare, le sue osservazioni, le sue cifre e i suoi dati, caro professore (voglio ancora una volta ricordare ai lettori che lei, docente universitario, non è uno dei tanti dilettanti che strologano sul nucleare senza averne le competenze) non sono né fuori luogo né fuori tempo massimo. Esse smentiscono infatti la menzogna e dunque la disonestà del ben alimentato pregiudizio antinucleare. Quel pregiudizio che pare proprio stia vincendo la battaglia ingaggiata col giudizio senza prefissi. Ovvero con la verità.
Sono convinto che la decisione del governo non ne sia stata influenzata, ma che si sia voluto approfittare dell’isterico quanto vano allarmismo per l’incidente di Fukushima per togliere dal (magro) bilancio un capitolo di spesa e rinviare lo scontro con le falangi antinucleariste mentre infuria quello con l’orda giustizialista e manettara. In ogni modo è fatta: il proposito di ridare il via al nucleare civile è archiviato.
Sa cosa le dico, caro professore? Non me ne importa un fico secco. Se quello è il futuro cui ambiscono i miei connazionali, il futuro dei loro figli e nipoti così minacciato da quanti lo vogliono negare o scippare, ebbene sia. Se sono convinti che in un prossimo futuro ci si potrà muovere in treno, in aereo o in automobile e riscaldarsi d’inverno e rinfrescarsi d’estate e illuminare la casa e accendere la tivvù e chattare con Facebook e prendere l’ascensore, che l’industria continuerà a produrre a forza di pannelli solari e pale eoliche, amen. Contenti loro contenti tutti. Siccome ho l’tà che ho, non potrò godermi il nuovo mondo che va avanti a forza di energie alternative e verdi. Ma non me ne cruccio, caro professore proprio no.
Paolo Granzotto


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23-04-2011 10:45
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RE: La bacheca dei giornalisti che fanno bene il loro lavoro

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L'incertezza frena l'atomo

Le incognite relative a costi e quadro normativo rallentano gli investimenti di Jacopo Giliberto e Federico Rendina


L'energia atomica come quella progettata per il "rinascimento nucleare" in Italia chiede investimenti decisamente impegnativi, non meno di 5 miliardi per ogni reattore, in cambio di uno sconto sui costi di produzione dell'elettricità capace di regalare a lungo termine un vantaggio che appare in via teorica piuttosto significativo. Ma ci sono due variabili che, accanto ai parametri finanziari del capitale necessario, possono spostare molto la soglia di convenienza per un programma atomico che partisse da zero. Le variabili determinanti sono i tempi (la costruzione e la messa in marcia) e i prezzi del mercato elettrico quando la centrale futura potrà davvero andare a tutto vapore: le tecnologia concorrenti potrebbero essere più competitive. Commento unanime di tutti gli esperti: il vero nemico dell'energia nucleare è l'incertezza. La politica ondivaga italiana è più dannosa sui costi e sull'efficacia di un programma atomico più di tutti i ribellismi antinucleari.

Gli studiosi sono divisi nelle loro analisi. Ci sono i sostenitori della convenienza dell'energia atomica (spesso i loro studi sono promossi dall'industria elettronucleare) ma molti sono più prudenti e altri infine sono contrarissimi all'energia atomica (spesso con motivazioni che sembrano più vicine all'integralismo). Basta poco per spostare il risultato di un'analisi. Se si contano i soli costi di produzione del chilowattora, se il deposito per i rifiuti radioattivi è già disponibile o va realizzato da zero, se c'è già un'agenzia di controllo o se gli enti vanno istituiti, se si sommano i costi delle migliaia di anni di gestione dei rifiuti radioattivi, se si considerano anche le "esternalità" date per esempio dalle emissioni di anidride carbonica.

Non si considera mai che anche il nucleare emette CO2. «Certamente, non ne emette la produzione di elettricità da parte della centrale. Ma la produzione dell'uranio – avverte uno degli studiosi prudenti, Sergio Zabot – è un'attività mineraria e industriale piuttosto lunga e complessa che comporta tutta una serie di lavorazioni che richiedono l'utilizzo di combustibili fossili, di elettricità, di enormi quantità di acqua, di acido solforico e infine di fluoro, gas altamente velenoso e che provoca un effetto serra centinaia di volte più potente della CO2. E poi ci sono i cicli di trattamento dei rifiuti, lo smantellamento delle centrali fuori uso. Attività che chiedono energia fossile». In sostanza, Zabot? «Molti ricercatori hanno dimostrato che il funzionamento di un reattore nucleare comporta emissioni di CO2, considerando l'intero ciclo del combustibile, pari ad un terzo delle emissioni di un ciclo combinato a gas». Cioè un'emissione contenuta di anidride carbonica. Contenuta ma non pari a zero.

Se si irrobustiscono le fila degli autorevoli analisti e opinioni leader mobilitati a sostegno della convenienza nucleare, come il corposo studio appena presentato come pezzo forte della giornata conclusiva del Forum Ambrosetti di Cernobbio (si veda Il Sole 24 Ore del 6 settembre) secondo il quale solo con il nucleare in vent'anni potremmo allinearci ai costi europei dell'energia, risolvendo oltretutto il problema degli impegnativi limiti di emissione della CO2, il popolo del no, sempre in agguato, si prepara a rispolverare di altrettanto corposi e non meno autorevoli studi che dicono esattamente il contrario.

Nei contro-studi le bufale, clamorose, non mancano.
Un esempio? A fine luglio il New York Times (e in italia il Corriere della Sera) davano risalto a una ricerca condotta negli Stati Uniti secondo cui l'energia solare ormai costa meno ed è più competitiva di quella atomica. Esaminata quella ricerca statunitense dell'Nc Warn, ora Carlo Stagnaro dell'Istituto Bruno Leoni e Daren Bakst della John Locke Foundation hanno scoperto che non è vero. Il solare è più caro del nucleare. «Per quel che riguarda l'energia nucleare – spiega Stagnaro – i costi vengono sovrastimati senza riguardo all'evidenza disponibile in letteratura; per quel che riguarda l'energia solare, gli autori riducono il costo per tener conto dell'effetto dei sussidi. Prendendo sul serio la logica di quello studio, si potrebbe dire che un sussidio del 100% rende gratuita la produzione di energia. Lo studio ignora completamente la logica e il funzionamento del mercato elettrico. Anche impiegando la metodologica illustrata dallo studio, è facile dimostrare al contrario che l'energia nucleare è più competitiva di quella solare».

Ed ecco gli studi più equilibrati, che non sposano tesi premasticate. Secondo l'Agenzia internazionale dell'energia («The project costs of generating electricity: 2010 edition») il nucleare può convenire con bassi tassi di interesse sugli investimenti, attorno al 5%, ma già se si va al 10% il carbone risulta la scelta di generazione elettrica più conveniente, anche considerando gli oneri relativi alle emissioni di anidride carbonica. Le rinnovabili sono in crescita veloce e sono competitive tranne ancora il fotovoltaico, che avrà bisogno ancora a lungo di sostengo pubblico. Ma a noi italiani l'Agenzia internazionale dell'energia dà un monito: basta uno starnuto della politica volubilissima per ribaltare le convenienze degli investimenti energetici.

Cautela viene sui costi futuri dell'uranio. Diversi analisti avvertono che presto il minerale potrebbe rincarare e il gruppo finanziario Rbc Capital Markets ha stimato che nei prossimi anni – a partire dal 2012-2013 e fino al 2020 – sarà difficile trovare abbastanza combustibile nucleare.

Un altro monito arriva da un autorevole studio che il partito del no si appresta a rispolverare. Quello intitolato «New Nuclear, The Economics Say No» pubblicato da Citi Investment Research & Analysis (Citigroup) teme le incognite dei tempi di costruzione e della crescita dei costi, incognite che sono consuete in tutto il mondo (basta vedere i sovraccosti e i ritardi del progetto Epr di Olkiluoto, in Finlandia) ma che in Italia sono degne di una tragedia. Un ritardo di sei mesi all'accensione comporta – stima la ricerca – una perdita equivalente a 100 milioni di sterline in costi diretti e mancati guadagni.

Da Il Sole 24 Ore, 8 settembre 2010


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27-07-2011 17:02
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mi.greco
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RE: La bacheca dei giornalisti che fanno bene il loro lavoro

Mi fa piacere che esistono giornalisti seri.
Particolar piacere lo provo quando provengono dal quotidiano "Il Giornale" col quale collaboro da almeno 12 anni.

Michele Greco

27-07-2011 18:21
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Psicosi nucleare, ma si muore sul lavoro




Chiudere le centrali non riduce il rischio
di Carlo Lottieri


Quiz per il lettore: in una giornata di cronaca che include un incidente in Francia con un morto e quattro feriti, un'altra disgrazia in Italia con sei vittime, e un terzo disastro in Africa con addirittura 120 morti, a quale di questi avvenimenti si darà più spazio e su quale si concentrerà maggiormente l'attenzione?
La risposta non è scontata, perché ieri l'attenzione maggiore è stata riservata proprio alla prima vicenda (all'esplosione inun sito per il trattamento delle scorie nucleari, a Marcoule), e non già alle altre due. Il terribile scoppio della fabbrica di fuochi d'artificio di Arpino e la tragedia del Kenya - dove è saltato per aria un oleodotto - hanno colpito assai meno l'opinione pubblica. Per quale ragione?

In parte è comprensibile, dato che le radiazioni nucleari agiscono a distanza e nel tempo: in altre parole, la disgrazia potrebbe assumere altre proporzioni. Ma c'è soprattutto un altro elemento: ed è che tutti noi, non possiamo negarlo, siamo vittime di sentimenti irrazionali che non riusciamo a gestire e che sono facilmente manipolati da quei demagoghi che ora già stanno facendo rullare i tamburi della loro propaganda.

È un po' come la paura del volo. Non vi è il minimo dubbio che in linea di massima, dal punto di vista statistico, è assai più rischioso il tragitto in automobile che ci conduce all'aeroporto di quanto non lo sia il volo in sé. E' però del tutto evidente che molti tra noi vivono in maniera assai più naturale un ordinario spostamento automobilistico che non il decollo da Milano e l'atterraggio a Roma.

Non stupiamoci, allora, della nostra istintiva voglia di rinunciare all'energia nucleare. E però c'è molto altro da aggiungere, perché una classe dirigente deve saper assumere un atteggiamento responsabile di fronte a problemi così complessi, evitando di sfruttare le nostre fobie.
Chi è chiamato a prendere decisioni deve saper stare ai fatti. Non può fingere di non sapere come le alternative al nucleare producano quotidianamente più morti: nelle miniere di carbone come nei pozzi da cui si estrae il petrolio o nelle raffinerie dove lo si lavora, ma un discorso non dissimile si può fare per le stesse energie rinnovabili, che non sono certo neppure loro a «rischio zero».

Perché questo è il punto: un ceto dirigente perde credibilità quando si rifiuta di paragonare due situazionireali ed entrambe imperfette, e inizia invece a contrapporre al mondo reale in cui viviamo un universo del tutto fittizio in cui l'energia costerà poco o nulla, sarà senza rischi, aiuterà la crescita e il progresso. Per il futuro non sappiamo nulla, ma ora le cose non stanno così. Oggi siamo chiamati a scegliere tra opzioni imperfette e si deve farlo evitando di imbrogliare il prossimo.

Come ha testimoniato poche ore fa l'esplosione delle baraccopoli di Sinai, in Kenya, la scelta tedesca di abbandonare il nucleare (come quella, ormai storica, dell'Italia) non è esente da rischi. E tutti abbiamo un ricordo molto vivido della tragedia di Viareggio di due anni fa, che avremmo forse evitato se l'Italia, nel corso del tempo, avesse ridotto la propria dipendenza dai derivati del petrolio.
Ogni anno, d'altra parte, solo nel nostro Paese le vittime legate al gas metano da riscaldamento (per fughe ed esplosioni) sono più delle vittime di Chernobyl.
Al cittadino va riconosciuto il diritto a una certa dose di ignoranza: è legittimo non conoscere tante cose e ognuno ha, giustamente, la propria emotività. Ma chi «fa politica» deve saper sfidare i luoghi comuni: altrimenti, è bene che faccia altro.

Da Il Giornale, 13 settembre 2011


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http://www.ilgiornale.it/cultura/ce_sito...comments=1

Ecco il sito internet che sgonfia le "eco-balle"
di Matteo Sacchi

"Climate monitor", con in prima fila il meteorologo Guido Guidi, offre dati e cifre. In barba ai catastrofisti. Le esperienze condivise nel mondo "virtuale" migliorano quello reale. Ecco perché web significa libertà: continua la serie di articoli su internet visto da destra, per evidenziare come sia possibile un altro web, in linea con i principi liberali.


Si chiama Climate monitor ed è un’oasi di ragionevolezza nel deserto culturale della vulgata del riscaldamento globale, una smagliatura di informazioni corrette dentro una rete che non fa altro che rimbalzare, ingigantendole, le notizie sulla eco catastrofe o sull’eco allarme del momento. A contribuire a questo sito che si diverte, anche se con piglio scientifico, ad andare controcorrente c’è in prima fila Guido Guidi, meteorologo dell’Aeronautica italiana che da anni a colpi di argomenti scientifici contesta le ecobufale sul clima. Ma non mancano altre firme ben informate. Così, andando a curiosare fra articoli e commenti si scovano alcune chicche.
A esempio un recentissimo articolo di Fabio Spina s’intitola «Desertificazione in Italia. Dati vecchi allarmi nuovi». Parte dall’allarme lanciato da molti siti e quotidiani sul clima italiano in occasione della decima conferenza internazionale della United Nations Convention to Combat Desertification. Peccato però che i dati usati siano vecchi di undici anni. Oppure una dottissima dissertazione dello stesso Guidi, intitolata «La moderna “piccola” età glaciale», sugli effetti delle radiazioni solari sul clima che ora vengono grandemente rivalutati da riviste come Nature Geocence. Alcuni giornali stranieri hanno usato queste scoperte e questi studi per fare dei bei titoloni apocalittici. Guidi invece le usa senza far troppa polemica per dimostrare che le previsioni climatiche tutte centrate sull’anidride carbonica e l’effetto serra sono lacunose e imprecise. Insomma, appena il sole pompa un po’ meno energia, il global warming va in pensione...
E se il tono degli articoli di Climate Monitor (www.climatemonitor.it) è sempre quello, ragionevole e moderato, che si addice a un sito scientifico, le posizioni sono però nette, soprattutto nel mettere i puntini sulle «i» di tutte le previsioni catastrofiste. Ecco allora la bella sezione «Una sfida all’Anthropogenic Global Warming». Lo sapevate che al centro di questa teoria ci sono gli studi di Svante Arrhenius sull’anidride carbonica in atmosfera, datati 1896? A Climate Monitor si chiedono: «Arrhenius non tenne in alcun conto la variazione della nuvolosità, e i modelli moderni sono anch’essi fortemente lacunosi su questo punto. Arrhenius in quel modello non prese in considerazione la variazioni primarie del vapor d’acqua perché non aveva dati in merito... Arrhenius non considerava i cambiamenti del sole; i modelli attuali li considerano minoritari senza dar prova che ciò sia vero. Arrhenius usava per l’atmosfera dati spettroscopici di laboratorio (i pochi esistenti), e anche oggi si fa lo stesso... Tutto ciò è o totalmente trascurato o ampiamente sottovalutato nei moderni modelli, riportandoci magicamente a condizioni tutto sommato simili a quelle di Arrhenius».
Tutte queste cose altri siti intenzionati solo a spaventarvi, ovviamente non le dicono e non danno nemmeno lo spazio di discussione e le risposte pronte che trovate su Climate monitor. Ma aver paura è più facile che mettersi a ragionare con calma con gente che mostra dati scientifici veri, mai univoci o minatori. Semmai tutti da capire...


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16-10-2011 16:16
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