Ai primi di ottobre espressi le mie riserve sulla nomina di Veronesi a Presidente dell'Agenzia per la sicurezza nucleare. Come è giusto che sia, non tutti furono concordi nel condividere le mie perplessità.
Oggi trovo l'argomento ancora più attuale di ieri e vuoi perchè la macchina politica si è arenata sulle nomine ulteriori, più tecniche e specifiche, dell'agenzia, e vuoi perchè vi sono a mio avviso continui ripensamenti, dissensi e dissapori sulla nomina dell'oncologo.
Ho sorpreso un articolo di Stefano Spillare su Earthcare magazine del 21 ottobre scorso che vi ripropongo considerando che l'"effettiva" nomina di Veronesi è ancora alla firma di chi di dovere e che, ho il sospetto, che ciò stia determinando il continuo rinvio delle altre nomine.

La confusione di Veronesi: confonde il “combustibile” con le “scorie”?
Il proff. Umberto Veronesi, candidato in pole position alla guida dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, aveva ribadito, qualche giorno fa la sua disponibilità a tale incarico, sottolineando come avrebbe ben volentieri messo a disposizione la sua esperienza medica per la tutela della salute.
Mancava però in tutto il dibattito pubblico una seria discussione sulla radioattività di base che accrescerebbe nelle zone interessate dalle centrali nucleari e, soprattutto, una seria discussione sulle scorie radioattive, forse il più grande problema legato al ritorno al nucleare in Italia.
Finalmente, qualcuno deve aver sollevato la questione dato che l’oncologo più famoso della politica si è preoccupato di intervenire sulla questione.
Secondo il professore, quindi, le scorie non sono di per sé un pericolo: “non emettono radiazioni pericolose” e per la loro sistemazione definitiva “ci sono tante soluzioni” avrebbe detto.
Sulle scorie nucleari Veronesi ha osservato che “se non è stimolato da bombardamento, l’uranio non produce radionuclidi“, ossia nuclei instabili che producono radiazioni, “ma solo raggi alfa” che hanno una forza di penetrazione molto bassa. “le scorie – ha proseguito Veronesi – vengono vetrificate e poste in zone protette, dove possono restare per sempre. Naturalmente – ha aggiunto – bisogna pensare ad una sistemazione definitiva. A questo fine esistono tante soluzioni e tutte fattibili“.
Vorremo sapere quali, dato che il nostro Paese è in gran parte a rischio sismico e che ogni soluzione dovrà essere pensata per rimanere inalterata per centinaia di anni (dai 300 al milione di anni, per l’esattezza).
Ma non è questo il problema principale. Il fatto è che, stando a quanto riportato dalle agenzie, le parole di Veronesi lasciano trasparire una seria incompetenza in merito.
Non serve essere grandi esperti per sapere che le “scorie radioattive” si definiscono tali perché sono, guarda un po’, radioattive e che l’uranio non è scoria ma “combustibile” nella reazione nucleare. Scoria, casomai, è proprio l’uranio bombardato da neutroni al fine di innescare la reazione, e se è vero che dopo il processo rimane nel combustibile nucleare molto uranio non colpito, tanto da necessitare un ritrattamento della scoria, già nella prima fase viene prodotto plutonio (tempo di decadimento 250mila anni), attinidi (300 anni) e altri prodotti di fissione, altamente radioattivi.
Cosa significa, quindi, che “se l’uranio non è bombardato non emette radionuclidi”? Ma le scorie non sono propiamente uranio bombardato? E quindi, come sanno invece tutti, non sono “radioattive”? Anche perché, altrimenti, per quale motivo si dovrebbero vetrificare e seppellirle sotto il cemento e in zone prive di umidità e altamente stabili sotto il profilo geologico?
Insomma, non possiamo certo dirci soddisfatti delle risposte sulla pericolosità delle scorie fin qui fornite dal futuro responsabile dell’Agenzia per la sicurezza nucleare.

Michele Greco