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Come riciclare un ambientalista
Paul Driessen, nel suo saggio Eco-imperialismo (Liberilibri, Macerata, 2006) fa una stima del numero di morti che le battaglie ambientaliste hanno causato nel mondo.
Sono cifre stratosferiche, ma in fondo sempre e soltanto delle statistiche.
Nessun “attivista” dovrà rispondere per questi morti: non chi ha fatto del terrorismo psicologico sulla “insostenibilità” del DDT, interdicendo così i finanziamenti delle agenzie internazionali alle opere di disinfestazione nel Terzo Mondo (da qui la macabra ironia di Driessen: «Zanzare sostenibili, persone sacrificabili»).
Nemmeno chi, dall’interno dell’OMS e dell’EPA, o attraverso il WWF e Greenpeace, asseconda la folle ideologia dello “sviluppo sostenibile”, che ostacola la costruzione di dighe, condutture ed impianti elettrici dove ce ne sarebbe più bisogno, con la motivazione che «le risorse potrebbero esaurirsi da un momento all’altro».
Questa è una forma di genocidio irresponsabile. Perciò l’ecologismo conosce fortuna a periodi alterni: quando le cose vanno male, ognuno può giocare allo scaricabarile, anche quelli più “esposti”.
Questo decennio sarà sicuramente una nuova stagione di successo globale per la “filosofia verde”, che tra l’altro diventa sempre più inconcludente e irresponsabile (per dirne una: le pale eoliche intralciano le rotte di alcune specie protette di uccelli, che finiscono spappolati).
Al Gore ha vinto il nobel per la pace con quella patacca di documentario, Daniel Cohn-Bendit è ormai lanciato ai vertici dell’UE, i Protocolli dei Savi di Kyoto sono una presenza costante del dibattito pubblico.
Persino i neomaltusiani coglieranno l’occasione per riproporre i deliri apocalittici da sovrappopolazione: già si formano associazioni che vorrebbe dolcemente spazzare via dalla faccia della Terra cinque miliardi di persone.
Allora, anch’io ho una dolce (e modesta) proposta: riciclare gli ambientalisti.
Quanti saranno? Se nel computo inseriamo tutti i membri delle organizzazioni ecologiste, l’elettorato dei partiti “verdi”, e chiunque abbia fatto più di cinque dichiarazioni su “sviluppo sostenibile” o “riscaldamento globale” (che siano star di Hollywood, politici, scienziati, non importa) si arriva almeno al mezzo miliardo.
La modesta proposta è: ricicliamo questo materiale umano in cibo per grifoni.
L’idea, devo ammetterlo, non è mia: ho avuto l’ispirazione da un vecchio libro di Fulco Pratesi (eterno presidente del WWF), Ecologia domestica (1989).
Sfortunatamente le brillanti soluzioni al “problema umano” di Pratesi vengono citate di rado e con grande imbarazzo. Ma perché?
A dircelo è Vittorio Messori (“L’ideologia del Wwf”, Avvenire, 12/8/1990), in pratica l’unico che abbia preso in considerazione le arguzie del Pratesi:
«Un volumetto di Fulco Pratesi, presidente del WWF italiano, stampato nel 1989 con il titolo Ecologia domestica e sponsorizzato dalla Coop, la potente Lega delle Cooperative, […] [con] illustrazioni di Sergio Staino, […] apre davvero squarci impressionanti non solo su ciò che sta dietro le quinte, ma sull’essenza dell’ideologia ecologista. […] Poiché il “verdismo” è una fede globale (lo stesso Pratesi si definisce “un verde credente e praticante, nonché leggermente fanatico”) non manca un capitolo sulla morte. […] Qualche credente, convertito al nuovo Verbo, potrà aprire un poco gli occhi leggendo ciò che viene definito “qualche consiglio utile per favorire un sereno trapasso e una corretta destinazione delle proprie spoglie”.
Per Pratesi il cadavere (anzi, “la carcassa umana”) non è che concime di cui si da la lista degli elementi, dal 66 per cento di ossigeno sino alla 0,04 di ferro, iodio e manganese. Si scaglia contro le casse da morto (occorre legno per costruirle), contro i cimiteri (“terra iperfertilizzata in cui vegetano solo crisantemi e cipressi”), contro le lapidi (originano antiestetiche cave di pietra).
Una soluzione, secondo lui, potrebbe essere questa: “Una bella buca sotto una quercia in campagna, due palate di terra ed ecco che possiamo tornare al ciclo della natura”. Ma questo in mancanza di meglio. L’ideale, secondo il Wwf, sarebbe la fondazione di una “Associazione per l’inumazione ecologica”. Il Presidente dà per questo alcune direttive che così, letteralmente, suonano: “Si potrebbero adoperare i carnai, gli appositi terreni recintati e sorvegliati, impiegati dalle associazioni naturalistiche come il Wwf e la Lipu per alimentare i rapaci (soprattutto gli avvoltoi in Sardegna e i capovaccai sulle colline a nord di Roma). In quei carnai i nostri resti mortali potrebbero servire da cibo agli ultimi grifoni. Il tempo medio di distruzione della salma è di poche ore. Restano le ossa, è vero. Ma a questo inconveniente si potrebbe ovviare se al festino partecipasse anche l’avvoltoio barbuto, che lancia le ossa sulle rocce per divorarne il midollo. In pochissimi giorni, delle nostre spoglie non resterebbero che escrementi mineralizzati”. A questo proposito Pratesi cita con compiacimento una notizia del gennaio 1988: un ecologo inglese che, per nutrire i suoi amati avvoltoi sudafricani, si è portato sotto i loro nidi e si è sparato un colpo alla testa. L’italiano consiglia anche agli altri ecologi, “in vista del passo estremo, di portarsi in un luogo ricco di carnivori e lì attendere la morte in un luogo di difficile accesso”.
Ma c’è di più. Ecco ancora testuale: “Una alternativa (come ha suggerito l’ecologa Laura Conti) potrebbe essere il creare scatolette di cibo per cani e gatti in cui la carne umana sostituisca quella di altri animali”. Anche qui, esempio edificante, esso pure anglosassone: Lord Averbury, che siede alla Camera Alta di Londra per i liberali, ha stabilito che il suo cadavere sia distribuito come cibo tra gli ospiti del canile municipale di Battersea. Perché, ha detto, “ogni cosa biodegradabile deve essere riciclata e sepoltura e anche cremazione sono un terribile spreco”. Polemizzando con il direttore del canile che pur ammettendo che “c’è molto valore nutritivo nella carcassa umana”, non se la sente di accettare l’offerta.
Sempre per Pratesi, le ceneri di chi si facesse cremare dovrebbero “essere usate per concimare i propri vasi e le aiuole”. E, alla barbarie cristiana che tributa rispetto per il cadavere, si contrappone la civile usanza “ancora in atto presso i Parsi, una setta zoroastriana, che depositano i loro cadaveri in cima ad un’alta torre e li fanno consumare dagli uccelli da preda”.
Ecco, dunque, a spese della Coop Supermercati e a firma della più potente associazione naturalistica d’Italia – ma anche del mondo – il bon ton funerario verde».
Pratesi mi trova assolutamente d’accordo: a lui lo vedrei bene come concime per cactus, nonostante abbia il physique du rôle per diventare escremento mineralizzato.
Ma io non voglio imporre niente a nessuno: saranno gli ambientalisti, tramite questionario, a scegliere democraticamente il loro destino eco-compatibile.